Corte di Cassazione sentenza n. 5136 del 3 marzo 2011
SOCIETA’ DI PERSONE – S.N.C. – RESPONSABILITA DEI SOCI – ESCUSSIONE PREVENTIVA DEL PATRIMONIO SOCIALE – PIGNORAMENTO PRESSO TERZI DEI DIRITTI DI SOCIETA’ IN NOME COLLETTIVO – ESITO NEGATIVO – INCAPIENZA DEL PATRIMONIO SOCIETARIO – PROVA – INIDONEITA’ – AZIONE ESECUTIVA NEI CONFRONTI DEL SOCIO – ESCLUSIONE
massima
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L’esito negativo del pignoramento presso terzi dei diritti di una società in nome collettivo è inidoneo a far ritenere certa l’incapienza del patrimonio societario, potendo la società disporre di altri beni sufficienti a garantire il soddisfacimento del credito, e non giustifica l’esecuzione nei confronti del socio che gode del “beneficium excussionis” ex art. 2304 cod. civ.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 18.3.2003 il Tribunale di Napoli ha accolto l’opposizione ex artt. 615 e 617 c.p.c. proposta da G.F. nei confronti di R.T. – che aveva notificato al G.F. precetto per il pagamento di un credito da lei vantato nei confronti della E.A. snc, di cui il G.F. era socio – e ha dichiarato l’invalidità del precetto e di tutti gli atti successivi, sul rilievo che l’opposta non aveva dimostrato di avere preventivamente escusso il patrimonio sociale, ex art. 2034 c.c.
Avverso detta sentenza ha proposto appello R.T. lamentando di aver vanamente tentato di escutere il debitore principale mediante pignoramento presso terzi e proposizione di ricorso per fallimento nei confronti della stessa società.
L’appello è stato respinto dalla Corte d’Appello di Napoli, che con sentenza del 22.12.2006 ha ritenuto l’inidoneità delle circostanze indicate dalla ricorrente a dimostrare l’insufficienza del patrimonio sociale, così da giustificare l’esecuzione nei confronti del socio.
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione R.T. affidandosi a un unico motivo cui resiste con controricorso G.F..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Con l’unico motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2304 c.c., nonché contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, assumendo che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, allorquando il lavoratore sia costretto ad agire nei confronti del singolo socio di una società in nome collettivo, sua datrice di lavoro, per il recupero di crediti di lavoro, l’onere della preventiva escussione del patrimonio sociale stabilito dall’art. 2304 c.c. sarebbe soddisfatto con la dimostrazione, da parte del lavoratore, dell’esito negativo del pignoramento presso terzi effettuato dal creditore nei confronti della società in nome collettivo.
2.- Il ricorso è infondato. Ai sensi dell’art. 2304 c.c., il creditore sociale non può pretendere il pagamento del socio di una società in nome collettivo se non dopo l’escussione del patrimonio sociale. La possibilità di aggredire il patrimonio del socio è subordinata, quindi, alla infruttuosità dell’esecuzione esperita sui beni della società in nome collettivo.
La ricorrente sostiene che, nella specie, la prova dell’incapacità del patrimonio sociale a soddisfare la propria pretesa creditoria dovrebbe desumersi dall’infruttuoso tentativo di eseguire un pignoramento presso terzi e dalla proposizione, da parte della stessa ricorrente, di un’istanza di fallimento, che, peraltro, sarebbe stata respinta dal Tribunale fallimentare.
Sul punto, la Corte di merito, dopo aver rilevato che neppure la circostanza che una società sia stata posta in liquidazione o sia stata dichiarata fallita implica ex se che il patrimonio sociale sia insufficiente a garantire il credito azionato, ha osservato, con argomentazione logica e coerente, che neanche il pignoramento presso terzi tentato dalla R.T. poteva ritenersi idoneo “a far ritenere certa l’incapienza del patrimonio societario”, ben potendo la società disporre di altri beni sufficienti a garantire il soddisfacimento del credito (e ciò al di là della considerazione che, secondo quanto dedotto dall’appellato e non contestato dalla R.T., la procedura esecutiva si sarebbe estinta per inerzia del creditore).
3.- Nella sentenza impugnata non è dato, dunque, rilevare alcuna violazione dell’art. 2304 c.c., che anzi la pronuncia, quanto all’affermazione della inidoneità finanche della dichiarazione di fallimento a dimostrare, per sé, l’insufficienza del patrimonio sociale, si pone in perfetta aderenza ad un orientamento ormai consolidato della S.C. (cfr. Cass. 11291/90, Cass. 2647/87, Cass. 4752/84), laddove tutte le restanti argomentazioni svolte nella sentenza impugnata si risolvono in una valutazione di fatto, devoluta al giudice del merito, non censurabile nel giudizio di cassazione in quanto comunque assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria; anche perché la ricorrente non riporta in ricorso il contenuto degli atti dai quali dovrebbe desumersi l’esito negativo del pignoramento o l’inesistenza di altri beni nel patrimonio della società – solo genericamente affermata alla pag. 10 del ricorso per cassazione – sicché le censure espresse rimangono confinate ad una mera contrapposizione rispetto a tale valutazione di merito operata dalla Corte d’appello, inidonea a radicare un deducibile vizio di motivazione di quest’ultima.
4.- Il ricorso va quindi rigettato.
5.- Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 13,00 oltre Euro 2.500,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 27 gennaio 2011
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