Corte di Cassazione sentenza n. 647 del 12 gennaio 2012
PROCESSO PENALE – SEQUESTRO – AMBITO OGGETTIVO
massima
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In caso di fatture soggettivamente inesistenti all’imprenditore possono essere sequestrate somme corrispondenti, oltreché all’evasione Iva, anche quelle corrispondenti all’evasione Ires. In fase cautelare qualora si sia in presenza di contestazione relativa a fatture soggettivamente inesistenti non è possibile escludere la sussistenza del fumus della dichiarazione infedele anche in tema di imposte dirette”.
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RILEVA IN FATTO
Con decreto di sequestro preventivo emesso il 17 gennaio 2011, il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Trani ha sottoposto a cautela, L. n. 244 del 2007, ex art. 1, comma 143, e art. 322 ter c.p., plurimi beni immobili, mobili e mobili registrati intestati al Sig. D.B. e alla società “Di.Be.A. Di Benedetto Alimentari S.r.l.” in relazione a violazioni del D.Lgs. n. 74 del 2000, comportanti evasione di imposta per un ammontare complessivo pari a 1,8 milioni di Euro circa. Tali violazioni emergono dalle segnalazioni di reato della polizia tributaria che ha accertato l’utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti nella dichiarazione d’imposta per l’anno 2007 presentata in data 30 settembre 2008 e l’omesso versamento dell’imposta dovuta per l’anno 2007.
Sulla istanza proposta dal Sig. D.B. il Tribunale di Trani, quale giudice del riesame, ha respinto tutte le censure e confermato il provvedimento cautelare. Osserva il Tribunale:
– che le condotte ascritte al ricorrente D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 2, si collocano in coincidenza della dichiarazione dei redditi per l’anno 2007 presentata nel settembre 2008, e ricadono dunque nella sfera di applicazione dell’art. 322 ter c.p., in forza del disposto della Legge Finanziaria n. 244 del 2007, art. 1, comma 143, entrata in vigore il primo gennaio 2008; nessun dubbio, poi, per l’applicabilità del sequestro alle condotte ex art. 10 ter del medesimo decreto legislativo in quanto commesse nel dicembre del 2008;
– che la verifica circa la sussistenza del dolo in capo all’indagato esula dalle competenze del giudice del riesame;
– che i sequestro “per equivalente” può investire sia i beni appartenenti alla società sia quelli appartenenti al suo amministratore, fermo restando il limite degli importi corrispondenti al profitto accertato;
– che non vi è dubbio circa la sussistenza del “fumus” del reato D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, ex art. 2; innanzitutto perché l’utilizzazione di f.o.i. comporta l’evasione della quota corrispondente di I.v.a. dovuta allo Stato, e poi perché, una volta ricavato dall’art. 1, lett. a), della medesima legge che le fatture soggettivamente inesistenti ricadono sotto la sfera di applicazione della norma incriminatrice, non vi è alcuna ragione che escluda la loro rilevanza ai fini dell’evasione sulle imposte dirette, come si ricava anche dalla disposizione contenuta nella L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis.
Ricorre avverso tale ordinanza il Sig. D.B. proponendo, in proprio e quale legale rappresentante di “Di.Be.A. S.r.l.”, la seguente censura: errata applicazione del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 2, e della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis. Sostiene il ricorrente che la contestazione D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, ex art. 2, è errata perché a fronte della fatture soggettivamente inesistenti la “Di.Be.A. S.r.l.” ha effettivamente sopportato i costi di acquisto dei prodotti dall’estero, prodotti che sono stati oggetto di successiva lavorazione, così che non rileva ai fini delle imposte dirette che le fatture di acquisto siano state emesse da persona giuridica diversa dalla effettiva venditrice. In tal senso la Cassazione si è già espressa con la sentenza della Terza Sezione Penale, n. 10394/2010, Gerotto, rv 246327. A tal fine non può assumere rilievo, come invece sostenuto dal Tribunale, la non deducibilità dei costi L. n. 537 del 1993, ex art. 14, comma 4 bis, che attiene ad un profilo diverso.
