Corte di Cassazione sentenza n. 6236 del 20 aprile 2012 

IRPEF -TERMINE BREVE PER IL RIMBORSO SULLE RITENUTE AI DIPENDENTI

massima

_________

La richiesta di rimborso, da parte del datore di lavoro, delle ritenute Irpef eseguite sulle retribuzioni dei propri dipendenti, è soggetta al termine di decadenza previsto dall’art. 38, secondo comma, D.P.R. n. 602/73 (diciotto mesi dalla data in cui è stata operata la ritenuta) e non al termine decennale di prescrizione di cui all’art. 37 D.P.R. n. 602/73.

________

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – MOTIVI DELLA DECISIONE

Il relatore Cons. Dott. G.C., letti gli atti depositati:

La CTR di Roma ha respinto l’appello dell’Agenzia – appello proposto contro la sentenza n. 13 6/23/2007 della CTP di Roma che aveva accolto il ricorso del contribuente S.V. – ed ha così annullato il silenzio-rifiuto sull’istanza di data 26.1.2004 di rimborso per IRPEF relativa agli anni dal 1995 al 2000, con riferimento alle maggiori trattenute erogate dal datore di lavoro (CONI) sul trattamento pensionistico integrativo erogato dal Fondo di Istituto, rispetto al tasso dell’87,5% previsto dalla legge.

La predetta CTR – sull’eccezione di decadenza proposta dall’Agenzia – ha motivato la decisione ritenendo che la disposizione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, trova applicazione per i rimborsi di versamenti diretti, mentre ai rimborsi di trattenute dirette va applicato l’art. 37 dello stesso D.P.R., con il conseguente termine decennale di prescrizione, ex art. 2946 cod. civ., almeno per il periodo antecedente la riforma di cui alla L. n. 388 del 2000.

L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Il contribuente non si è costituito.

Il ricorso – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., assegnato allo scrivente relatore – può essere definito ai sensi dell’art. 375 c.p.c.

Infatti, con il primo motivo di censura (rubricato come: “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, assistito da idoneo quesito ed assorbente rispetto al successivo motivo) la ricorrente si duole in sostanza dell’erronea applicazione dell’art. 38, a norma del quale (per il periodo dal 1.1.1995 al 30.6.1999) si sarebbe dovuto fare applicazione del termine decadenziale di mesi 18 e (per il periodo dal 1.7.1999 al 26.1.2000, in considerazione dell’estensione introdotta con la L. n. 133 del 1999) si sarebbe dovuta fare applicazione del termine decadenziale di mesi 48, in considerazione dell’istanza presentata dal S. in data 26.11.2004.

Il motivo è fondato e può essere accolto.

Ed invero, deve farsi applicazione nella specie di causa (anche per il periodo antecedente all’entrata in vigore della L. n. 388 del 2000, cui esclusivamente si riferisce il giudice di appello) del confermato insegnamento di questa Corte (per tutte Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2999 del 07/04/1997) secondo cui: “La richiesta di rimborso delle ritenute per I.R.P.E.F. effettuate, come sostituto d’imposta, dal datore di lavoro, sulle somme corrisposte a vario titolo (retribuzioni, premi, indennità, ivi compreso il t.f.r.), al dipendente, espressamente prevista dal D.P.R. 602 del 1973, art. 38, comma 2, deve essere presentata nel termine di decadenza di diciotto mesi dalla data in cui la ritenuta è stata operata. Esse ritenute, infatti, non rientrano nella disciplina delle “ritenute dirette” di cui all’art. 37 dello stesso D.P.R., perché tale ultima nozione implica una sorta di compensazione che lo Stato opera fra credito fiscale ed il controcredito del contribuente, e – pertanto – riguarda esclusivamente le amministrazioni statali”.

Poiché l’applicazione della disciplina di legge fatta dal giudice di appello contrasta con il menzionato principio, non vi è dubbio che la sentenza di appello debba essere cassata, anche se poi occorre rimettere la decisione al medesimo giudice di appello, affinché si accerti quali siano effettivamente le ritenute che sono passibili di decadenza e rispetto a quale durata della decadenza medesima, a seconda del periodo in cui le ritenute stesse sono state operate, risultando a tale proposito non chiaro né ciò che prospetta il giudice della sentenza impugnata (il quale menziona ritenute operate fino all’anno 2002) nè quanto prospetta (genericamente) la parte ricorrente.

Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta fondatezza.

Roma, 30 maggio 2011. che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti;

che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie;

che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va accolto;

che le spese di lite posso essere regolate dal giudice del rinvio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR Lazio che, in diversa composizione, provvedere anche sulle spese di lite del presente grado.