Corte di Cassazione sentenza n. 5656 del 7 marzo 2013
LAVORO – LAVORO SUBORDINATO – CATEGORIE E QUALIFICHE DEI PRESTATORI DI LAVORO – QUALIFICHE – ACCERTAMENTO – CRITERI – INSINDACABILITÀ IN SEDE DI LEGITTIMITÀ – LIMITI
massima
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La determinazione dell’inquadramento spettante al lavoratore alla stregua delle qualifiche previste dalla disciplina collettiva di diritto comune si articola in una attività interpretativa complessa che postula, nell’ordine, l’accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, l’individuazione dei criteri generali ed astratti caratteristici delle singole categorie e qualifiche alla stregua della disciplina collettiva del rapporto ed il raffronto tra il risultato della prima indagine e la normativa contrattuale individuata. L’accertamento della natura delle mansioni concretamente svolte dal dipendente, ai fini dell’inquadramento del medesimo in una determinata categoria di lavoratori, costituisce giudizio di fatto riservato al giudice del merito ed è insindacabile, in sede di legittimità, se sorretto da logica ed adeguata motivazione.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Roma, con sentenza in data 3 dicembre 2007, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riconosceva a G.G. il diritto ad essere inquadrato nella categoria D, livello D1, del C.C.N.L. di categoria, quale caposquadra/turno magazzino/spedizioni, con decorrenza dal primo aprile 1994, e condannava la società R.T.C. – R.T.C. S.p.A. al pagamento delle differenze retributive maturate dal primo gennaio 1994 da liquidarsi in separata sede, con gli accessori di legge.
Dopo avere preso in esame le declaratorie contrattuali ed i relativi profili professionali, la Corte territoriale osservava che dalle prove testimoniali era emerso che le mansioni svolte dal G.G. erano riconducibili a quelle dei dipendenti inquadrati nella categoria D1.
Egli infatti, oltre ad occuparsi, in quanto dipendente più anziano, della gestione del magazzino, coordinava l’attività di un altro dipendente e di due operai esterni. Inoltre si occupava di assicurare il rifornimento delle merci, contattava personalmente i fornitori, curava la conservazione delle merci ed era l’unico responsabile della gestione del materiale infiammabile. Il fatto poi che nel magazzino non vi fosse un grande passaggio di merci, non escludeva che il lavoratore dovesse comunque controllare il transito e la destinazione delle stesse.
Per la Cassazione della sentenza propone ricorso la società sulla base di due motivi. Il lavoratore resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, al quale fa seguito il relativo quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c., allora in vigore, la società ricorrente, denunziando falsa applicazione dell’art. 4 C.C.N.L. 19 marzo 1994 per gli addetti alle industrie chimiche e farmaceutiche, deduce che la Corte territoriale nel riconoscere al lavoratore l’inquadramento nella categoria D, profilo D1, ha erroneamente interpretato le clausole contrattuali.
Trascrive le dichiarazioni rese in sede di libero interrogatorio dalle parti nonché quelle dei testi assunti in primo grado e rileva che in presenza di tali dichiarazioni il giudice d’appello avrebbe dovuto ritenere corretto l’inquadramento del G.G. nella categoria D, profilo D3, attribuitogli sin dal 1997, e cioè nel profilo dello addetto spedizioni, nel quale rientrano i lavoratori che svolgono le mansioni cui era adibito il G.G. (controllo dei documenti relativi ai materiali in entrata e uscita dal magazzino, controllo della rispondenza tra ordine e bolla di prelievo, operazioni di scarico contabile, controllo dei documenti occorrenti per la spedizione, verifica di ogni altra attività contabile).
Era invece da escludere che il G.G. disimpegnasse le mansioni riservate ai dipendenti inquadrati nella categoria D1, non risultando, alla stregua delle prove acquisite, che il lavoro da lui svolto richiedesse una esperienza approfondita, che egli operasse in autonomia, che fosse preposto alla guida e al controllo dei collaboratori.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denunzia omessa e insufficiente motivazione su un punto controverso e decisivo.
