Corte di Cassazione sentenza n. 6131 del 12 marzo 2013
LAVORO SUBORDINATO – TRASFERIMENTO D’AZIENDA – CONDIZIONI – TRASFERIMENTO DEL PACCHETTO AZIONARIO DI MAGGIORANZA O DI CONTROLLO DELLA SOCIETA’ – ESCLUSIONE
massima
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Il trasferimento del pacchetto azionario di maggioranza di una società di capitali non integra gli estremi del trasferimento di azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c., ma comporta solo una modificazione degli assetti azionari interni della persona giuridica, la quale, pertanto, conserva la sua soggettività esterna e, in particolare, la sua responsabilità nei confronti dei propri dipendenti per le obbligazioni assunte.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
G. M. con ricorso al Tribunale di Roma in funzione di giudice del lavoro esponeva: di aver lavorato dal 16.6.1980 al 30.11.1994 alle dipendenze dapprima della CIT Viaggi s.r.l. e poi ( per passaggio diretto) della SAP s.r.l.; di essere stata licenziata, dopo un periodo di CIGS per asserita riorganizzazione aziendale, ottenendo sino al 30.11.94 il pagamento di tutti gli emolumenti maturati durante il rapporto di lavoro , ivi compresa l’indennità di cassa previdenza prevista per gli impiegati CIT; di essere stata reintegrata – ma senza ottenere la riapertura della posizione ai fini della maturazione dell’indennità di cassa menzionata – e, quindi, nuovamente licenziata il 31.7.2001. Tanto premesso, la ricorrente chiedeva accertarsi il suo diritto a beneficiare dell’indennità di cassa integrativa dal 1°.12.94 al 31.7.2001 con condanna della SAP s.r.l. in liquidazione, in solido con Ferrovie dello Stato s.p.a. e della Cassa Autonoma di Previdenza e di Assistenza per gli Impiegati CIT, al pagamento in suo favore della somma di euro 7.697,84.
L’adito giudice, con sentenza del 4.5.2004, rigettava la domanda ritenendo: fondata l’eccezione di prescrizione limitatamente ai crediti vantati e risalenti oltre il quinquennio antecedente alla data del 18.6.2002; che la previdenza integrativa oggetto del giudizio era prevista solo per i dipendenti della CIT s.p.a. e delle società dalla stessa controllate, come da verbale di accordo CIT – OO.SS. del 13.10.93, con la conseguenza che, a far data dall’acquisto da parte delle Ferrovie dello Stato s.p.a. della quota di maggioranza della SAP, al personale di quest’ultima non poteva più applicarsi il detto accordo ed i trattamenti previdenziali ivi previsti.
La Corte di appello di Roma, investita del gravame proposto dalla G., con sentenza del 4 ottobre 2007, confermava l’impugnata decisione ritenendo: a) il difetto di legittimazione passiva delle Ferrovie dello Stato s.p.a.; b) che il diritto al trattamento previdenziale oggetto della domanda, alla luce del disposto dell’art. 18 dell’Accordo di rinnovo del Contratto CIT del 13.10.1993 e dell’art. 1 dello Statuto della Cassa Autonoma di Previdenza e di Assistenza per gli impiegati CIT, sussisteva solo per i dipendenti della CIT s.p.a. e delle società dalla stessa controllate e che tale condizione era venuta meno con la cessione da parte della CIT delle quote della SAP s.r.l. a Ferrovie dello Stato s.p.a. con la conseguente impossibilità del versamento dei contributi alla detta Cassa di previdenza integrativa in favore dei lavoratori che non erano più impiegati della CIT o di società dalla stessa controllate. Precisava: che ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 2112 ce. – secondo cui l’acquirente è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi anche aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all’impresa acquirente – non vi era alcun obbligo in capo alla SAP , dopo la modifica societaria intervenuta, di continuare ad applicare un contratto collettivo aziendale di una società di un gruppo ormai diverso; che non poteva ritenersi sussistente un diritto quesito al mantenimento di detta normativa contrattuale sia perché tale diritto sussisteva solo con riferimento ai versamenti contributivi dovuti nella vigenza del contratto che li prevedeva sia perché la possibilità di tale mantenimento era venuta meno proprio in forza dello stesso contratto collettivo invocato ( che escludeva la sua applicabilità e quella del trattamento previdenziale oggetto della domanda nei confronti di lavoratori non dipendenti della CIT o di società dalla stessa controllate).
