Corte di Cassazione sentenza n. 5827 del 8 marzo 2013
AVVOCATO – IMPOSTA REDDITO PERSONE FISICHE E GIURIDICHE – REDDITI DI LAVORO AUTONOMO – ATTIVITA’ DI CONSULENZA FINANZIARIA – CUMULABILITA’ DEI REDDITI
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 15.2.2007-13.6.2008, la Corte d’Appello di Roma, accogliendo il gravame proposto da (OMISSIS) nei confronti dell’Inarcassa – Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza per gli Ingegneri ed Architetti Liberi Professionisti, dichiarò la nullità dell’avviso di accertamento in data 7.3.2001 e che nulla era dovuto dall’appellante per i titoli ivi dedotti. A sostegno del decisum la Corte territoriale osservò quanto segue:
– il reddito sottoposto dall’Inarcassa a contribuzione ed oggetto dell’avviso di accertamento impugnato si riferiva pacificamente a compensi percepiti dal (OMISSIS) quale amministratore e sindaco di società;
– il Tribunale aveva disatteso la domanda affermando che gli incarichi in questione non potevano essere considerati attività professionali solamente qualora non fossero rientrati nell’oggetto dell’arte o della professione tipica di una determinata categoria di libero professionista, nella specie ingegnere, e che le fatture relative ai predetti compensi facevano riferimento ad enti aventi ad oggetto la progettazione e l’esecuzione di opere edili, rispetto al quale l’incarico di amministratore ben poteva comportare l’esercizio di attività di natura tecnico-professionale;
– doveva per contro ritenersi che il reddito assoggettato a contribuzione comprende tutti i corrispettivi rientranti nel volume di affari, ma che con tale espressione devono intendersi soltanto i corrispettivi riferiti e collegati allo specifico esercizio della professione;
– la funzione di organo di società, ancorché da sola non consenta la maturazione del diritto a prestazioni a carico della cassa di previdenza, non esclude di per sè la soggezione a contribuzione, qualora però l’ente impositore offra la prova, della quale è onerato ai sensi dell’art. 2697 c.c., che ne risultino compensate attività degli stessi organi riconducibili, obiettivamente, all’esercizio della professione;
– se doveva ritenersi riconducibile in ogni, caso all’esercizio della professione la partecipazione dell’ingegnere, in qualsiasi ruolo, ad una società di ingegneria, in quanto si tratterebbe di esercizio in forma societaria dell’attività professionale stessa, altrettanto non poteva dirsi con riferimento a società aventi ad oggetto, come nella fattispecie di causa, attività di natura edilizia;
– nel caso all’esame l’Inarcassa, che ne era onerata, non aveva fornito la prova che i corrispettivi in parola fossero diretti a compensare attività obiettivamente riconducibili alla professione di ingegnere.
Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale l’Inarcassa ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi e illustrato con memoria.
L’intimato (OMISSIS) ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione di plurime disposizioni normative, nonché vizio di motivazione, deduce che, nella ricorrenza degli indici in presenza dei quali sorge l’obbligo di iscrizione, si avrebbe una presunzione legale di esercizio continuativo della professione, sicché tutti i redditi dichiarati ai fini fiscali come professionali, dovrebbero ritenersi assoggettati a percussione contributiva, salva la prova contraria, trattandosi di presunzione iuris tantum, di cui sarebbe onerato il professionista, che, nel caso di specie, neppure aveva chiesto di provare quale fosse stato il contenuto concreto delle attività esercitate; peraltro la corrispondenza delle prestazioni tipicamente professionali con quelle richieste ai componenti del consiglio di amministrazione di una società operante nel campo dell’edilizia doveva ritenersi palmare e non avrebbe necessitato di prova, risultando ex lege. Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione di plurime disposizioni normative, nonché vizio di motivazione, deduce che la Corte territoriale non aveva considerato minimamente che i redditi derivanti dall’attività di amministratore avrebbero dovuto essere dichiarati in una sezione del modello 740 (la II) diversa da quella dei redditi professionali, come invece si era verificato nella fattispecie all’esame; doveva farsene discendere, tenuto conto che la contribuzione va calcolata sulla base delle autocertificazioni del professionista, conformi alle dichiarazioni fiscali, che, in mancanza di qualsiasi prova circa il contenuto concreto della attività svolte, la semplice affermazione al riguardo da parte del professionista non poteva ritenersi sufficiente ad escludere l’obbligo contributivo.
2. La giurisprudenza di questa Corte, nell’ambito dell’individuazione del parametro dell’assoggettamento a contribuzione degli iscritti all’Inarcassa, non si presenta univoca.
