Corte di Cassazione sentenza n. 5399 del 4 aprile 2012
ACCERTAMENTO – STUDI DI SETTORE – DICHIARAZIONE DEI REDDITI CON INDICAZIONE DI UN CODICE ATTIVITA’ ERRATO – L’ERRATO CODICE ATTIVITA’ ESCLUDE LA RETTIFICA DA STUDI
massima
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L’accertamento fiscale va annullato quando si basa su uno studio di settore diverso da quello applicabile all’attività esercitata, anche quando sia stato il contribuente a commettere l’errore. Va affermata l’illegittimità dell’accertamento basato sugli studi di settore quando il contribuente abbia indicato, in dichiarazione dei redditi, un codice attività erroneo da cui scaturisca l’applicazione di uno studio di settore diverso da quello previsto per la stessa attività esercitata. L’errore, sia di fatto che di diritto, commesso dal dichiarante nella redazione della dichiarazione dei redditi è emendabile e ritrattabile anche in sede contenziosa, quando dalla medesima possa derivare l’assoggettamento del dichiarante stesso ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, in base alla legge, devono restare a suo carico.
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Svolgimento del processo
La Contribuente – titolare di impresa esercente fabbricazione di ricami su dipinti e confezioni tendaggi e biancheria – propose ricorso avverso avviso di accertamento di maggior imponibili irpef, iva e irap, per l’anno 2001, definiti, in base agli “studi di settore”, con riferimento al codice di attività, 7420C, originariamente dichiarato.
A fondamento del ricorso, la contribuente esponeva che – come già riconosciuto dall’Agenzia in relazione alle due annualità precedenti – all’attività espletata andava applicato, con riguardo al pertinente studio di settore (SD06U), il codice 17546 e che, in base a questo, i valori dichiarati risultavano congrui.
L’adita commissione tributaria accolse il ricorso, con decisione che, in esito all’appello dell’Agenzia, fu, tuttavia, riformata dalla commissione regionale.
I giudici di appello in particolare – assunto che, per rimediare ad errori nella dichiarazione, la contribuente avrebbe dovuto presentare dichiarazione integrativa ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 9, comma 7, (ovvero porre in essere procedura di rimborso ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 – affermarono che la contribuente non aveva offerto elementi idonei a superare la presunzione scaturente dal codice di attività originariamente dichiarato.
Avverso tale sentenza, la contribuente ha proposto ricorso per cassazione in due motivi, illustrati anche con memoria.
L’Agenzia ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
La contribuente – deducendo violazione di legge e vizio di motivazione – censura la decisione impugnata, per aver negato l’emendabilità della dichiarazione e per non aver considerato che le risultanze degli “studi di settore”, quali dati meramente statistici, non configurano indizi gravi, precisi e concordanti idonei a configurare presunzione legale, in assenza di preventivo contraddittorio.
Le doglianze della ricorrente, che, per la stretta connessione, possono essere congiuntamente esaminate, sono fondate nei termini di seguito riportati.
Occorre invero, in primo luogo, rilevare che, con riguardo a previgenti formulazioni normative, questa Corte, ha puntualizzato che la dichiarazione dei redditi del contribuente, affetta da errore sia esso di fatto che di diritto commesso dal dichiarante nella sua redazione, è emendabile e ritrattabile anche in sede contenziosa, quando dalla medesima possa derivare l’assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico. Ciò, in quanto: a) la dichiarazione dei redditi non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti; b) un sistema legislativo che non consentisse la rettificabilità della dichiarazione, darebbe luogo a un prelievo fiscale indebito e, pertanto, non compatibile con i principi costituzionali della capacità contributiva, di cui all’art. 53 Cost., comma 1, e dell’oggettiva correttezza dell’azione amministrativa, di cui all’art. 97 Cost., comma 1? (cfr. Cass. 2226/11, 1707/07, 22021/06, s.u. 17394/02 e 15063/02).
Il criterio non è sovvertito dalla previsione del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis applicabile ratione temporis alla fattispecie, posto che, nell’ambito della relativa formulazione, il limite temporale dell’emendabilità della dichiarazione integrativa “non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo” appare doversi ritenere (anche per il dovuto ossequio ai principi di cui agli artt. 57 e 97 Cost., evocati dalla sopra richiamata giurisprudenza) necessariamente circoscritto ai fini dell’utilizzabilità “in compensazione ai sensi del D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 17?, indicata nella successiva proposizione della disposizione.
Ciò posto, deve rilevarsi che, in tema di accertamento in base a “parametri” e “studi di settore” le ss.uu. di questa Corte (cfr.Cass. 26635/09) sono pervenute all’affermazione del seguente principio: “la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sè considerati (meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività), ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente; che, in tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente; che l’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standards al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente il quale, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte, nel qual caso, tuttavia, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla base della sola applicazione degli standards, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito”.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, ed atteso che la decisione impugnata non appare aderente agli esposti principi, s’impone l’accoglimento del ricorso.
La sentenza impugnata va, dunque, cassata, con rinvio della causa, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità ad altra sezione della commissione tributaria regionale della Lombardia, che applicherà i criteri sopra evidenziati.
P.Q.M.
La Corte: accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Lombardia.
Depositata in Cancelleria il 04.04.2012
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