Corte di Cassazione sentenza n. 5729 del 11 aprile 2012
ACCERTAMENTO – NOTIFICA VALIDA ANCHE SE IL FAMILIARE NON E’ CONVIVENTE
massima
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In tema di notificazioni, la consegna dell’atto da notificare “a persona di famiglia”, secondo il disposto dell’art. 139 c.p.c., non postula necessariamente né il solo rapporto di parentela – cui è da ritenersi equiparato quello di affinità – né l’ulteriore requisito della convivenza del familiare con il destinatario dell’atto, non espressamente menzionato dalla norma, risultando, all’uopo, sufficiente l’esistenza di un vincolo di parentela o di affinità che giustifichi la presunzione che la “persona di famiglia” consegnerà l’atto al destinatario stesso; resta, in ogni caso, a carico di colui che assume di non aver ricevuto l’atto l’onere di provare il carattere del tutto occasionale della presenza del consegnatario in casa propria, senza che a tal fine rilevino le sole certificazioni anagrafiche del familiare medesimo.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La controversia promossa da D.M.L. contro l’Agenzia delle Entrate è stata definita con la decisione in epigrafe, recante il parziale rigetto dell’appello proposto dal contribuente contro la sentenza della CTP di Salerno n. 477/1/2006 che aveva accolto il ricorso del contribuente avverso le cartelle di pagamento n. (OMISSIS) per iva, irpef e irap relative agli anni 1999- 2002.
Il ricorso proposto si articola in tre motivi. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate. Il relatore ha depositato relazione ex art. 380 bis c.p.c. Il presidente ha fissato l’udienza del 6/3/2012 per l’adunanza della Corte in Camera di Consiglio. Il P.G. ha concluso aderendo alla relazione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con primo motivo (con cui deduce: violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, nullità della sentenza per assoluta carenza di motivazione) il ricorrente assume la nullità della sentenza che evidenzierebbe una “mera adesione acritica alla tesi prospettata dall’appellante, senza nessuna considerazione dei punti decisivi della controversia prospettati dalla parte appellata”.
La censura è inammissibile per difetto di autosufficienza nella parte in cui si lamenta la mancata considerazione dei punti decisivi prospettati da parte appellata stante la mancata trascrizione della comparsa di costituzione; infondata nel resto e la censura essendo possibile dalla lettura della sentenza l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni che stanno a fondamento del dispositivo (cfr. Cass. nn. 15951/2003, 13990/2003, 2711/1990, 5101/1999, 3282/1999, 1944/2001).
Con secondo motivo (con cui deduce violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4) il ricorrente assume la nullità della sentenza in quanto la CTR avrebbe omesso di pronunciarsi in ordine alla eccezione di inammissibilità dell’appello formulata dal contribuente.
A riguardo questa Corte osserva che la CTR, pur dando atto nello “svolgimento del processo” che il D.M. “evidenziava la violazione dell’art. 329 c.p.c., relativamente alla improponibilità dell’appello per aver operato l’Ufficio lo sgravio dell’iscrizione a ruolo”, non ha adottato alcuna determinazione a riguardo. Alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111 Cost., comma 2, nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., si ritiene di poter esaminare la doglianza in quanto la questione di diritto posta con il suddetto motivo è infondata (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito) (Sez. 2, Sentenza n. 2313 del 01/02/2010). Ed infatti “L’acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell’impugnazione ai sensi dell’art. 329 c.p.c., consiste nell’accettazione della sentenza, ovverosia nella manifestazione da parte del soccombente della volontà di non impugnare, la quale può avvenire sia in forma espressa che tacita: in quest’ultimo caso, l’acquiescenza può ritenersi sussistente soltanto quando l’interessato abbia posto in essere atti da quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia, e cioè gli atti stessi siano assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell’impugnazione. Ne consegue che la spontanea esecuzione della pronunzia di primo grado favorevole al contribuente da parte della P.A., anche quando la riserva d’impugnazione non venga dalla medesima a quest’ultimo resa nota, non comporta acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell’impugnazione ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 329 c.p.c., e D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 49, trattandosi di un comportamento che può risultare fondato anche sulla mera volontà di evitare le eventuali ulteriori spese di precetto e dei successivi atti di esecuzione” (Sentenza n. 24547 del 20/11/2009; Sez. 5, Sentenza n. 2826 del 07/02/2008).
Con terzo motivo (con cui deduce violazione degli artt. 149 e 160, e del L. n. 890 del 1992, artt. 7 e 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonché difetto di motivazione) il ricorrente assume che la CTR avrebbe violato tali disposizioni nel ritenere valida la notifica degli avvisi compiuta nei confronti di persona dichiaratasi incaricata.
La censura è infondata. La CTR ha ritenuto rituale la notifica degli atti effettuata “per il tramite della Sig.ra D.M.C. sulla base della sola appartenenza della stessa al gruppo familiare del contribuente, quale requisito sufficiente a renderla idonea al ricevimento degli atti… anche in sede di ritiro delle raccomandate all’Ufficio Postale. Tale pronuncia risulta conforme ai principi affermati da questa Corte (Sez. 6 – L, Ordinanza n. 21362 del 15/10/2010; Sentenza n. 23368 del 30/10/2006) secondo cui In tema di notificazioni, la consegna dell’atto da notificare “a persona di famiglia”, secondo il disposto dell’art. 139 c.p.c., non postula necessariamente né il solo rapporto di parentela – cui è da ritenersi equiparato quello di affinità – né l’ulteriore requisito della convivenza del familiare con il destinatario dell’atto, non espressamente menzionato dalla norma, risultando, all’uopo, sufficiente l’esistenza di un vincolo di parentela o di affinità che giustifichi la presunzione che la “persona di famiglia” consegnerà l’atto al destinatario stesso; resta, in ogni caso, a carico di colui che assume di non aver ricevuto l’atto l’onere di provare il carattere del tutto occasionale della presenza del consegnatario in casa propria, senza che a tal fine rilevino le sole certificazioni anagrafiche del familiare medesimo.
Consegue da quanto sopra il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente alla rifusione, in favore dell’Amministrazione Finanziaria, delle spese del grado che si liquidano in complessivi Euro 2.500,00, oltre spese prenotate a debito.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione, in favore dell’Amministrazione Finanziaria, delle spese del grado che si liquidano in complessivi Euro 2.500,00,00, oltre spese prenotate a debito.
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