Corte di Cassazione sentenza n. 5828 del 13 aprile 2012
ACCERTAMENTO – ACCERTAMENTO CON ADESIONE – MANCATO ACCORDO – VERBALE DELLE PARTI – CHIUSURA DEL PROCEDIMENTO CON ADESIONE – ESCLUSIONE – SOSPENSIONE DEI TERMINI PER IMPUGNARE – PERSISTENZA – REGOLAMENTO COMUNALE – COMUNICAZIONE DEL MANCATO ACCORDO – SOSPENSIONE DEI TERMINI PER IMPUGNARE – INTERRUZIONE – INTERPRETAZIONE COSTITUZIONALMENTE ORIENTATA – NECESSITA’ – INTERRUZIONE DELLA SOSPENSIONE DEI TERMINI PER IMPUGNARE – ESCLUSIONE
massima
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È inapplicabile il regolamento comunale che prevede l’interruzione della sospensione dei termini per impugnare l’avviso di accertamento oggetto di accertamento con adesione per effetto della comunicazione del mancato accordo.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La società in epigrafe indicata impugnava in sede giurisdizionale gli accertamenti, emessi dalla A. SPA per conto del Comune di Capannori, inerenti le tariffe TIA relative agli anni dal 2001 al 2004. La CTP di Lucca, previa riunione dei distinti ricorsi, li dichiarava inammissibili, perché proposti tardivamente.
La CTR, pronunciando sull’appello della contribuente, riteneva tempestivo il ricorso e lo accoglieva in parte nel merito, dichiarando non soggetti alla quota variabile TIA i locali di produzione dei rifiuti speciali e non dovuta l’IVA. Dichiarava, altresì, la carenza di legittimazione passiva dell’intimato Comune di Capannori. L’A. SpA, giusto ricorso notificato il 27/28-30 settembre 2011, ha chiesto la cassazione della decisione di appello, sulla base di tre mezzi.
Gli intimati P. & B. snc ed il Comune di Capannori non hanno svolto difese in questa sede.
Con memoria 09.02.2012 la ricorrente ha ulteriormente illustrato le proprie ragioni.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’impugnazione è a ritenersi inammissibile nei confronti del Comune di Capannori, avuto riguardo alla statuizione di carenza di legittimazione passiva, contenuta nella decisione di appello ed alla relativa mancata impugnazione.
Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 nonché degli artt. 7 e 9 del Regolamento del Comune di Capannori, deducendo la tardiva proposizione dell’originario ricorso, nella considerazione che il termine di sospensione per giorni novanta, conseguente alla presentazione dell’istanza di accertamento con adesione, sia rimasto interrotto per effetto del mancato raggiungimento dell’accordo e che, quindi, alla data di proposizione del ricorso doveva ritenersi decorso il prescritto termine decadenziale. La censura è a ritenersi infondata, dovendo riconoscersi l’operatività della sospensione del termine decadenziale, disposta dal D.Lgs. n. 218 del 1997, artt. 6 e 12 quale conseguenza della presentazione dell’istanza di accertamento con adesione.
Tanto deve affermarsi in adesione alle argomentazioni svolte dalla Corte Costituzionale con la decisione n. 140 del 2011, la quale chiamata a pronunciarsi in ordine alla incostituzionalità delle disposizioni, nella parte in cui non prevedono che il mancato raggiungimento dell’accordo abbia effetto interruttivo della sospensione del termine d’impugnazione, ha rilevato che la constatazione del mancato accordo tra le parti, non integra una situazione omogenea a quella di definitiva rinuncia all’istanza di accertamento con adesione, sia essa manifestata con dichiarazione espressa o mediante proposizione del ricorso e che, quindi, una interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni del Regolamento Comunale, che disciplinino l’accertamento con adesione, deve operarsi nel senso che al verbale di constatazione del mancato accordo non può riconoscersi il valore di atto idoneo all’interruzione del termine di sospensione di novanta giorni, connesso alla presentazione dell’istanza di accertamento con adesione. Il termine di cui la ricorrente poteva avvalersi per la presentazione del ricorso, era dunque di complessivi 150 giorni (60 + 90) che, nel caso, risulta rispettato.
Con il secondo mezzo la decisione di appello viene censurata per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 238, 198 e 195, del D.Lgs. n. 22 del 1997, 21 e 49 nonché del Regolamento TIA del Comune di Capannori, ed altresì dell’art. 2697 c.c. e per insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo.