Secondo un orientamento, seguito dalla sentenza impugnata, non è configurabile alcun obbligo contributivo in relazione al reddito prodotto dal professionista, ove questo non sia direttamente collegabile all’esercizio dell’attività libero professionale per la quale vi è stata l’iscrizione in appositi albi o elenchi, essendo insufficiente tale iscrizione, pur necessaria per l’esercizio dell’attività, a determinare la nascita dell’obbligo contributivo; con la conseguenza che, qualora un soggetto iscritto partecipi a società, svolgente attività rientrante in quella per il cui esercizio è richiesta l’iscrizione in appositi albi o elenchi, l’obbligazione contributiva è configurabile solo nell’ipotesi in cui risultino compensate attività obiettivamente riconducibili all’esercizio della professione (cfr, ex plurimis e tra le più recenti, Cass., nn. 11154/2004; 4057/2008; 11472/2010). Secondo altro orientamento, invece, l’imponibile contributivo va determinato alla stregua dell’oggettiva riconducibilità alla professione dell’attività concreta, ancorché questa non sia riservata per legge alla professione medesima, rilevando la circostanza che la competenza e le specifiche cognizioni tecniche di cui dispone il professionista influiscano sull’esercizio dell’attività svolta, cosicché debba ritenersi che le prestazioni siano state rese (anche) grazie all’impiego di esse (cfr, Cass., nn. 20670/2004; 14684/2012).
Questo secondo criterio ermeneutico, a cui il Collegio ritiene di dover dare qui continuità, è stato del resto recentemente affermato anche con riferimento alla categoria professionale forense (cfr, Cass., n. 8835/2011).
Deve infatti considerarsi, secondo quanto condivisibilmente rilevato dalla ricordata pronuncia n. 14684/2012 di questa Corte, che:
– il concetto di “esercizio della professione” va interpretato non in senso statico e rigoroso, bensì tenendo conto dell’evoluzione subita nel mondo contemporaneo (rispetto agli anni a cui risale la normativa di “sistema” dettata per le varie libere professioni) dalle specifiche competenze e dalle cognizioni tecniche libero professionali;
– ciò ha comportato la progressiva estensione dell’ambito proprio dell’attività professionale, con occupazione, da parte delle professioni, di tutta una serie di spazi inesistenti nel quadro tipico iniziale e, specificamente, per la professione di ingegnere, l’assunzione di connotazioni ben più ampie e di applicazioni diversificate rispetto a quelle originariamente previste, cosicché deve ritenervisi ricompreso, oltre all’espletamento delle prestazioni tipicamente professionali (ossia delle attività riservate agli iscritti negli appositi albi), anche l’esercizio di attività che, pur non professionalmente tipiche, presentino, tuttavia un “nesso” con l’attività professionale strettamente intesa, in quanto richiedono le stesse competenze tecniche di cui il professionista ordinariamente si avvale nell’esercizio dell’attività professionale e nel cui svolgimento, quindi, mette a frutto (anche) la specifica cultura che gli deriva dalla formazione tipologicamente propria della sua professione;
– ne discende l’esclusione della sussistenza dell’obbligo contributivo solamente nel caso in cui non sia, in concreto, ravvisabile una connessione tra l’attività svolta e le conoscenze tipiche del professionista, in linea con quanto suggerito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 402 del 1991 (resa a proposito del contributo integrativo dovuto dagli avvocati e procuratori), laddove è stato affermato che il prelievo contributivo in parola è collegato all’esercizio professionale e che per tale deve intendersi anche la prestazione di attività riconducibili, per loro intrinseca connessione, ai contenuti dell’attività propria della libera professione, vale a dire le prestazioni contigue, per ragioni di affinità, a quelle libero professionali in senso stretto, rimanendone escluse solamente quelle che con queste non hanno nulla in comune;
– nè può ritenersi che rilevi in contrario la circostanza che la Legge n. 143 del 1949 non contempli espressamente l’attività di amministratore di società, attesa la estrema estensione, verificabile in base alla lettura della legge citata, delle attività tipicamente professionali esercitabili dall’ingegnere e la non esaustività della tariffa, come emerge dal contenuto dell’art. 5 dell’allegato alla legge, relativo alle prestazioni professionali retribuite con il sistema “a discrezione ossia a criterio del professionista”, che qualifica, come tali, una serie di attività di consulenza e ricerca, contemplando poi conclusivamente, nel senso dell’applicazione del medesimo sistema di determinazione degli onorari, “anche le prestazioni simili”.
Essendosi la Corte territoriale discostata dal testé ricordato orientamento ermeneutico, il primo motivo di ricorso deve essere accolto.
3. Ciò comporta l’assorbimento del secondo motivo, avendo la sentenza impugnata condotto la valutazione del materiale probatorio alla luce del ricordato difforme criterio giuridico di individuazione dell’ambito di riferimento delle prestazioni assoggettabili a contribuzione.
4. Consegue la cassazione della sentenza impugnata in relazione alla censura accolta, con rinvio al Giudice designato in dispositivo, che procederà a nuovo esame conformandosi agli indicati principi e provvedere altresì sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.
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