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso G. M. affidato ad un unico articolato motivo.
La SAP s.r.l. in liquidazione e Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. resistono con controricorso.
La Cassa Autonoma di Previdenza e Assistenza per gli Impiegati CIT è rimasta intimata.
Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, va rilevata la fondatezza della eccezione sollevata da Rete Ferroviaria Italiana (RFI) s.p.a. di inammissibilità del ricorso nei suoi confronti per non essere stata parte nei precedenti gradi di giudizio.
E’ principio consolidato che non possono partecipare al giudizio di Cassazione i soggetti che non sono stati parti, secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata, del giudizio di merito, a prescindere da qualsiasi valutazione della loro posizione rispetto al rapporto controverso e, quindi, persino nel caso in cui si configurino come soggetti unici legittimati rispetto all’azione esperita (vedi Cass n. 520 del 16/01/2012; Cass. n. 13954 del 16/06/2006; Cass. 23.8.2004 n. 16591; Cass. 14 marzo 2002, n. 3756; 25 maggio 1984, n. 3240). E’ stato anche precisato che la mancanza di legittimazione è rilevabile anche di ufficio siccome attinente alla regolare costituzione del contraddittorio con specifico riferimento al giudizio di legittimità (cfr. Cass. n. 3299/2000).
Orbene, nel caso in esame, l’impugnata sentenza risulta pronunciata nei confronti di Ferrovie dello Stato s.p.a. – parte in giudizio in primo grado ed in appello – mentre RFI s.p.a. non ha partecipato al giudizio di merito.
Va, inoltre, rilevata la inammissibilità del ricorso anche nei confronti della Cassa Autonoma di Previdenza e di Assistenza per gli impiegati CIT alla quale lo stesso non risulta essere stato notificato ( è stata tentata una notifica presso lo studio dell’avv. F. Felici alla via S. Croce di Gerusalemme n. 104 laddove la Cassa risulta essere rimasta contumace in appello) con il conseguente passaggio in giudicato della sentenza nei suoi confronti ricorrendo una ipotesi di cause tra loro scindibili ed indipendenti. Ed infatti, questa Corte ha in varie occasioni avuto modo di affermare che tra datore di lavoro, lavoratore ed ente previdenziale non è configurabile un rapporto trilatero, ma tre rapporti bilaterali e, quindi, deve escludersi la sussistenza di una situazione di litisconsorzio necessario con l’ente previdenziale in relazione alla domanda con la quale il lavoratore avanzi pretese di contenuto contributivo nei confronti del datore di lavoro (Cass. n. 12213 del 03/07/2004; Cass. ord. n. 3339 18 febbraio 2004; Cass. Sez. un. 17 gennaio 2003 n. 683; Cass. 7 agosto 2000 n. 10377; Cass. 23 gennaio 1998 n. 1640; Cass. 19 gennaio 1994 n. 169).
Passando, quindi, al ricorso nei confronti della SAP in liquidazione si osserva che con l’unico articolato motivo viene dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2112 ce. nonché illogicità della motivazione ed omessa valutazione di documenti decisivi per il giudizio. Si assume: che a seguito della vendita dell’intero pacchetto azionario (rectius: delle quote) della SAP s.r.l. da parte della CIT s.p.a. alle Ferrovie dello Stato s.p.a. quest’ultima era subentrata in tutti i rapporti attivi e passivi facenti capo alla SAP s.r.l. ivi compresi quelli nei confronti dei dipendenti di quest’ultima; che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale, la cessione di quote o azioni non integrava una “modifica societaria” che avesse fatto venir meno l’obbligo per la SAP di applicare un contratto collettivo aziendale di una società od un gruppo societario ormai diverso; che , inoltre, nell’applicare il disposto dell’ultimo comma ( rectius, 3° comma) dell’art. 2112 ce, l’impugnata sentenza aveva ritenuto apoditticamente che il contratto applicato dall’impresa acquirente fosse del medesimo livello di quello applicato dalla società cedente omettendo anche di indicare quale fosse.
