Corte di Cassazione sentenza n. 6229 del 13 marzo 2013
ACCERTAMENTO – RIPARTO DELL’ONERE PROBATORIO TRA CONTRIBUENTE E UFFICIO IN PRESENZA DI FALSE FATTURAZIONI – FRODI CAROSELLO PROVA IN CAPO ALLE ENTRATE – NEGLI ALTRI CASI DI FALSE FATTURAZIONI LA BUONA FEDE VA SEMPRE DIMOSTRATA DAL CONTRIBUENTE
massima
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In tema di frode carosello incombe al fisco la dimostrazione che la fattura emessa dal contribuente accertato sia soggettivamente falsa. Al contrario, in caso di operazioni commerciali con la cartiera la prova circa la buona fede incombe sull’imprenditore.
Solo in presenza di frodi carosello l’onere probatorio resta a carico dell’amministrazione, il quale deve dimostrare, anche in via presuntiva, la fittizietà delle operazioni. In caso, invece, di documenti oggettivamente inesistenti il contribuente deve provare la propria buona fede. In presenza di fatture false occorre distinguere le situazioni che possono verificarsi, cui corrisponde un differente riparto dell’onere probatorio. In ipotesi di operazioni oggettivamente inesistenti, ove l’Ufficio abbia dubbi, anche su base presuntiva, dell’effettività della cessione o della prestazione, deve essere il contribuente a provare l’esistenza dell’operazione. Nel caso di fatture soggettivamente inesistenti, cioè se l’operazione è avvenuta ma l’emittente non è quello effettivo, il contribuente può detrarre l’IVA indicata in fattura se prova la propria buona fede, ossia se in base ai normali canoni dell’ordinaria diligenza non poteva sapere che il venditore (o il prestatore) non era quello risultante dal documento. Infine, nel caso di cosiddetti frodi carosello, cioè a dire l’interposizione di soggetti fittizi nelle transazioni e il contestuale omesso versamento anche parziale dell’imposta, l’onere probatorio incombe sull’amministrazione, anche in considerazione, delle recenti pronunce della Corte di giustizia UE.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La società contribuente propose ricorsi avverso avvisi di accertamento, con i quali l’Ufficio aveva rettificato gli imponibili irpeg ed ilor, per le annualità 1996 e 1997, nonché quelli iva ed imposta patrimoniale, per l’annualità 1997.
Nel quadro delle complessive risultanze di p.v.c. della G.d.F., che aveva riscontrato l’esistenza di un’articolata organizzazione tesa all’evasione delle imposte, gli avvisi trovavano specifico fondamento; a) nel recupero a tassazione, per il 1996, di costi ritenuti non deducibili ai fini dell’imposizione diretta, in quanto risultanti da fatture emesse da (omissis) per operazioni che, alla luce delle dichiarazioni rese dallo stesso legale rappresentante di detta società, si configuravano come oggettivamente inesistenti; b) nel recupero a tassazione, per entrambe le annualità, della deduzione ai fini dell’imposizione diretta, e della detrazione iva, basate su fatture emesse da (omissis) srl e (omissis) srl per operazioni soggettivamente inesistenti e, inoltre, nella rideterminazione in via induttiva di ricavi dichiarati.
L’adita commissione tributaria, riuniti i ricorsi, accolse integralmente quelli riguardanti gli accertamenti in tema di imposte dirette e di imposta patrimoniale ed accolse solo parzialmente il ricorso riguardante la rettifica iva, per l’anno 1997; in proposito, annullato il recupero fondato sulla rideterminazione induttiva dei ricavi, ritenne fondata la ripresa basata sull’indebita detrazione dell’iva risultante da fatture emesse (da (omissis) e (omissis)) in relazione ad operazioni soggettivamente inesistenti, reputando, al riguardo, provata, oltre che l’esistenza dell’organizzazione finalizzata all’evasione, la riferibilità ad imprese diverse dalle emittenti delle prestazioni riportate nelle fatture emesse.
Investita dall’appello principale della società contribuente e da quello incidentale dell’Agenzia, la commissione regionale accolse il primo e respinse il secondo, annullando integralmente anche la rettifica iva per l’anno 1997.
