Corte di Cassazione sentenza n. 5342 del 4 marzo 2013
TRIBUTI – ACCERTAMENTO – REDDITO D’IMPRESA – DEDUZIONE – COSTI DERIVANTI DA ATTIVITA’ ILLECITA – SMALTIMENTO ILLEGITTIMO DI RIFIUTI – DEDUZIONE DELL’IMPOSTA – AMMISSIBILITA’
massima
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Nonostante l’attività imprenditoriale sia qualificabile come reato resta comunque salva la detrazione dei costi e dell’Iva. Sempre che non siano direttamente connessi al “compimento dell’attività”. Alla società, che ha effettuato il recupero di rifiuti speciali pericolosi senza la necessaria autorizzazione” va riconosciuto il suo diritto a recuperare a tassazione “costi e Iva” I costi sostenuti per il recupero di rifiuti speciali pericolosi, senza la necessaria autorizzazione, sono deducibili dal reddito d’impresa, trattandosi di una contravvenzione, per effetto dell’applicazione retroattiva del “nuovo” art. 8 del D.L. n. 16/2012.
L’art. 8 del D.L. n. 16/2012, ha recentemente modificato, con effetto retroattivo, la disciplina dettata dal summenzionato art. 14 della Legge n. 537/93. Infatti, a seguito delle modifiche apportate dall’art. 8 comma 1 del D.L. 2 marzo 2012 n. 16 (conv. L. 26 aprile 2012 n. 44), il comma 4-bis dell’art. 14 della Legge n. 537/93 prevede ora che, nella determinazione dei redditi di cui all’art. 6, comma 1, del TUIR, non siano ammessi in deduzione i costi relativi ai beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’art. 424 c.p.p. ovvero sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione del reato. Inoltre, il comma 3 del citato art. 8 del D.L. n. 16/2012 prevede le nuove disposizioni si applichino, in luogo di quanto disposto dal comma 4-bis dell’art. 14 della Legge n. 537/1993, previgente, anche per fatti, atti o attività posti in essere prima dell’entrata in vigore delle stesse disposizioni, ove più favorevoli.
La previgente disciplina di cui all’art. 14 non può essere applicata al caso di specie, posto che l’attività contestata come reato non integra il presupposto del diretto utilizzo dei costi, spese o prestazioni di servizio ai fini del compimento dell’attività medesima e non integra neppure la qualificazione astratta di delitto non colposo, attesa l’espressa identificazione normativa del reato come fattispecie contravvenzionale. In particolare, si ricorda che, ai sensi dell’art. 51 del D.Lgs. n. 22/97, chiunque effettui un’attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio e intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli artt. 27, 28, 29, 30, 31, 32 e 33 è punito:
– con la pena dell’arresto da tre mesi ad un anno o con l’ammenda da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni se si tratta di rifiuti non pericolosi;
– con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni se si tratta di rifiuti pericolosi.
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OSSERVA
La CTR di Bologna ha accolto l’appello della “I. s.r.l.” – appello proposto contro la sentenza n.338/04/2006 della CTP di Modena che aveva pure accolto il ricorso della predetta società – ed ha così annullato l’avviso di accertamento relativo al periodo di imposta 2003 a mezzo del quale l’Ufficio aveva recuperato a tassazione costi ritenuti indeducibili ed IVA ritenuta indetraibile ai sensi dell’art. 14 commi 4 e 4-bis della legge n.537/1993, siccome derivanti da attività qualificabile come reato, ed in particolare dall’avere la predetta società effettuato il recupero di rifiuti speciali pericolosi senza la necessaria autorizzazione, attività integrante la contravvenzione sanzionata dall’art. 51 del D.Lgs. n.22/1997.
La predetta CTR ha motivato la decisione ritenendo che – avendo la società fatto ricorso all’oblazione, con conseguente estinzione del reato – il decreto di archiviazione emesso dal giudice penale per effetto di detta oblazione non poteva considerarsi come fonte di accertamento della sussistenza del fatto-reato. Né avrebbe potuto avere rilievo l’astratta qualificabilità del fatto come reato, in difetto di un positivo accertamento giudiziale.
L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. La società intimata non si è costituita.
Il ricorso – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. assegnato allo scrivente relatore, componente della sezione di cui all’art. 376 c.p.c. – può essere definito ai sensi dell’art. 375 c.p.c. Infatti, con entrambi i motivi del ricorso (improntati al vizio di violazione di legge) la parte ricorrente si duole sostanzialmente della violazione della disciplina dettata dal predetto art. 14, nella parte in cui la sentenza di appello ha escluso l’applicabilità di detta disciplina in difetto di un positivo accertamento giudiziale del reato. Senonché, non può passarsi all’esame dei sopra riassunti motivi di ricorso in considerazione del fatto che con l’art. 8 del D.L. n. 16/2012 il Legislatore ha recentemente modificato (con effetto retroattivo, atteso che il comma 3 del predetto articolo prevede che: “Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano, in luogo di quanto disposto dal comma 4-bis dell’art. 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, previgente, anche per fatti, atti o attività posti in essere prima dell’entrata in vigore degli stessi commi 1 e 2, ove più “favorevoli…”; in termini si è già pronunciata questa Corte con la Sent. n. 10167 del 20 giugno 2012) la disciplina dettata dal menzionato art. 14, specificando che “non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo”. Consegue da ciò che la disciplina in parola non risulta più applicabile alla specie di causa, atteso che la attività contestata come reato non integra il presupposto del diretto utilizzo dei costi, spese o prestazioni di servizio ai fini del compimento dell’attività medesima e neppure integra la qualificazione astratta di delitto non colposo, attesa la espressa identificazione normativa del reato come fattispecie contravvenzionale.
Non resta che concludere che il ricorso avverso la decisione di appello non può essere accolto, sicché si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta infondatezza:
– che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti;
– che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie;
– che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;
– che le spese di lite non necessitano di regolazione non si è costituita.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.
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