Viene formulato un articolato quesito di diritto.
Il motivo è infondato.
Osserva il Collegio che al caso in esame non trova applicazione l’art. 2112 c.c. essendosi trattato di un passaggio del pacchetto di controllo (delle quote, che è cosa diversa dalla fusione) di una società di capitali che non integra un passaggio di azienda da una società ad un’altra. Se è vero, infatti, che la nozione di trasferimento di azienda va oggi riferita ad ogni cambiamento della titolarità dell’azienda stessa, quale che sia lo strumento giuridico mediante il quale si realizza la sostituzione dall’uno all’altro imprenditore, è altrettanto vero che nella fattispecie in questione è carente il presupposto stesso di tale istituto. Questa Corte ha affermato infatti in numerose pronunce (Sentenza n. 9251 del 218/04/2007, Cass. 15.10.1991 n. 10829; 26.11.1994 n. 10068) che il trasferimento del pacchetto (azionario o di quote) di maggioranza di controllo di una società non incide sull’autonoma soggettività giuridica delle società interessate e non vale ad integrare il passaggio della titolarità dell’azienda dall’una all’altra società ai sensi dell’art. 2112 cod. civ., non determinando, in definitiva, la sostituzione di un soggetto giuridico ad un altro nella titolarità dei rapporti pregressi. Ed infatti, nell’ipotesi in cui si sia di fronte al trasferimento del pacchetto azionario o delle quote di controllo da una società all’altra, non si è in realtà in presenza di un fenomeno traslativo vero e proprio, bensì di una vicenda rilevante solo dal punto di vista della modificazione degli assetti azionari ( o delle quote) interni ad una società sotto il profilo della loro titolarità, ferma restando la soggettività giuridica di ogni società anche se totalmente eterodiretta.
Ne consegue che le censure mosse alla impugnata sentenza e fondate sulla asserita applicabilità dell’art. 2112 c.c. si rilevano destituite di fondamento e non valgono a scalfire il ragionamento seguito dalla Corte di merito secondo cui in applicazione di quanto previsto dall’art. 18 dell’Accordo di rinnovo contratto CIT del 13.10.1993 e dell’art. 1 dello Statuto della Cassa di Previdenza mancava il presupposto per l’iscrizione del lavoratore alla Cassa e per la sussistenza del diritto al trattamento integrativo richiesto (l’essere dipendente della CIT s.p.a. o delle società dalla stessa controllate) a seguito della vendita dell’intero pacchetto azionario (rectius: delle quote) della SAP s.r.l. da parte della CIT s.p.a. alle Ferrovie dello Stato s.p.a.
Alla luce di quanto sin qui esposto il ricorso nei confronti della SAP in liquidazione va rigettato. Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, cedono a carico della ricorrente in favore della RFI s.p.a. e della SAP s.r.l. in liquidazione; non si provvede in ordine alle spese nei confronti della Cassa Autonoma Previdenza ed Assistenza impiegati CIT rimasta intimata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso nei confronti della Cassa Autonoma di Previdenza ed Assistenza per gli Impiegati CIT nonché di Rete Ferroviaria Italiana s.p.a., lo rigetta nei confronti di SAP s.r.l. in liquidazione; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore di R.F.I. s.p.a. e della SAP s.r.l. in liquidazione , liquidate per ciascuna delle dette resistenti in euro 50,00 per esborsi ed in euro 2.500,00 per compensi, oltre accessori di legge. Nulla per le spese nei confronti della Cassa Autonoma di Previdenza ed Assistenza per gli impiegati CIT.
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