Corte di Cassazione sentenza n. 6220 del 13 marzo 2013
SOCIETA’ DI CAPITALI – SOCIETA’ A RESPONSABILITA’ LIMITATA – SCIOGLIMENTO – LIQUIDAZIONE – FUNZIONE – PAGAMENTO DEI DEBITI SOCIALI E RIPARTIZIONE DEL RESIDUO TRA I SOCI – CONSEGUENZE – VENDITA DI BENI SOCIALI NELLA FASE DI LIQUIDAZIONE – INTERESSE SOCIALE – MASSIMIZZAZIONE DEL CORRISPETTIVO – SUSSISTENZA – FATTISPECIE
massima
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La liquidazione di società non è funzionale solo al pagamento dei debiti sociali, ma anche alla ripartizione del residuo tra i soci, dei cui interessi si deve tener conto nelle operazioni di liquidazione del patrimonio sociale, durante le quali, pertanto, permane l’interesse della società ad ottenere il corrispettivo più alto possibile dalla vendita dei suoi beni. (Nella specie, la S.C., nel rigettare il ricorso, ha confermato l’annullamento, ex art. 1394 c.c., di una vendita a prezzo irrisorio di un bene sociale per conflitto di interessi del liquidatore, pur in assenza di un danno ai creditori sociali).
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. In data 9/2/2000 la F. s.r.l. in Liquidazione citò la P. Costruzioni di P.M. & C. s.n.c. e il signor P.S., chiedendo – per quel che in questa sede rileva – l’annullamento, a norma dell’art. 1394 c.c., del contratto di compravendita immobiliare stipulato il 29 aprile 1998 dal suo rappresentante, P.S., con la società convenuta, rappresentata da P.M., fratello di P.S., stante la differenza tra il prezzo pattuito, di lire 10.000.000 e il maggior valore effettivo dei terreni venduti.
P.S., costituitosi, allegò di aver ricevuto dal consiglio di amministrazione mandato di procedere alla liquidazione della società, a causa dell’intervenuta inedificabilità dei terreni sui quali la società intendeva costruire, e di aver rinunciato, contestualmente alla vendita, a un credito di lire 127.325.135 nei confronti della società. La società convenuta sostenne che il conflitto d’interessi non era riconoscibile, avendo in precedenza acquistato altro terreno della stessa società venditrice.
2. I giudici di merito hanno accolto la domanda. La Corte d’appello di Genova, nell’impugnata sentenza in data 1° marzo 2006, ha premesso che la sentenza di primo grado del tribunale era nulla, perché pronunciata da giudice monocratico. Giudicando quindi nel merito sulla domanda introduttiva del giudizio, ha accertato che la vendita era stata stipulata per il prezzo di lire 10.000.000, irrisorio rispetto a quello di lire 85.804.560, indicato dai soci per l’eventuale acquisto da parte di uno di loro, e a maggior ragione di terzi, mentre il valore accertato dal consulente d’ufficio era di lire 210.000.000, assai superiore. P.S., dunque, tenuto conto dello stretto rapporto di parentela con il fratello M., amministratore della società acquirente, aveva agito con il proposito di favorire il terzo acquirente a scapito della società attrice da lui rappresentata. Infondata era la tesi che il P. avesse rinunciato a un credito nei confronti della F. s.r.l., non essendo dimostrato che tale credito costituisse parte del corrispettivo della vendita, né che il prezzo contrattato tenesse conto di quel credito, e neppure che il credito stesso esistesse, a tal fine non potendo tenersi conto dell’eccezione fondata sulla pretesa ratifica – peraltro eccepita solo in appello – argomentata dall’approvazione del bilancio riguardante il periodo. Il divario tra valore pattuito e valore venale era percepibile da parte del terzo acquirente. La corte, da ultimo, ha respinto per mancanza di danno risarcibile le domande di risarcimento proposte contro S. P.
3. Per la cassazione della sentenza, notificata il 3 maggio 2006, ricorre la P.R. con atto notificato il 4 luglio 2006, per quattro motivi.
Resiste al ricorso la F. s.r.l. con controricorso notificato il 26 settembre 2006.
Il P. ha depositato controricorso con ricorso incidentale con cinque motivi.