In particolare, il giudice a quo accolse l’appello principale della società contribuente, in base al rilievo che, non rinvenendosi elementi per dubitare della “buona fede” della società contribuente in merito alla falsità ideologica delle fatture per operazioni soggettivamente inesistenti utilizzate a fine di detrazione iva per l’anno 1997, la detrazione medesima non poteva ritenersi indebita. Respinse, quindi, l’appello incidentale dell’Agenzia, affermando che, in difetto d’idonea Prova dell’oggettiva inesistenza delle operazioni attestate dalle fatture emesse da (omissis) (per la ricorrenza di tracce documentali d’intervenuti pagamenti ed il conforme esito del giudizio in merito alla corrispondente ripresa iva), il recupero dei costi correlativamente dedotti ai fini dell’imposizione diretta, per l’annualità 1996, era illegittimo.
Avverso la decisione di appello, l’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione in due motivi.
La società contribuente ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I) 1. – Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia insorge contro il capo della sentenza impugnata e afferma l’illegittimità del recupero a tassazione della detrazione, in relazione all’annualità 1997, dell’iva riportata sulle fatture emesse, relazione ad operazioni soggettivamente inesistenti, da(omissis) e (omissis) .
In proposito, l’Agenzia deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 19, 21, 23 e 28 D.P.R. n. 633/1972 e dell’art. 2697 c.c.” e formula il seguente quesito di diritto “… se ai sensi dell’art. 21 D.P.R. n. 633/1972, in tema di iva e in ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti, permane in capo all’emittente l’obbligo di versare comunque l’iva, anche se risultante da falsa fatturazione di vendita, mentre l’acquirente, che in realtà ha ricevuto da altri le prestazioni, non è ammesso a detrarre l’iva esposta in tali rotture soggettivamente inesistenti – essendo necessario che il presupposto dell’imposta si sia effettivamente verificato tra le parti e cioè che il rapporto commerciale e quello tributario intervengano tra gli stessi soggetti – e conseguentemente viene meno uno degli elementi fondamentali prescritti dall’art. 21, ovvero che i soggetti indicati nelle fatture siano quelli che realmente hanno posto in essere le operazioni a prescindere da qualunque indagine sulla consapevolezza o meno da parte del cessionario delle violazioni fiscali poste in essere dal suo fornitore”.
2. Con il secondo motivo di ricorso, Agenzia insorge contro il capo della sentenza impugnata che afferma l’illegittimità del recupero a tassazione dei costi dedotti ai fini dell’imposizione diretta per l’annualità 1996 in relazione alle fatture, assentente emesse per operazioni oggettivamente inesistenti, da (omissis) e (omissis) .
In proposito, l’Agenzia deduce “insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo”, in merito all’assunta mancanza di prova dell’oggettiva inesistenza delle operazioni attestate dalle fatture emesse da (omissis) .
II) 1. – Ai fini della delibazione delle riportate doglianze, occorre premettere che, per quanto riguarda cd. fatture per operazioni oggettivamente inesistenti (espressione cartolare, cioè, di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno) la giurisprudenza di questa Corte è consolidatamente orientata a ritenere (cfr., tra le altre, Cass. 9108/12, 12802/11, 2598/10, 9958/08, 2847/08, 1023/08, 26130/07, 21953/07, 1727/07) che qualora l’Amministrazione contesti indebite detrazione di iva e deduzione di costi fatturati, fornendo elementi, anche semplicemente presuntivi, purché oggettivi, atti asseverare (ex artt. 39, comma 1 lett. d, e 40 D.P.R. n. 600/1973 e 54, comma 2, D.P.R. n. 533/1972) l’emissione di fatture in assoluta assenza di corrispondente prestazione – è onere del contribuente, che rivendichi la legittimità della deduzione degli esborsi fatturati e quella della detrazione dell’iva correlativamente indicata, fornire la prova dell’effettiva esistenza delle operazioni.
Ai sensi dell’art. 21 D.P.R. n. 633/1972, la fattura è, infatti, documento idoneo a rappresentare operazioni rilevanti a fini fiscali, ma, in presenza di elementi seriamente inducenti a ritenere l’insussistenza di corrispondente prestazione commerciale, perde detta idoneità (non insorgendo il diritto alla deduzione e quello alla detrazione fiscale per il mero fatto dell’indicazione in fattura dell’operazione commerciale: v. C.G. 31.1.2013 in causa C-642/11, punto 30, e l’ulteriore giurisprudenza ivi richiamata), così determinandosi il passaggio sul contribuente dell’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni rappresentate.
