Corte di Cassazione sentenza n. 6203 del 12 marzo 2013
TRIBUTI – ACCERTAMENTO INDUTTIVO – FATTURA PER CONSULENZA – ASSENZA DI CONTRATTO SCRITTO CON IL PROFESSIONISTA – FATTURA RITENUTA FALSA – DETRAZIONE DELL’IVA – NON SUSSISTE
massima
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L’Amministrazione finanziaria può ritenere legittimamente falsa una generica fattura per consulenza e negare, pertanto, la detrazione dell’IVA, in assenza di un contratto scritto con il professionista. Nel caso in cui gli elementi riportati sulla fattura siano vaghi, scaturiscono delle presunzioni semplici in favore dell’Agenzia, con conseguente onere della prova a carico del contribuente. Il contribuente, per ottenere legittimamente la detrazione, deve dimostrare l’esistenza di un effettivo contratto di consulenza scritto con un professionista o con un’impresa.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
È stata depositata la seguente relazione:
1. La società I. srl. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza della commissione tributaria regionale della Toscana n. 92/25/10, depositata il 24 settembre 2010, con la quale, accolto l’appello dell’agenzia delle entrate contro la decisione di quella provinciale, l’opposizione avverso l’avviso di rettifica relativamente all’Iva per il 2004 veniva respinta. In particolare il giudice di secondo grado osservava che il metodo induttivo seguito era stato regolare, atteso che si basava su presunzioni costituite dalle rilevazioni della guardia di finanza, per le quali si era trattato di operazioni inesistenti, senza che la documentazione prodotta dalla contribuente potesse provare il contrario. Peraltro era emerso che la fattura emessa dalla società V. Spa. era generica; si riferiva ad un contratto stipulato con la pretesa committente per l’attività di consulenza; il relativo atto non era stato prodotto, nonostante richiesto dal giudice di appello, perché risultato inesistente; i lavori effettuati nel villaggio turistico non denotavano la pertinenza ad essi della presunta spesa professionale. L’agenzia delle entrate resiste con controricorso.
2. Col primo e secondo motivi, che possono esaminarsi congiuntamente, stante la loro stretta connessione, la ricorrente deduce vizi di motivazione e violazione di norma di legge, in quanto la CTR non considerava che il contratto inerente al conferimento d’incarico per la consulenza alla società V. non doveva necessariamente essere redatto per iscritto ai fini della sua validità, bastando soltanto la stipula in forma orale, atteso che non si trattava di negozio per il quale occorresse la forma scritta “ad substantiam”, sicché era irrilevante il fatto che non fosse stato prodotto.
I motivi sono inammissibili, perché con essi la sentenza impugnata viene censurata per vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 o 5 c.p.c., e si intende far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, si prospetta un preteso migliore e più appagante è coordinamento dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione citata. In caso contrario, infatti, tali motivi di ricorso si risolverebbero in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 7394 del 26/03/2010; n. 6064 del 2008). Ciò premesso, comunque le censure sono infondate, posto che gli elementi riportati sulla fattura apparivano vaghi, sicché scaturivano delle presunzioni, ancorché semplici a favore dell’agenzia, con conseguente onere della prova carico della contribuente, che però non l’aveva assolto. Sicché, in presenza di operazioni inesistenti non si realizza l’ordinario presupposto impositivo né la configurabilità stessa di un “pagamento a titolo di rivalsa”, né i presupposti del diritto alla detrazione di cui all’art. 19, primo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. D’altro canto la previsione del successivo art. 21, settimo comma, se per un verso incide direttamente sul soggetto emittente la fattura, costituendolo debitore d’imposta, pur in assenza del suo ordinario presupposto, sulla base del solo principio di cartolarità, per altro verso incide, indirettamente, anche sul destinatario della fattura, confermandone, in combinato disposto con gli artt. 19, primo comma, e 26, terzo comma, la preclusione ad esercitare il diritto alla detrazione o alla variazione dell’imposta, in assenza del relativo presupposto (acquisto o importazione di beni e servizi nell’esercizio dell’impresa, arte o professione), come nella specie (V. pure Cass. Sentenze n. 22882 del 25/10/2006, n. 309 del 2006).
Il Collegio, dopo la sostituzione del relatore impedito, ha condiviso la relazione. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alle spese che liquida in euro 2000 oltre agli accessori di legge.
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