Viene censurata la decisione nella parte in cui, dopo avere riconosciuto che la quota fissa della TIA è sempre e comunque dovuta in base ai rifiuti urbani prodotti, ha – si sostiene erroneamente,- ritenuto ed affermato, che la normativa statuale, che attualmente regola la materia impone di ritenere esentata dal pagamento della tariffa l’impresa che dimostri che i rifiuti prodotti nel proprio stabilimento, nell’esercizio della specifica attività, vengono smaltiti in proprio, restando salva la facoltà del Comune, – che accerti la promiscuità dei rifiuti (urbani e speciali) prodotti su tali aree,- di pretendere “anche la quota variabile previa riduzione”. Le questioni poste dal mezzo, si ritiene vadano risolte alla stregua di condiviso orientamento giurisprudenziale. Il profilo di censura con il quale si denuncia il vizio di violazione di legge, è a ritenersi infondato sulla base di quanto affermato, da ultimo, da questa Corte (Cass. n. 627/2012), la quale, dopo avere evidenziato che “la disciplina stabilita per i rifiuti speciali, che è quella dettata dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3 il quale rapporta la tassa alle superfici dei locali occupati o detenuti, stabilendo, – nell’ovvio presupposto che in un locale od area in cui si producono rifiuti speciali si formano anche, di norma, rifiuti ordinari, – l’esclusione dalla tassa della sola parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano esclusivamente i rifiuti speciali”, ha affermato che “In tema di avviamento al recupero dei rifiuti speciali assimilati (e assimilabili), l’operatore economico ha l’onere di dimostrare l’effettivo e corretto avviamento al recupero attraverso valida documentazione comprovante il conferimento dei rifiuti, innanzitutto, a soggetti autorizzati a detta attività in base alle norme del D.Lgs. n. 22 del 1997 e i quali poi abbiano rilasciato il prescritto formulario di identificazione o, in caso di mancata ricezione di questo, altra idonea attestazione”, precisando pure che “l’esonero dalla privativa comunale, previsto appunto in caso di detto comprovato avviamento al recupero dall’art. 21, comma 7 Decreto Ronchi, determina non già la riduzione della superficie tassabile, prevista dal citato D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3 per il solo caso di produzione di rifiuti speciali (non assimilabili o non assimilati), bensì il diritto ad una riduzione tariffaria determinata in concreto – a consuntivo – in base a criteri di proporzionalità rispetto alla quantità effettivamente avviata al recupero (in virtù di quanto previsto, in generale, già dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 67, comma 2 e poi, più specificamente, dall’art. 49, comma 14 Decreto Ronchi e dal D.P.R. n. 158 del 1999, art. 7, comma 2 il quale, nell’approvare il “metodo normalizzato per la determinazione della tariffa di riferimento per la gestione dei rifiuti urbani”, può, nella fase transitoria, essere applicato dai Comuni anche ai fini TARSU”.
La decisione impugnata, sul punto, appare in linea con il principio desumibile da tale decisione e non giustifica la formulata censura, essendo pervenuta alla rassegnata decisione, sulla base della fondamentale considerazione che la società contribuente non solo aveva sempre sostenuto di avere prodotto, nell’area oggetto di accertamento, rifiuti speciali e di avere sempre provveduto al relativo smaltimento a propria cura e spese, ma pure che aveva fornito la prova di tali circostanze, mentre il Comune non si era fatto carico di superare e vincere gli elementi probatori offerti dalla contribuente.
Per ciò che attiene, invece, il profilo motivazionale le censure risultano fondate, in quanto il Giudice di merito afferma, apoditticamente, che la contribuente ha sempre dichiarato e dimostrato di avere prodotto rifiuti speciali e di avere provveduto a propria cura e spese allo smaltimento. Nel caso, infatti, la CTR non fa riferimento ad alcun documento e, d’altronde, la ricorrente assume che, nei gradi di merito la contribuente non ha prodotto documentazione alcuna od altro mezzo di prova, idonei ad attestare la produzione di rifiuti speciali non assimilati, il relativo smaltimento a propria cura e spese tramite ditta autorizzata, e quant’altro indispensabile per ritenere assolto l’onere probatorio sulla stessa incombente. L’espressione utilizzata dalla CTR, in buona sostanza, si rivela insufficiente a rendere conto del procedimento logico sottostante, in quanto non è detto da quali elementi la valutazione afferente sia stata tratta, ragion per cui impinge nel denunciato vizio avendo fatto malgoverno del principio secondo cui “Ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, denunziabile in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logico e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento” (Cass. n. 1756/2006, n. 890/2006);
Con il terzo motivo si deduce violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3 e L. n. 133 del 1999, art. 6, comma 13 nonché del D.M. 24 ottobre 2000, n. 370, sostenendosi che avrebbe errato la CTR nel riconoscere alla TIA natura tributaria, così escludendone l’imponibilità ai fini IVA. Il mezzo va rigettato, dovendosi escludere l’applicazione dell’IVA, avuto riguardo alla natura tributaria della TIA, riconosciuta dalla Corte Costituzionale con le decisioni n. 238 del 2009 e n. 64 del 2010 e confermata da questa Corte, con le decisioni delle SS.UU. n. 14903/2010 e n. 25929/2011.
Con tali decisioni, che si condividono e dalle quali non si ravvisano ragioni per discostarsi, è stato, infatti, puntualizzato che l’inesistenza di un nesso diretto tra il servizio e l’entità del prelievo, porta ad escludere, in assenza di specifica previsione legislativa, la sussistenza del rapporto sinallagmatico, costituente presupposto dell’assoggettamento ad IVA, D.P.R. n. 633 del 1972, ex artt. 3 e 4.
Conclusivamente, va dichiarata inammissibile l’impugnazione nei confronti del Comune di Capannori; accolto, nei limiti del profilo motivazionale, il secondo motivo del ricorso e rigettate tutte le altre censure.
Cassata l’impugnata sentenza, in relazione al profilo di censura accolto, la causa va rinviata ad altra sezione della CTR della Toscana, la quale procederà al riesame e, quindi, adeguandosi ai richiamati principi, deciderà nel merito ed anche sulle spese del presente giudizio di legittimità, offrendo congrua motivazione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile l’impugnazione nei confronti del Comune di Capannori.
Accoglie, nei sensi e nei limiti di cui alla parte motiva, il ricorso, che rigetta per il resto; cassa in relazione, l’impugnata decisione e rinvia ad altra sezione della CTR della Toscana.
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