OSSERVA IN DIRITTO
La circostanza che si verso in ipotesi di misura cautelare impone di verificare se sussista il “fumus” del reato di infedele dichiarazione relativa all’anno 2007 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, ex art. 2, e se sussista il “fumus” del reato previsto dall’art. 10 ter della medesima legge, dovendosi rimettere alla sede del merito la valutazione complessiva delle operazioni commerciali e della definitiva qualificazione giuridica dei fatti.
1. Ora, si legge a pagina 4 dell’ordinanza impugnata che la ditta del ricorrente utilizzò nelle dichiarazioni 2007 ai fini I.V.A. e II.DD. fatture soggettivamente false e omise, poi, di versare all’amministrazione l’importo di 250.000 Euro quale imposta sul valore aggiunto dovuta sempre per l’anno 2007.
Tale situazione di fatto impone di ritenere certamente sussistente sia la violazione D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, ex art. 2, con riferimento alla dichiarazione I.v.a. sia quella ex art.10 ter della medesima legge. Si tratta di due ipotesi di reato che, in quanto poste in essere nell’anno 2008, consentono di dare corso al sequestro ex art. 322 ter c.p.
Già questa constatazione consentirebbe di confermare l’ordinanza impugnata, posto che il ricorrente non fornisce alcun elemento per concludere che il valore dei beni sequestrati ecceda l’entità del debito d’imposta e le somme complessivamente dovute all’erario a seguito delle due violazioni citate.
2. Per quanto concerne la sussistenza del “fumus” del reato ex art. 2, citato, con riferimento alla dichiarazione delle imposte dirette, l’unico dato certo, perché non contestato dal ricorrente stesso, è che le fatture in esame indicavano un emittente non diverso da quello che avrebbe dovuto emettere i documenti in relazione alle prestazioni effettive; si tratta, dunque, di documenti privi del valore di attestazione che l’ordinamento riconosce alle fatture regolari, tanto che non possono trovare valido ingresso nella contabilità a fini I.V.A. (per tutte, Terza Sezione Penale, sentenza n. 10394 del 2010).
Una volta che si riconosca la falsità ideologica delle fatture, ancorché la falsità sia limitata al solo aspetto del soggetto emittente o ricevente, deve escludersi che esse possano offrire valida attestazione circa l’entità delle operazioni e degli importi dichiarati e possano così costituire riferimento certo in ordine agli importi in esse dichiarati come “elementi passivi”; si tratta, così, di importi che dovranno essere accertati sulla base di ulteriori e diversi elementi.
A questo proposito merita di essere richiamata la sentenza con cui questa Sezione ha affermato che anche l’ipotesi di indicazione in fattura di acquirente diverso dal vero integra gli estremi della violazione prevista dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 8, in quanto rende possibile “conseguire il fine illecito indicato dalla norma in esame, ovvero consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto” (sentenza n.20353 del 2010, Bizzozzero e altro, rv. 247110, che conferma un indirizzo ormai costante formatosi fin dall’imperio della L. n. 516 del 1982).
L’esame complessivo della giurisprudenza di questa Corte impone di considerare che la infedeltà intenzionale del’intera o di parte del documento “fattura” priva tale documento dell’efficacia di attestazione che gli è attribuita dal sistema tributario e impedisce di prenderlo come riferimento per le sole parti che non risultano affette da falsità. Ciò non impedisce al contribuente di addurre gli elementi attestanti l’effettività e l’entità delle operazioni sottostanti il documento affetto da falsità, ma si tratta di questione che introduce valutazioni di merito non esaminabili in questa sede.
In conclusione, a prescindere dal tema se in sede di giudizio si potranno includere quei costi nella contabilità ai fini delle imposte dirette, deve affermarsi il principio che in fase cautelare qualora si sia in presenza di contestazione relativa a fatture soggettivamente false non è possibile escludere la sussistenza del “fumus” della dichiarazione infedele anche in tema di imposte dirette.
Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente grado, ai sensi dell’art. 616 c.p.p.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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