Corte di Cassazione sentenza n. 5481 del 05 aprile 2012
SICUREZZA SUL LAVORO – DISCIPLINA DEL RAPPORTO DI LAVORO – PREVIDENZA SOCIALE – PENSIONE: (MAGGIORAZIONI) – AMIANTO
massima
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I contributi, risultano incrementati per effetto della rivalutazione prevista dalla Legge n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, a favore dei lavoratori esposti per oltre un decennio all’amianto, dovendo al riguardo considerarsi che il beneficio connesso a tale pregressa esposizione assolve solo la funzione di agevolare il conseguimento della pensione ed è, quindi, ottenibile solo da coloro che non abbiano raggiunto il massimo di prestazione conseguibile, ossia le 2080 settimane (quarant’anni) di contribuzione.
La norma dell’art. 13, comma 8, della L. 257/1992, come modificata dall’art. 1, comma 1, del D.L. 5 giugno 1993, n. 169 e dalla relativa legge di conversione 4 agosto 1993, n. 271, deve essere interpretata nel senso che la rivalutazione per il coefficiente 1, 5 dei periodi lavorativi comportanti esposizione all’amianto, mentre non compete ai soggetti che, alla data di entrata in vigore della L. 257/1992 (28 aprile 1992) fossero già titolari di una pensione di anzianità o di vecchiaia ovvero di inabilità (quale prevista dall’art. 2 della L. 222/1984), è invece applicabile ai lavoratori che, a quella medesima data, fossero dipendenti da imprese direttamente investite dall’intervento legislativo e destinati a perdere il posto di lavoro a causa del divieto (art. 1, comma 2, della L. 257/1992) di ulteriore produzione e uso della sostanza nociva, come pure ai lavoratori occupati in imprese operanti in settori diversi (o in quella stessa di provenienza, la quale, in ipotesi, abbia realizzato una riconversione produttiva), nonchè a coloro che (sempre a quella data) versassero in uno stato di temporanea “non occupazione” e, infine, ai titolari di pensione di invalidità (di cui al R.D.L. 14 aprile 1936 n. 636, conv. In L. n. 1272/1939 e successive modificazioni) o di un assegno di invalidità (di cui all’art. 1 della L. 222/1984). Ne consegue, in virtù del principio secondo cui la prestazione si liquida – Cass. civ., Sez. lavoro, 09/12/2002, n. 1752 – in base alle disposizioni vigenti al momento della acquisizione del diritto, che il beneficio previsto dall’art. 13, comma 8, va riconosciuto ai lavoratori che abbiano conseguito la pensione di anzianità o di vecchiaia ovvero di inabilità con decorrenza successiva alla entrata in vigore della L. n. 257/1992, i quali tuttavia, pur avendo maturato i requisiti richiesti per la maggiorazione – (esposizione ultradecennale all’amianto, soggezione all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’esposizione all’amianto e al rischio morbigeno) e adempiuto il relativo onere probatorio, possono giovarsene per migliorare la prestazione sempre che non abbiano già raggiunto il massimo di prestazione conseguibile, ossia i 40 anni di contribuzione.
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FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Brescia, in riforma di decisione del Tribunale di Bergamo, ha accolto la domanda proposta da (Omissis) – titolare di una pensione di vecchiaia liquidata dall’INPS nella gestione autonoma commercianti ai sensi della Legge n. 233 del 1990, art. 16 (con il cumulo, cioè, dei contributi di lavoro dipendente, questi ultimi maggiorati della rivalutazione dei periodi di esposizione all’amianto) – e ha condannato l’Istituto previdenziale al ripristino del trattamento, ritenendolo illegittimamente decurtato in applicazione del limite massimo di 2080 settimane pensionabili sul rilievo che il limite in parola opera nell’ambito di ciascuna delle gestioni presso le quali sono stati versati i contributi, ma non rispetto al cumulo delle quote calcolate per ogni gestione.
L’INPS ricorre per la cassazione di questa sentenza con un unico motivo. L’assicurato resiste con controricorso. L’INPS ha anche depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
DIRITTO
1. Denunciando violazione della Legge n. 233 del 1990, art. 16 e della Legge n. 257 del 1992, art. 13, l’INPS sostiene che il limite dei 40 anni di contribuzione connota la liquidazione tanto dei trattamenti a carico del Fondo lavoratori dipendenti, quanto di quelli liquidati, in virtù di contribuzione cd. mista, in una gestione di lavoro autonomo; né rileva, ai fini di una diversa interpretazione dell’art. 16 citato, la circostanza che la contribuzione di lavoro dipendente risulti incrementata a seguito dell’applicazione del coefficiente moltiplicatore di cui alla Legge n. 257 del 1992, art. 13, comma 8.