2.1. – Il criterio trova applicazione anche in relazione alle fatture per operazioni (solo) soggettivamente inesistenti, emesse, cioè, da soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione che vi è rappresentata (Cass. 3202/09, 29467/08); e ciò sia con riguardo alla detraibilità dell’iva correlativamente indicata sia con riguardo alla deducibilità, ai fini dell’imposizione diretta, degli esborsi fatturati.
2.2 – In proposito – trascurando il tema della deducibilità ai fini dell’imposizione diretta dei costi attestati da fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, che qui non rileva (ed in relazione al quale soltanto opera la previsione dell’art. 14, comma 4 bis, l. 537/1993, nella formulazione introdotta dall’art. 8, comma 1, D.L. 16/2012, convertito in l. 44/2012: cfr. Cass. 10167/12) – occorre osservare che, in merito alla detraibilità dell’iva, è stato, in particolare, considerato che, in ipotesi di emissione della fattura da parte di soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione da essa attestata, viene a mancare lo stesso principale presupposto della detrazione dell’iva, costituita dall’effettuazione di un’operazione, giacché questa (riferendosi l’art. 19, comma 1, D.P.R. n. 633/1972 all’imposta relativa alle “operazioni effettuate”) deve ritenersi carente anche nel caso in cui i termini soggettivi dell’operazione non coincidano con quelli della fatturazione (v. Cass. 23987/09, 5719/07).
È stato, inoltre, osservato che la previsione dell’art. 21, comma 7, D.P.R. n. 633/1972 – secondo la quale, se vengono emesse fatture per operazioni inesistenti, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura – è, con riguardo all’ipotesi considerata, esplicita nel senso di imporre il versamento dell’imposta, ma di precluderne la detrazione.
La disposizione è, infatti, letta nel senso che il tributo viene ad essere considerato “fuori conto” e la relativa obbligazione, conseguentemente “isolata” dalla massa di operazioni effettuate, “estraniata”, per ciò stesso, dal meccanismo di compensazione tra iva “a valle” ed iva “a monte”, che presiede alla detrazione d’imposta di cui all’art. 19 D.P.R. n. 633/1972. E ciò per il rilievo che il versamento dell’iva ad un soggetto che non sia la genuina controparte – aprendo la strada ad un indebito recupero dell’imposta: cfr. Cass. 4750/10, 5718/07, 14337/02) – è evento dirompente, nell’ambito del complessivo sistema iva, essendo questo finalizzato a che l’imposta sia versata a chi ha eseguito prestazioni imponibili, perché la compensi con l’imposta, a sua volta, corrisposta per l’acquisto di beni e di servizi (v. Cass. 4750/10, 309/06, 12353/05).
3.1 – Ponendosi in relazione al tema delle fatture per operazioni (solo) soggettivamente inesistenti (differentemente che per quello delle fatture emesse in assoluta assenza di corrispondenti prestazioni commerciali) l’esigenza della tutela della “buona fede” del contribuente, il rigore dell’impostazione è, in proposito, stemperato (sulla scorta della giurisprudenza della Corte di Giustizia: cfr. sent. 6.7.2006 nelle cause riunite C-439/04 e C-44G/04 e sent. 12.1.2006 nelle cause riunite C-354/03, C-355/03 e C-484/03), nel senso che in ogni caso, in funzione dei principi della tutela dell’affidamento e della certezza del diritto, l’esercizio del diritto alla detrazione dell’iva versata a soggetto diverso dal cedente/prestatore che ha, tuttavia, emesso la fattura non può essere negato se non sulla base di oggettivi elementi presuntivi che inducano ad escludere la “buona fede” del committente/cessionario, che questi, cioè, non abbia avuto (e non abbia potuto avere, avendo in proposito adottato tutte le ragionevoli precauzioni) la consapevolezza di partecipare, con il proprio acquisto, ad illecito fiscale dell’emittente delle fatture contestate o di altro operatore intervenuto a monte nella catena di prestazioni (v. Cass. 23 560/12, 23626/11).