Al ricorso incidentale resiste la F. s.r.l. con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
4. I due ricorsi, proposti contro la stessa sentenza, devono essere riuniti a norma dell’art. 335 c.p.c.
5. Con il primo motivo del ricorso principale si deduce che il conflitto d’interessi, quale condizione di annullabilità del contratto stipulato dal rappresentante, suppone un conflitto d’interessi tra rappresentante e rappresentato, che non poteva essere argomentato dalla relazione di parentela del rappresentante della società venditrice con il rappresentante della società acquirente, e dall’irrisorietà del corrispettivo pattuito per la vendita, perché le passività sociali alla cui estinzione i soci intendevano provvedere con il ricavato della vendita erano inferiori al corrispettivo contrattuale pattuito, secondo quanto la stessa F. s.r.l. avrebbe riconosciuto nella sua comparsa conclusionale in appello.
6. L’argomento utilizzato dalla ricorrente è intrinsecamente inconsistente, non valendo a contraddire l’interesse della società venditrice alla massimizzazione, in sede di liquidazione, del corrispettivo di vendita. Il principio di diritto applicabile nella fattispecie, e che comporta il rigetto del motivo in esame, è che la liquidazione di una società commerciale non è funzionale solo al pagamento dei debiti sociali, ma anche alla ripartizione del residuo tra i soci, dei cui interessi si deve tener conto nelle operazioni di liquidazione del patrimonio sociale.
7. Il secondo motivo denuncia un vizio di motivazione sul valore che, al fine di escludere la riconoscibilità del conflitto d’interessi, dovrebbe riconoscersi alla rinuncia da parte di P.S. al suo credito nei confronti della F. s.r.l.: la rinuncia sarebbe dimostrata dallo stato patrimoniale di quella società nel bilancio 1998, documento che non sarebbe stato esaminato.
8. Con il terzo motivo si denuncia la falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. all’eccezione di ratifica dell’operato del rappresentante, nonché – con inammissibile sovrapposizione di motivi eterogenei e logicamente incompatibili – degli artt. 1394 e 1399 c.c.. La corte d’appello avrebbe erroneamente escluso l’utilizzazione – ai fini della dimostrazione dell’ignoranza da parte del terzo contraente del conflitto d’interessi in capo al rappresentante della società venditrice – del bilancio di esercizio al 31 dicembre 1998 perché prodotto solo in appello, e ne avrebbe poi illegittimamente negato il valore di tacita ratifica da parte della F. s.r.l. dell’operato del suo rappresentante.
9. Con il quarto e ultimo motivo si torna sulla questione dell’ammissibilità della produzione in appello dello stesso documento (bilancio di esercizio 1998 della F.).
10. I tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, vertendo sul punto comune del valore dell’approvazione del bilancio come ratifica tacita dell’operato dell’amministratore in conflitto d’interessi, sono infondati. Secondo l’insegnamento di questa corte a sezioni unite, non può ammettersi una deliberazione implicita nell’approvazione del bilancio, tenuto conto della natura imperativa e inderogabile della disciplina del bilancio e del funzionamento delle assemblee di società, disciplina dettata anche nell’interesse pubblico al regolare svolgimento dell’attività economica. L’insegnamento (Cass. Sez. un. 29 agosto 2008 n. 21933) ha un valore particolarmente pregnante proprio in tema di mancata liberazione degli amministratori dalla responsabilità di gestione, nel caso di approvazione del bilancio (art. 2434 c.c.): la norma appena citata, infatti, deve ritenersi incompatibile con la supposta ratifica implicita degli atti di gestione compiuti dagli amministratori.
11. Questi motivi, pertanto, sono respinti in applicazione del principio di diritto enunciato da questa corte nel già richiamato precedente a sezioni unite.
12. Il ricorso incidentale di P.S. contro la stessa sentenza, che ha respinto la domanda di risarcimento danni proposta contro di lui, è inammissibile per difetto del requisito della soccombenza.
13. Le spese del giudizio sono poste a carico solidale dei ricorrenti, soccombenti nella causa di merito, e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale; condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità a favore della società resistente, liquidate in euro 3.200,00, di cui euro 3.000,00 per compenso, oltre agli accessori di legge.
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