Corte di Cassazione sentenza n. 5731 del 11 aprile 2012
LAVORO (RAPPORTO DI) – SOCIETA’ CHE IMPIEGA COLLABORATORI “IN NERO” – ACCERTAMENTO INDUTTIVO – IMPRESA
massima
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È possibile l’accertamento induttivo anche per l’impiego di lavoratori in nero.
In tema di accertamento induttivo del reddito non è legittimo quello fondato esclusivamente sullo scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dalla applicazione degli studi di settore soprattutto se il contribuente in sede di contraddittorio ha giustificato tale discrasia (Commiss. Trib. Reg. Emilia-Romagna Bologna, Sez. XVIII, 14/03/2011, n. 26). Ne consegue l’ammissibilità dell’accertamento induttivo del reddito, pur in presenza di scritture contabili formalmente corrette, qualora la contabilità possa essere considerata complessivamente ed essenzialmente inattendibile, in quanto confliggente con l’accertamento della presenza di “forza lavoro” non dichiarata.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La controversia promossa da P. s.r.l. contro l’Agenzia delle Entrate è stata definita con la decisione in epigrafe, recante il rigetto dell’appello proposto dalla Agenzia contro la sentenza della CTP di Roma n. 2211 /2008 che aveva accolto il ricorso della società avverso l’avviso di accertamento Iva, Irpeg e Irap 2002, con il quale erano stati rideterminati i ricavi della società sulla base della presenza di due lavoratrici non dichiarate. La CTR riteneva illegittimo l’accertamento sulla base della sentenza del Tribunale di Roma che aveva escluso la natura subordinata dei rapporti di lavoro.
Il ricorso proposto si articola in tre motivi. Nessuna attività difensiva ha svolto l’intimata. Il relatore ha depositato relazione ex art. 380 bis c.p.c . Il presidente ha fissato l’udienza del 6/3/2012 per l’adunanza della Corte in Camera di Consiglio. Il P.G. ha concluso aderendo alla relazione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con primo motivo, con cui deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 39 del D.P.R. 600/73 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. , la ricorrente assume che la CTR avrebbe violato tale norma nell’annullare l’avviso di accertamento nonostante la contribuente non avesse sollevato alcuna contestazione in ordine alla presenza delle lavoratrici “in nero” , né in ordine alla presunzione di maggiori ricavi. Con secondo motivo la ricorrente assume la violazione e falsa applicazione dell’ art. 112 c.p.c. in relazione all’ art. 360 n. 4 c.p.c. La CTR avrebbe omesso la pronuncia in ordine ad uno specifico motivo di impugnazione formulato dall’ Ufficio relativo alla mancata contestazione da parte della società della presenza delle lavoratrici in nero ed alla ricostruzione dei ricavi.
Con terzo motivo la ricorrente assume la insufficiente motivazione in ordine ad un fatto decisivo e controverso. La sentenza non esporrebbe le ragioni in base alle quali avrebbe disatteso la specifica contestazione dell’Agenzia in ordine alla incontestata presenza delle lavoratrici- indipendentemente dalla natura subordinata del rapporto di lavoro, nonché sulla circostanza che la società non aveva contestato la ricostruzione dei ricavi ed il volume di affari come determinati dall’Ufficio.
Le censure di cui al primo ed al terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono fondate.
In tema di accertamento delle imposte, l’art. 39 del D.P.R. n. 600 del 1973 fa salva la possibilità di desumere l’esistenza di attività non dichiarate, facendo ricorso a presunzioni semplici, assistite dalla connotazione civilistica di cui agli artt. 2727-2729 c.c. Ne consegue l’ammissibilità dell’accertamento induttivo del reddito, pur in presenza di scritture contabili formalmente corrette, qualora la contabilità possa essere considerata complessivamente ed essenzialmente inattendibile, in quanto confliggente con l’accertamento della presenza di “forza lavoro” non dichiarata.
Non risulta conforme a tali principi La decisione impugnata nella quale è peraltro riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che ha condotto la CTR alla formazione del proprio convincimento alla luce delle censure espressamente sollevate dall’ Agenzia circa la rilevanza della “forza lavoro” accertata.
Inammissibile è il secondo motivo di ricorso stante la mancata completa trascrizione del capo di appello il cui esame sarebbe stato omesso dalla CTR (la ricorrente si limita ad estrapolare un passo di un’argomentazione). Ove. infatti, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato art. 112 cod. proc. civ., riconducibile alla prospettazione di un’ipotesi di “error in procedendo” per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca ma solo ad una verifica degli stessi. Consegue da quanto sopra la cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti ed il rinvio, anche per le spese di questo grado, ad altra sezione della CTR del Lazio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e terzo motivo di ricorso, rigetta il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo grado, ad altra sezione della CTR del Lazio.
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