Corte di Cassazione sentenza n. 6606 del 23 marzo 2011
IMPOSTA DI REGISTRO – AUMENTO DI CAPITALE IN NATURA – IL NOTAIO E’ RESPONSABILE IN SOLIDO DEL PAGAMENTO DELL’IMPOSTA
massima
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L’imposta di registro dovuta per il caso di aumento di capitale con conferimento in natura deve essere qualificata come imposta principale e non come imposta complementare qualora la sottoscrizione dell’aumento di capitale sia contestuale alla delibera assembleare. Ne consegue che il notaio incaricato della redazione del verbale di assemblea straordinaria è tenuto a richiedere la registrazione e a pagare, in solido con la società deliberante, l’imposta di registro dovuta ai sensi del combinato disposto degli articoli 10 e 57 del D.P.R. 131/1986 non potendosi applicare l’esenzione di responsabilità di cui al secondo comma del medesimo art. 57. Viceversa, in ossequio a quanto stabilito dalla Corte di Giustizia, il tributo non dev’essere versato quando il conferimento non è certo.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate propongono ricorso per cassazione, in base ad un motivo, contro la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto che, accogliendo l’appello del contribuente contro la pronuncia di primo grado, ha dichiarato non dovuta l’imposta di registro richiesta al contribuente, quale pubblico ufficiale rogante, con la cartella di pagamento impugnata, in relazione ad atto di aumento di capitale della società L.
Il contribuente resiste con controricorso, illustrato da successiva memoria, eccependo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso sia quanto al Ministero, sia quanto all’Agenzia delle Entrate, e deducendo, nel merito, che l’aumento di capitale non era comunque mai avvenuto.
La causa è stata chiamata all’udienza del 26 novembre 2008.
Con ordinanza in pari data la Corte ha formulato alla Corte di giustizia delle Comunità Europee i seguenti quesiti:
a) se l’art. 4, comma 1, lett. c), della direttiva 69/335/CE, secondo cui è sottoposto all’imposta sui conferimenti l’aumento del capitale sociale di una società di capitali mediante conferimento di beni di qualsiasi natura, debba essere interpretato nel senso che va assoggettato ad imposta l’effettivo conferimento e non la mera delibera di aumento di capitale rimasta sostanzialmente ineseguita;
b) se l’art. 4, comma 1, lett. c), della direttiva 69/335/CE debba essere interpretato nel senso che l’imposta deve gravare esclusivamente sulla società conferitaria e non anche sul pubblico ufficiale che redige o riceve l’atto;
c) se in ogni caso siano conformi al principio di proporzionalità i mezzi di difesa offerti dalla normativa italiana al pubblico ufficiale, tenuto conto che il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 38, dispone l’irrilevanza della nullità o annullabilità della delibera di aumento di capitale e consente di ottenere il rimborso de l’imposta pagata solo a seguito di sentenza civile di nullità o annullamento passata in giudicato.
La Corte di Giustizia ha provveduto con sentenza del 1° luglio 2010.
Il controricorrente ha depositato una nuova memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Il ricorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze è inammissibile, essendo esso rimasto estraneo al giudizio di merito, introdotto successivamente al 1° gennaio 2001, svoltosi nei soli confronti dell’Agenzia delle Entrate, divenuta operativa a quella data, cui deve attribuirsi la qualità di successore a titolo particolare dello stesso Ministero (SS.UU. n. 3116/06).
2.- È invece ammissibile il ricorso dell’Agenzia, avendo le Sezioni Unite di questa Corte escluso che essa, per avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, debba conferire una specifica procura per ogni singolo procedimento (SS.UU. n. 3118/06).
3.- Con l’unico morivo l’Agenzia delle Entrate lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 13, 14, 19, 20, 27, 42, 50, 55 e 57, assumendo l’obbligo del notaio rogante al pagamento dell’imposta, da qualificarsi come principale.
3.1.- Il mezzo è parzialmente fondato, nei sensi di seguito precisati. Il punto centrale della controversia è rappresentato dalla qualificazione dell’imposta proporzionale dovuta sull’aumento di capitale come principale o complementare, in quanto, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 57, comma 2, “la responsabilità dei pubblici ufficiali non si estende al pagamento delle imposte complementari e suppletive”.
Il giudice tributario, sul rilievo che – ai sensi dell’allora vigente D.P.R. n. 131 del 1986, art. 27, comma 6, – gli aumenti di capitale a pagamento si considerano sottoposti alla condizione sospensiva della sottoscrizione, ha qualificato l’imposta come complementare.
La ricorrente viceversa, trattandosi di aumento di capitale effettuato mediante conferimenti in natura e perciò da sottoscriversi contestualmente alla deliberazione, ritiene applicabile il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 27, comma 5, secondo cui, una volta intervenuta l’omologazione, l’atto è soggetto all’imposta (principale) nella misura indicata dalla tariffa, previa deduzione dell’imposta in misura fissa pagata in sede di registrazione: con il conseguente obbligo solidale del notaio rogante.
La tesi dell’Amministrazione appare preferibile e l’imposta deve essere qualificata come principale, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 27, comma 5, stante la contestualità tra la delibera e la sottoscrizione dell’aumento di capitale, con conseguente inapplicabilità del comma 6, della stessa norma.
Va tuttavia considerato che, in risposta ai quesiti sottopostile da questa Corte, la Corte di Giustizia, pur ritenendo compatibile con la direttiva 69/335, come successivamente modificata, la responsabilità solidale del notaio rogante per il pagamento dell’imposta sui conferimenti, ha, in primo luogo, affermato, che è necessario che “sia mantenuta la connessione fra la riscossione dell’imposta menzionata e il conferimento effettivo dei beni alla società beneficiaria”, cosicchè “lo Stato membro interessato non potrà richiedere il pagamento dell’imposta sui conferimenti fintantochè il conferimento in parola non rivesta carattere certo”; in secondo luogo, ha ritenuto non compatibile con il principio di effettività una normativa nazionale che restringe, dinanzi ai giudici tributati, i mezzi di prova della mancanza dell’effettivo conferimento per l’aumento di capitale deliberato da una società.
4.- La sentenza di secondo grado – fondata su un erroneo principio di diritto – deve pertanto essere cassata, con rinvio, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Veneto, che. farà applicazione dei principi tutti, ivi compresi quelli desumibili dalla sentenza della Corte di Giustizia, esposti al punto 3.1. della presente sentenza, preliminarmente valutando, in fatto, se vi sia accertamento del vero presupposto impositivo, rappresentato dall’effettivo conferimento.
5.- Appare equo compensare le spese tra il Ministero e il controricorrente.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze e compensa le spese; accoglie il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Veneto.
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