Corte di Cassazione sentenza n. 524 del 08 gennaio 2013
SICUREZZA SUL LAVORO – VIOLAZIONI IN MATERIA ANTINFORTUNISTICA – INFORTUNI SUL LAVORO – RESPONSABILITA’ CIVILE DEL DATORE DI LAVORO – IMPRUDENZA E NEGLIGENZA DEL LAVORATORE – CONCORSO DEL SOGGETTO CHE PONE IN ESSERE L’AZIONE LESIVA
massima
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Il datore di lavoro, in caso di violazione delle norme poste a tutela dell’integrità fisica del lavoratore, è interamente responsabile dell’infortunio che ne sia conseguito e non può invocare il concorso di colpa del danneggiato, avendo egli il dovere di proteggere l’incolumità di quest’ultimo nonostante la sua imprudenza o negligenza, e la condotta del dipendente può comportare l’esonero da responsabilità del datore di lavoro solo quando essa presenti i caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, circostanze queste che non emergono dalle risultanze processuali. Insieme alla generale responsabilità del datore per omessa vigilanza sulla osservanza delle misure di sicurezza, tuttavia, concorre quella eventuale del soggetto che abbia posto in essere l’azione lesiva, in dispregio delle norme di comune prudenza e perizia ed in violazione di una precisa norma antinfortunistica.
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Fatto
Con la sentenza in epigrafe il giudice del tribunale di Messina, sezione distaccata di Taormina, dichiarò (Omissis) colpevole di diverse violazioni alle norme in materia antinfortunistica e di sicurezza sul lavoro e lo condannò alla complessiva pena di euro 6.000,00 di ammenda.
L’imputato, a mezzo dell’avv. (Omissis), propone ricorso per cassazione deducendo:
1) erronea indicazione della data di commissione del reato. Osserva che nel capo di imputazione il reato risulta commesso l'(Omissis), mentre dagli atti emerge che l’informativa del reato è del (Omissis).
2) estraneità dell’imputato rispetto ai fatti contestati. Deduce inoltre nullità dell’accertamento perchè effettuato dai carabinieri e non dall’ispettorato del lavoro.
3) eccessività della pena irrogata.
Diritto
Il primo motivo è inammissibile sia perchè si tratta di una questione di fatto che non risulta proposta dinanzi al giudice del merito e che non può essere esaminata per la prima volta da questa Corte di legittimità; sia perchè trattandosi di reati permanenti sono irrilevanti le date della informativa e del verbale di identificazione richiamati dal ricorrente; sia infine per mancanza di interesse perchè, quand’anche i reati dovessero risultare commessi il (Omissis), gli stessi non sarebbero ancora prescritti.
Il secondo motivo si risolve anch’esso in una censura di fatto che non può essere proposta in questa sede. In ogni caso, nello stesso ricorso si afferma che i lavori erano stati affidati dal comune alla s.r.l. (Omissis) e l’imputato è stato condannato appunto nella sua qualità (non contestata) di amministratore unico della s.r.l. (Omissis), essendo irrilevante il soggetto che stava eseguendo i lavori al momento dell’accertamento. E’ poi di tutta evidenza che l’accertamento dei reati ben poteva (e doveva) essere compiuto anche dai carabinieri, quali organi di polizia giudiziaria.
Il terzo motivo è del tutto generico e costituisce comunque una inammissibile censura in fatto.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.
In applicazione dell’articolo 616 c.p.p., segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che possano far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del ricorso, al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma, che, in considerazione della ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, si ritiene congruo fissare in euro mille.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende.
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