3.2 – In tale prospettiva peraltro, in ipotesi d fatturazione per operazione soggettivamente inesistente risolventesi nella diretta acquisizione della prestazione da soggetto certamente diverso da quello che ha emesso fattura e percepito l’iva in rivalsa, la prova che la prestazione non è stata effettivamente eseguita dal fatturante, essendo questo privo di dotazione personale e strumentale adeguata all’esecuzione della prestazione medesima, costituisce di per sé elemento idoneamente sintomatico dell’assenza di “buona fede” del contribuente (nel senso sopra precisato), poiché l’immediatezza dei rapporti (cedente o prestatore – fatturante – cessionario o committente) induce ragionevolmente ad escludere l’ignoranza incolpevole del contribuente in merito all’avvenuto versamento dell’iva a soggetto non legittimato alla rivalsa né assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta; con l’effetto che, in tal caso, sarà il contribuente a dover provare di non essere a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione era, non il fatturante, ma altri.
Diversamente, in ipotesi di fatturazione per operazione iscriventesi, mediante strumentali interposizioni, in una combinazione negoziale fraudolenta che contempli l’avvalimento in vario modo da parte di cessionari successivi del mancato (o no integrale) versamento dell’iva da parte di un cedente (cd. “frode carosello”), incombe sull’Amministrazione l’onere di provare, ancorché solo presuntivamente, gli elementi di fatto che concretizzano la frode nonché la partecipazione ad essa del contribuente ovvero la sua consapevolezza, (cfr. Cass. 15741/12).
3.3 – L’impostazione è coerente con le più recenti decisioni della Corte di Giustizia (cfr. C.G. 31.1.2013 in C-642/111, 6.12.2012 in causa C-285/11, 21.6.2012 nelle cause riunite C-80/11 e C-142/11).
Queste infatti – nel riaffermare che il diritto dei soggetti passivi di detrarre dall’iva di cui sono debitori l’iva dovuta o versata a monte per i beni acquistati e per i servizi loro prestati, in quanto principio fondamentale del sistema comune dell’iva, non è, in linea di principio, suscettibile di limitazioni – puntualizzano che, ai fini della detrazione, è irrilevante stabilire se l’iva dovuta sulle operazioni di vendita precedenti o successive riguardanti i beni interessati sia stata versata o meno all’Erario, posto che l’iva si applica a qualsiasi operazione di produzione o distribuzione, detratta l’imposta gravante direttamente sul costo dei diversi elementi costitutivi del prezzo (v., in particolare C.G. 6.12.2012 in causa C-285/11, punti 25 – 28, e 21.6.2012 nelle cause riunite 080/11 e C-142/11, punti 38 – 40).
Le richiamate decisioni ribadiscono tuttavia, nel contempo, che: per poter beneficiare del diritto a detrazione, occorre, tra l’altro, che i beni o servizi invocati a base di tale diritto siano forniti a monte da un altro soggetto passivo iva (evenienza che, come rilevato in precedenza, non si riscontra nell’ipotesi in cui la prestazione rappresentata nella fatture sia eseguita da soggetto diverso dal soggetto emittente: v., in particolare, C.G. 6.12.2012 in causa C-28 5/11, punto 29); che, al fine della lotta alle evasioni, elusioni ed abusi (costituente obiettivo riconosciuto ed incoraggiato dalla direttiva 2006/112), è consentito agli Stati membri stabilire, nel rispetto della parità di trattamento tra le situazioni di diritto interno e quelle di diritto comunitario e a condizione che non si dia luogo a formalità connesse con il passaggio di una frontiera, altri obblighi che ritenuti necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’iva e ad evitare le evasioni (cfr. C.G. 6.12.2012 in causa C-285/11, punti 36 e 37, 6.9.2012 in causa C-324, punto 11, e 21.6.2012 nelle cause riunite C-80/11 e C-142/11, punti 40 – 42); che, in tale prospettiva, è demandato alle autorità ed ai giudici nazionali negare il beneficio del diritto a detrazione ove sia dimostrato alla luce di elementi oggettivi, conformemente alle norme nazionali sull’onere della prova, che lo stesso diritto è invocato fraudolentemente o abusivamente (v., in particolare C.G. 6.12.2012, in causa C-285/11, punto 32). E da tali premesse inferiscono