Corte di Cassazione sentenza n. 5572 del 9 marzo 2011
IVA – RIMBORSO – AZIENDA FALLITA – DIFFERENZE DI MAGAZZINO – INVENTARIO REALE – PRESUNZIONE DI CESSIONE IN NERO – CONFRONTO SUI BENI
massima
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Spetta il rimborso dell’Iva all’azienda che ha inventariato le proprie merci a un valore di realizzo inferiore ai prezzi di acquisto storicamente sostenuti. In particolare ,”il confronto deve essere eseguito, perché sia applicabile la presunzione di cessione Iva, sui beni e non sul mero valore attribuito loro. Nella specie, peraltro, il raffronto è stato eseguito dall’ufficio, basandosi non sull’individuazione dei singoli beni, ma riscontrando la differenza del valore attribuita loro in tempi e con criteri diversi”.
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FATTO
L’Agenzia delle entrate di Napoli, Ufficio di Nola, con avviso …., notificato il 3.2.2004, rettificava nei confronti della società C. s.r.l., dichiarata fallita il 18.5.2000, la dichiarazione per l’anno 1999, a seguito di accertamento analitico induttivo sul reddito I.R.Pe.G., I.R.A.P. ed I.V.A. in applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, e art. 40 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 chiedendo le maggiori imposte con le relative sanzioni.
E.F., curatore fallimentare della società, impugnava l’avviso di rettifica innanzi alla C.T.P. di Napoli. Resisteva l’Ufficio.
Successivamente lo stesso curatore impugnava il provvedimento di diniego di un rimborso I.V.A. per L. 480.000.000, notificato il 20.2.2004, sempre per l’anno 1999. Anche detto atto veniva contestato innanzi alla C.T.P. di Napoli, lamentando che l’Ufficio non aveva tenuto conto che dai verbali d’inventario, redatti dal curatore, risultavano rimanenze per L. 151.880.000 ed un contratto di locazione d’azienda con altra società con cui erano state concesse in locazione altri beni, semilavorati e merci del valore di L. 53.000.000. Si costituiva l’Ufficio chiedendo il rigetto del ricorso, previa riunione con la precedente impugnativa.
La C.T.P. accoglieva i ricorsi riuniti, sulla considerazione che la cessione di beni di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 53, commi 1 e 3, ammette prova contraria e, nel caso di specie, esistevano i verbali d’inventario redatti dal curatore aventi data certa; annullava, pertanto, gli atti impugnati. Proponeva gravame l’Agenzia e resisteva il fallimento proponendo anche appello incidentale in ordine alle spese.
La C.T.R. della Campania accoglieva l’appello principale, confermando l’accertamento ed il diniego del rimborso sulla considerazione che sussisteva un divario enorme tra il valore dei beni risultanti dal bilancio del 31.12.1998 pari a L. 1.322.779.000 e quello dichiarato, a seguito di inventano del curatore, di L. 255.857.000 per cui poteva concludersi che la differenza era dovuta a cessioni non contabilizzate.
Avverso detta decisione il fallimento C. s.r.l. propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. Resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso con il quale contesta quanto ex adverso sostenuto.
DIRITTO
Con il primo e secondo motivo da esaminarsi congiuntamente, si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 40, D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 53 e 54, artt. 2697, 2700, 2703, 2727, 2728 e 2729 c.c., artt. 99, 112, 115 e 116 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per avere la C.T.R. ritenuto valida la presunzione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 53 in relazione alla cessione di beni non reperiti nei luoghi in cui il contribuente esercita la sua attività; mentre, nella specie, il dato ottenuto non era reale perchè i beni presuntivamente ceduti erano stati valutati in momenti e con criteri diversi, dato che il valore dei beni risultanti dal bilancio era stato computato sul prezzo di acquisto e quello risultante dagli inventari del curatore era stato effettuato sul valore di mercato, dati questi da ritenersi, quindi, disomogenei. Afferma, quindi, parte ricorrente che l’accertamento avrebbe dovuto essere eseguito non sulla contrapposizione dei valori dei beni ma raffrontando la quantità ed il numero degli stessi singolarmente considerati.
Lamenta, inoltre, il fatto che la C.T.R. non abbia ritenuto mezzo di prova idoneo gli inventari redatti dal curatore fallimentare, pubblico ufficiale, per contrastare la presunzione di cui all’art. 53 D.P.R. citato.
Con la terza doglianza si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 30, artt. 2697, 2700, 2703, 2727, 2728 e 2729 c.c., artt. 99, 112, 115 e 116 c.p.c., per avere la C.T.R. ritenuto legittimo il diniego del rimborso poichè il contribuente, su cui incombeva l’onere della prova, non aveva provato, con la consegna delle fatture, il diritto alla detrazione I.V.A. pure nell’ipotesi, come nella specie, di mancanza di scritture contabili e delle fatture andate tutte distrutte a seguito d’incendio sviluppatosi nei locali degli uffici della società quando era in bonis, mentre l’onere probatorio in ordine all’attendibilità dei fatti sarebbe posto a carico solo od anche dell’Agenzia delle entrate attraverso controlli incrociati da effettuarsi sui dati dell’Anagrafe tributaria e dei bilanci della società, successivamente fallita, depositati presso la Camera di commercio.
