Corte di Cassazione sentenza n. 5843 del 13 aprile 2012
PROCESSO TRIBUTARIO – NIENTE RICORSO AL DINIEGO DELL’INTERPELLO DICHIARATIVO DELL’IMPROCEDIBILITA’ DELL’ISTANZA
massima
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La risposta dell’Amministrazione finanziaria non è impugnabile se dichiara l’improcedibilità dell’istanza ai sensi dell’art. 1 del D.M. n. 259/1998. Ciò qualora l’istanza, relativa alla disapplicazione della disciplina sulle società di comodo, non sia stata esaminata per la mancata descrizione della fattispecie. Può essere impugnato in Commissione tributaria il diniego del direttore regionale delle Entrate all’istanza di disapplicazione di norme antielusive. Tuttavia, il ricorso non è possibile se la domanda viene ritenuta improcedibile, cioè, se è priva degli elementi essenziali. In questo caso, infatti, l’istanza non può considerarsi un atto definitivo.
In tema di contenzioso tributario, non è impugnabile innanzi alle Commissioni tributarie il provvedimento dichiarativo dell’improcedibilità dell’istanza di disapplicazione di norma antielusiva, poiché esso è atto di natura interlocutoria, che non respinge nel merito la stessa, ma ne rileva l’insuscettibilità di ogni plausibile valutazione, e non è, quindi, assimilabile al provvedimento di rigetto o agli altri atti di cui all’art. 19 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, il quale prevede la impugnabilità dei soli atti amministrativi definitivi con rilevanza esterna.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La società contribuente propose ricorso avverso provvedimento con il quale l’Agenzia delle Entrate – Direzione regionale della Puglia – aveva dichiarato improcedibile ai sensi del D.M. n. 259 del 1998, art. 1, comma 3, per difetto delle indicazioni ed allegazioni essenziali al fine della correlativa valutazione, l’istanza dalla stessa presentata al fine della disapplicazione della normativa antielusiva vigente in materia di società di comodo. Chiedeva, pertanto, l’annullamento del provvedimento.
In accoglimento dell’eccezione preliminare dell’Agenzia, l’adita commissione provinciale dichiarò inammissibile il ricorso, in quanto incidente su atto non rientrante nella previsione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19. In esito all’appello della società contribuente, la decisione fu, tuttavia, riformata dalla commissione regionale, che si richiamò all’esigenza di un’interpretazione estensiva del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19; rilevata l’ammissibilità del ricorso della società contribuente, i giudici di appello, rimisero, peraltro, gli atti davanti al giudice di primo grado.
Avverso la decisione di appello, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione in due motivi, deducendo violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, nonchè dell’art. 100 c.p.c., ed ha illustrato le proprie ragioni anche con memoria.
La società contribuente ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Secondo un recente arresto di questa Corte (cfr. Cass. 8663/11) il diniego opposto dal direttore regionale delle Entrate all’istanza di disapplicazione di norma antielusiva proposta ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, comma 8, e del D.M. 19 giugno 1998, n. 259, – essendo atto definitivo in sede amministrativa (tale espressamente qualificato), recettizio, con immediata rilevanza esterna, ed assimilabile ad un’ipotesi di diniego di agevolazione – è impugnabile, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 1, davanti al giudice tributario, che esplica, al riguardo, cognizione, non limitata alla mera legittimità formale dell’atto, ma estesa al merito della pretesa e, quindi, all’accertamento della ricorrenza, o meno, delle condizioni applicative dell’agevolazione richiesta.
Ciò posto, deve, non di meno, rilevarsi la non impugnabilità del provvedimento oggetto del presente giudizio, con il quale il direttore generale delle Entrate, rilevata l’assenza del minimo di elementi conoscitivi indispensabili all’istruttoria della richiesta avanzata, ha così testualmente disposto:
“dichiara l’istanza improcedibile, ai sensi del D.M. n. 259 del 1998, art. 1, comma 3, in quanto inidonea ad ottenere una determinazione in ordine all’eventuale disapplicazione delle disposizioni contenute nella L. 23 dicembre 1994, n. 124, art. 30. La predetta istanza di disapplicazione va considerata come non presentata…”.
Premesso che, ai sensi del combinato disposto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, comma 8, e D.M. 19 giugno 1998, n. 259, art. 1, al contribuente è fatto specificamente carico di descrivere compiutamente la fattispecie concreta che s’intende esentare dall’osservanza delle norme antielusive e di allegare copia della documentazione rilevante ai fini della relativa individuazione e qualificazione, deve, invero osservarsi che il provvedimento oggetto del presente giudizio non è provvedimento di definitivo diniego della richiesta disapplicazione, bensì provvedimento, sostanzialmente interlocutorio, di declaratoria d’improcedibilità dell’istanza, con il quale, non si respinge nel merito l’istanza medesima, ma se ne rileva una tale carenza, sul piano della descrizione della situazione e delle correlative allegazioni documentali, da renderla come non proposta siccome insuscettibile di qualsiasi plausibile valutazione.
Alla stregua delle considerazioni che precedono – ed atteso che la regola è quella dell’impugnata 1ita dei soli atti amministrativi definitivi con rilevanza esterna e che, per le sopra descritte caratteristiche, il provvedimento in rassegna non è assimilabile ad alcuno di quelli indicati dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, – s’impone l’accoglimento del ricorso dell’Agenzia.
La sentenza impugnata va, dunque, cassata senza rinvio, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 3, ultima parte, posto che il ricorso della società contribuente non poteva essere proposto.
Per la natura della controversia e tutte le implicazioni della controversia, si ravvisano le condizioni per disporre la compensazione delle spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
La Corte: accoglie il ricorso e cassa senza rinvio la sentenza impugnata; compensa le spese dell’intero giudizio.
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