CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 aprile 2012, n. 5369
Impiego pubblico privatizzato – Dirigente – Meritocrazia – Legittimo l’avanzamento di grado – Sussiste
Svolgimento del processo
Con sentenza del 20 gennaio 2010 la Corte d’Appello di Messina ha confermato la sentenza del Tribunale di Messina del 7 aprile 2005 che ha rigettato la domanda proposta da S.E. volta ad ottenere il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno nei confronti dell’Istituto Autonomo Case Popolari di Messina (IACP) per il mancato affidamento dell’incarico dirigenziale di Responsabile dell’Area Operativa Patrimoniale. La Corte territoriale ha motivato tale pronuncia considerando che la contrattazione collettiva rimette alla dirigenza dell’istituto, nell’esercizio del suo potere discrezionale, il conferimento di incarichi di posizione ai soggetti ritenuti meritevoli, mentre non prevede alcun obbligo di comparazione fra i singoli aspiranti all’incarico.
Il S. propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolato su due motivi.
L’Istituto Autonomo Case Popolari di Messina è rimasto intimato.
Motivi della decisione
Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione delle norme di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e 1370 cod. civ. con riferimento all’art. 9 del CCNL 1998/2001 del personale del Comparto delle Regioni e delle Autonomie Locali, nonché degli artt. 6 e 7 del Contratto Decentrato; e omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. In particolare si deduce che la Corte territoriale si sarebbe limitata ad affermare la discrezionalità della dirigenza nel conferimento dell’incarico in questione, senza interpretare correttamente la previsione contrattuale che fa riferimento alla natura e caratteristiche del programma da realizzare, ai requisiti culturali posseduti dal soggetto a cui viene conferito l’incarico, alle attitudini, alla capacità professionale ed esperienza, previsione che sarebbe inutile se interpretata nel senso dell’assoluta ed illimitata discrezionalità.
Con il secondo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. ai sensi dell’art. 350 n. 4 cod. proc. civ., ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 350 n. 5 cod. proc. civ. In particolare si assume che la Corte messinese avrebbe omesso di considerare il motivo di censura con il quale si deduceva che la Pubblica Amministrazione, anche in presenza del potere discrezionale affermato, è comunque tenuta all’osservanza dei criteri di correttezza e buona amministrazione di cui all’art. 97 della Costituzione, ed erano state dedotte varie circostanze che evidenzierebbero come il conferimento dell’incarico in questione ad altro soggetto, fosse determinato da motivi dettagliatamente indicati ed estranei a tali criteri previsti dalla Costituzione.
I due motivi possono essere esaminati congiuntamente riguardando, sotto diversi profili, la medesima questione, determinante ai fini del giudizio, relativa al limite del potere discrezionale posto a fondamento della motivazione della sentenza impugnata.
Questa Corte (da ultimo v. Ord. 12 ottobre 2010 n. 21088) ha affermato il principio secondo cui, in tema di impiego pubblico privatizzato, nell’ambito del quale anche gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali rivestono la natura di determinazioni negoziali assunte dall’amministrazione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, le norme contenute nel D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 19, comma 1, obbligano l’amministrazione datrice di lavoro al rispetto dei criteri di massima in esse indicati, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 cod. civ.), applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost.; tali norme obbligano la P.A. a valutazioni anche comparative, all’adozione di adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e ad esternare le ragioni giustificatrici delle scelte; laddove, pertanto, l’amministrazione non abbia fornito nessun elemento circa i criteri e le motivazioni seguiti nella scelta dei dirigenti ritenuti maggiormente idonei agli incarichi da conferire, è configurabile inadempimento contrattuale, suscettibile di produrre danno risarcibile (cfr., Cass.,n. 9814/2008; 28274/2008; 20979/2009).
Al riguardo è stato osservato che le previsioni di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, laddove prevedono che per il conferimento di ciascun incarico di funzione dirigenziale si tiene conto, in relazione alla natura e alle caratteristiche degli obiettivi prefissati, delle attitudini e delle capacità professionali del singolo dirigente, valutate anche in considerazione dei risultati conseguiti con riferimento agli obiettivi fissati nella direttiva annuale e negli altri atti di indirizzo del Ministro, obbligano l’amministrazione datrice di lavoro al rispetto degli indicati criteri di massima e, necessariamente, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede, “procedimentalizzano” l’esercizio del potere di conferimento degli incarichi, rendendo con ciò necessario procedere a vantazioni anche comparative. I suddetti principi appaiono applicabili anche in relazione alle disposizioni legislative della Regione Sicilia, laddove è previsto che “Per il conferimento di ciascun incarico dirigenziale e per il passaggio ad incarichi dirigenziali diversi, si tiene conto della natura e delle caratteristiche dei programmi da realizzare, delle attitudini e della capacità professionale del singolo dirigente, dell’attività svolta, applicando di norma il criterio della rotazione degli incarichi (cfr., R. Sicilia n. 10 del 2000, art. 9, comma l, primo periodo).
La Corte territoriale ha tuttavia fornito un’interpretazione di tali principi che, nella sostanza, ne nega l’applicazione, posto che il mero riscontro dell’accertamento delle capacità e delle attitudini del dirigente costituisce il presupposto del conferimento dell’incarico dirigenziale, ma, di per sé, non realizza alcuna effettiva comparazione tra gli aspiranti, tanto che la sentenza impugnata conclude per la legittimità del conferimento dell’incarico pur dando atto che l’odierna ricorrente poteva vantare titoli potiori”.
L’accoglimento dei motivi di ricorso suddetti comporta la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di cassazione, al Giudice indicato in dispositivo, che procederà a nuovo esame conformandosi ai suindicati principi di diritto.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso;
Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Catania.
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