Deduce che la Corte territoriale ha erroneamente equiparato il magazzino in cui operava il G.G. ad un magazzino generale “secondo il concetto di esso fatto palese dal profilo del capo squadra/turno magazzino/spedizioni (D1)”, non attribuendo rilevanza al fatto che “non vi fosse un grande passaggio di merci”.
Tale circostanza, invece, era rilevante perché escludeva che il G.G., sotto l’aspetto quantitativo, svolgesse le stesse mansioni dell’addetto ad un magazzino generale.
Inoltre, alcun rilievo poteva attribuirsi al fatto che il lavoratore si occupava anche degli aspetti relativi al rifornimento delle merci, da un lato perché il profilo contrattuale non richiamava siffatta incombenza e dall’altro perché tale attività veniva svolta solo in caso di urgenza e con l’intervento del superiore.
3. Entrambi i motivi, che per ragioni di connessione vanno trattati congiuntamente, sono infondati.
Questa Corte ha avuto modo più volte di affermare che la determinazione dell’inquadramento spettante al lavoratore alla stregua delle qualifiche previste dalla disciplina collettiva di diritto comune si articola in una attività interpretativa complessa che postula, nell’ordine, l’accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, l’individuazione dei criteri generali ed astratti caratteristici delle singole categorie e qualifiche alla stregua della disciplina collettiva del rapporto ed il raffronto tra il risultato della prima indagine e la normativa contrattuale individuata. L’accertamento della natura delle mansioni concretamente svolte dal dipendente, ai fini dell’inquadramento del medesimo in una determinata categoria di lavoratori, costituisce giudizio di fatto riservato al giudice del merito ed è insindacabile, in sede di legittimità, se sorretto da logica ed adeguata motivazione (cfr., tra le più recenti, Cass. 30 ottobre 2008 n. 26233; Cass. 31 dicembre 2009 n. 28284; Cass. 27 settembre 2010 n. 20272).
Ritiene la Corte che la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di tali criteri, apparendo l’apprezzamento delle circostanze di fatto emerse nel corso dell’istruttoria adeguato e logicamente coerente sia rispetto al contenuto delle declaratorie contrattuali, sia con riguardo all’individuazione dei caratteri delle mansioni svolte.
Ed infatti, come esposto nella narrativa, il giudice d’appello ha accertato che il G.G., oltre ad occuparsi, in quanto dipendente più anziano, della gestione del magazzino, coordinava l’attività di un altro dipendente e di due operai esterni; controllava l’entrata e l’uscita delle merci, destinate non solo ai vari reparti della società, ma anche alle altre società del gruppo; si occupava di assicurare il rifornimento delle merci e di conservarle opportunamente, essendo egli l’unico responsabile della gestione del materiale infiammabile; contattava personalmente i fornitori e curava ogni altra relativa incombenza.
Tutte tali mansioni la Corte territoriale ha ricondotto nella previsione della categoria D, profilo D1, ritenendo irrilevante il fatto che “non vi fosse un grande passaggio di merci”.
A fronte di tale accertamento, correttamente motivato, coerente e privo di vizi logici e quindi insindacabile in sede di legittimità, la società ricorrente si è limitata a prospettare un diverso apprezzamento delle risultanze processuali, dando rilievo a circostanze (come l’asserita non grande dimensione del magazzino) inidonee a superare il verificato contenuto delle mansioni disimpegnate dal G.G., ricostruite sulla base di una attenta lettura delle deposizioni testimoniali, ed il conseguente inquadramento sulla base della disciplina contrattuale.
Con la conseguenza che il ricorso, in quanto essenzialmente volto a prefigurare una diversa opzione interpretativa senza tuttavia sminuire la tenuta logica e normativa di quella adottata dalla Corte territoriale, non risulta idoneo a contrastare l’accertamento da quest’ultima operato.
Devesi, in proposito ricordare che la denuncia di un vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare autonomamente il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì soltanto quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, le argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva l’accertamento dei fatti, all’esito della insindacabile selezione e valutazione delle fonti del proprio convincimento.
4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, previa condanna del ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio, come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 50,00 per esborsi ed euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.
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