2. Il ricorso è fondato.
3. La questione oggetto di causa è stata decisa più volte da questa Corte nei sensi prospettati dall’Istituto ricorrente (e proprio con riferimento a fattispecie in cui il lavoratore aveva raggiunto i quarant’anni di contribuzione presso la gestione lavoratori dipendenti anche all’esito della rivalutazione dei periodi di esposizione all’amianto) con l’affermazione del principio secondo cui “Ove il lavoratore sia titolare di una posizione assicurativa presso varie gestioni dei lavoratori autonomi, ovvero presso una di queste e la gestione per i lavoratori dipendenti, il limite massimo di quaranta anni di contribuzione utilmente valutabile opera non solo nell’ambito di ciascuna delle gestioni presso cui sono versati i contributi ma anche rispetto al cumulo delle quote calcolate per ogni gestione. Tale conclusione, pur non espressamente affermata dalla normativa, risponde ad una interpretazione logico-sistematica atteso che la Legge 2 agosto 1990, n. 233, art. 16, nel prevedere il cumulo dei periodi assicurativi versati nelle diverse gestioni, riconduce il sistema pensionistico ad una concezione unitaria, caratterizzata da regole uniformi che si traducono in un cumulo contributivo effettivo e non meramente virtuale, con la liquidazione di una pensione unica e non di pensioni diverse collegate funzionalmente; né, per contro, può assumere valore ostativo la circostanza che, per uno dei trattamenti, la liquidazione sia effettuata con il sistema cosiddetto retributivo, la cui introduzione è avvenuta in contemporanea all’adozione, sia per il fondo lavoratori dipendenti che per i fondi speciali dei lavoratori autonomi, del limite massimo di anni di contribuzione, destinato ad operare, attraverso la tendenziale valorizzazione dei livelli di retribuzione degli anni più favorevoli, proprio quale limite ai benefici pensionistici conseguenti all’applicazione del sistema retributivo” (Cass. n. 18569/2008, n. 11193/2009, n. 17237/2010, n. 27677/2011).
4. Da questo principio il Collegio non ha ragione di discostarsi, costituendo lo stesso applicazione della regola più generale per cui nel regime dell’assicurazione obbligatoria, nonostante la sua articolazione in diverse gestioni, ogni assicurato può conseguire la liquidazione di una sola pensione, mediante la valorizzazione dei contributi versati nelle varie gestioni, anche se con modalità diverse.
5. Peraltro, una diversa interpretazione dell’art. 16, qui denunciato, si tradurrebbe in una ingiustificata disparità di trattamento, poiché otterrebbe una più favorevole pensione il lavoratore che possa cumulare ai quarant’anni di contribuzione nel Fondo per i lavoratori dipendenti altri periodi di contribuzione presso un Fondo dei lavoratori autonomi, rispetto al lavoratore che invece possegga, analogamente, più di quarant’anni di contributi, ma tutti versati nel Fondo per i lavoratori dipendenti.
6. Né è di ostacolo alla esposta ricostruzione la circostanza che i contributi di lavoro dipendente risultino incrementati per effetto della rivalutazione prevista dalla Legge n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, a favore dei lavoratori esposti per oltre un decennio all’amianto, dovendo al riguardo considerarsi che il beneficio connesso a tale pregressa esposizione assolve solo la funzione di agevolare il conseguimento della pensione ed è, quindi, ottenibile solo da coloro che non abbiano raggiunto il massimo di prestazione conseguibile, ossia le 2080 settimane (quarant’anni) di contribuzione (vedi, tra tante, Cass. n. 17528 del 2002).
7. In conclusione il ricorso va accolto e, cassata la sentenza impugnata, la causa è decisa nel merito (art. 384 c.p.c., comma 2) sulla base dei principi di diritto sopra enunciati, con il rigetto della domanda proposta dall’originario ricorrente.
8. Sussistono giusti motivi, desumibili dall’assenza di un consolidato orientamento giurisprudenziale, anche di legittimità, all’epoca del giudizio di merito, in una con la complessità delle questioni trattate, per compensare integralmente tra le parti le spese dell’intero processo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda; compensa tra le parti le spese dell’intero processo.
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