Occorre, preliminarmente, dichiarare l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze in quanto lo stesso nel presente procedimento è privo di legittimazione processuale, non essendo stato parte nel giudizio di appello dal quale deve intendersi tacitamente estromesso (cass. civ. sentt. nn. 9004/2007, 22889/2006), come è dato rilevare anche dall’epigrafe della sentenza impugnata, ove il gravame risulta proposto dall’Agenzia delle entrate, Ufficio di Nola, in data 19.6.2006.
A seguito della riforma dell’Amministrazione finanziaria ai sensi del D.Lgs. n. 300 del 1999, sono state istituite le Agenzie fiscali e, pertanto, a partire dal 1° gennaio 2001 (data d’inizio dell’operatività di detti enti), la legittimazione processuale attiva e passiva nel contenzioso tributario compete a dette istituzioni, dotate di personalità giuridica, e non più al Ministero od agli uffici periferici dello stesso non più esistenti a seguito dell’intervenuta riforma.
Non si statuisce sulle relative spese dato che la parte intimata non si è costituita.
È necessario, inoltre, dichiarare l’inammissibilità del controricorso presentato dall’Agenzia delle entrate in quanto tardivo, essendo stata la notifica inviata alla parte ricorrente solo il 24.7.2008, a fronte dell’avvenuta ricezione della notificazione del ricorso in data 16 e 17.4.2008, per come risulta dagli avvisi di ricevimento depositati in atti.
Il primo e secondo motivo di ricorso, da esaminarsi congiuntamente, data l’intima connessione logico – giuridica, sono fondati.
Lamenta sostanzialmente la curatela del fallimento l’errore compiuto dai verificatori che hanno ritenuto non spettante il rimborso I.V.A. relativo ai beni della fallita società risultanti dall’inventario come rimanenze nel bilancio al 31.12.1998 e raffrontati con l’inventario compiuto dalla curatela, data la diversità dei valori degli stessi riportati in detti atti, non essendo stato eseguito un raffronto analitico, individuando fisicamente i beni stessi. La difformità dei valori conseguiva al diverso criterio di valutazione espresso nel 1999 svolto in base al valore risultante dall’acquisto, mentre quello risultante dopo il fallimento derivava dall’attribuzione di un valore di realizzazione in vendita fallimentare. Conseguentemente, l’applicazione di tali diversi criteri di valutazione aveva fatto riscontrare un notevole divario tra le due risultanze economiche.
Occorre premettere che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 53 istituisce una presunzione di cessione dei beni attraverso il raffronto fra quelli annotati nell’inventario e quelli realmente presenti in magazzino e “nei luoghi in cui il contribuente esercita la sua attività, comprese le sedi secondarie, filiali, succursali, ecc.; tale dizione non lascia adito ad alcun dubbio che il confronto debba essere eseguito, perchè sia applicabile la presunzione di cessione, sui beni e non sul mero valore attribuito loro. Nella specie, peraltro, il raffronto è stato eseguito dall’Ufficio, basandosi non sull’individuazione dei singoli beni, ma riscontrando solo la differenza del valore attribuita loro in tempi storici e con criteri diversi.
Conseguentemente il contribuente, nella specie la curatela fallimentare, deve fornire (ed ha fornito) la prova sull’esistenza dei beni sulla base all’inventario redatto dal curatore, pubblico ufficiale, al momento della dichiarazione di fallimento, beni ritenuti, invece, presuntivamente ceduti dall’Ufficio non perchè non ritrovati, non risultando che siano stati analiticamente e fisicamente riscontrati, ma perchè esistente una differenza di valore attribuito agli stessi in momenti storici diversi.
Peraltro, deve essere considerato che altro è il prezzo che si paga al momento dell’acquisto e che si può, quindi, ricavare da un bene quando esso è immesso nel circuito di un’impresa in attività, ed altro è il prezzo dello stesso bene quando debba essere realizzato in una vendita fallimentare (cfr., in motivazione, cass. civ. sent. n. 14580/2001).
Tutto ciò premesso, le doglianze del primo e secondo motivo vanno accolte, mentre resta assorbito il terzo, e, cassata la sentenza impugnata, la causa va rinviata per un nuovo esame ad altra sezione della C.T.R. della Campania perchè alla luce di quanto sopra espresso verifichi la reale esistenza dei beni non in base al valore loro attribuito ma esaminando analiticamente la presenza degli stessi per come risultanti dall’inventario, dal bilancio e da quello del curatore, riscontrando, inoltre, se siano coincidenti quanto a qualità e quantità. Per i beni eventualmente mancanti va applicata la presunzione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 53 (v., ex multis, cass. civ. sentt. nn. 10947/2002, 3226/2007 e 16838/2008).
La stessa C.T.R. provvederà, inoltre, al governo delle spese di questa fase di legittimità.
P.Q.M.
LA CORTE
dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze. Accoglie il primo e secondo motivo del ricorso avanzato nei confronti dell’Agenzia delle entrate, assorbita la terza censura, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della C.T.R. della Campania.
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