che – mentre non è compatibile con il regime del diritto a detrazione negare il diritto a soggetto passivo che non sapeva e non avrebbe potuto sapere in base all’ordinaria diligenza che l’operazione interessata si iscriveva in un’evasione commessa dal fornitore o che altra operazione nell’ambito della catena delle cessioni, precedente o successiva a quella realizzata da detto soggetto passive, era viziata da evasione dell’iva, giacché l’istituzione di un sistema di responsabilità oggettiva andrebbe al di là di quanto necessario per garantire i diritti dell’Erario (cfr. C.G. 31.1.2013 in C-642/111, punto 48, 6.12.2012 in causa C-285/11, punti 39 e 40, e 21.6.2012, nelle cause riunite C-80/11 e C-142/11, punto 47, 48) – conforme al diritto comunitario deve, invece, ritenersi negare ad un soggetto passivo il beneficio del diritto a detrazione qualora risulti, alla luce di elementi oggettivi e sulla base delle norme nazionali sull’onere della prova, che detto soggetto passivo, al quale sono stati ceduti o forniti i beni o i servizi posti a fondamento del diritto a detrazione, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordina proprio acquisto, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in un’evasione dell’iva commessa dal fornitore o da un altro operatore intervenuto a monte o a valle nella catena di tali cessioni o prestazioni (cfr. C.G. 31.1.2013 in C 642/111, punto 46, 6.12.2012 in causa C 285/11, punti 40 e 41, e 21.6.2012, nelle cause riunite C 80/11 e C 142/11, punti 45 e 46).
III) 1. In applicazione dei principi sopra enucleati (in particolare sub n. II 1.), il secondo motivo di ricorso si rivela fondato.
Al riguardo, deve rilevarsi che l’incontroverso coinvolgimento di (omissis) nell’accertato complessivo disegno evasivo ed atteso l’incontroverso tenore delle dichiarazioni rese dal suo legale rappresentante in merito alla mancata esecuzione delle prestazioni oggetto delle fatture in contestazione – del tutto insufficiente si rivela la motivazione con la quale il giudice a quo ha ritenuto non provata l’oggettiva inesistenza delle operazioni attestate dalle fatture emesse da (omissis). Mentre la documentazione del pagamento costituisce, in proposito, dato assai scarsamente significativo (essendo una costante del meccanismo fraudolento, v. Cass. 12302/11, 17377/09, 1950/07, 15228/01), tale oggettiva inesistenza è, infatti, basata – pur nella consapevolezza che l’assenza di ogni effettiva prestazione risultava confermata dallo stesso legale rappresentante di (omissis) – sul solo rinvio meramente adesivo ed acritico, e perciò inidoneo (v. Cass. 2268/06, 24580/05, 11488/04, 2196/03, 18296/02, 3066/02, 4510/00), alle risultanze di sentenza non definitiva (e nemmeno riportata nei suoi tratti salienti) pronunciatasi in merito alla ripresa iva riguardante la medesima annualità.
2. – Alla stregua di quanto in precedenza puntuallizzato sub n. II 2 e 3, anche il primo motivo di ricorso si rivela fondato.
Sostenendo l’illegittimità della ripresa in esame, semplicemente in funzione dell’assunta carenza di prova della conoscenza, da parte della società contribuente, della natura di “mere cartiere” delle società che ne avevano fatturato gli acquisti (e, quindi, della loro strutturale inidoneità ad eseguire le prestazioni), la sentenza impugnata non si pone in linea con i criteri sopra enucleati. Trascurando l’articolato regime di prova che ne deriva, omette, infatti, ogni analisi degli elementi della fattispecie rilevanti al fine della valutazione della “buona fede” della società contribuente in merito all’incontroversa divaricazione tra esecutori delle prestazioni e emittenti delle corrispondenti fatture.
IV) – Alla stregua delle considerazioni che precedono, s’impone l’accoglimento del ricorso.
La sentenza cassata va, dunque, impugnata, con rinvio della causa, anche per la determinazione sulle spese del presente giudizio, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Lombardia.
P.Q.M.
La Corte: accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la determinazione sulle spese del presente giudizio, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Lombardia.
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