Corte di Cassazione sentenza n. 6749 del 11 gennaio 2013
SICUREZZA SUL LAVORO – APPALTO – SUBAPPALTO E INFORTUNIO MORTALE – RISCHIO DA INTERFERENZA
massima
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Il subappaltante rientra tra i titolari degli obblighi di sicurezza, sulla scorta del principio secondo il quale il coinvolgimento nella complessiva attività impone a ciascun soggetto, titolare di poteri organizzativi, correlativi obblighi di protezione della sicurezza dei lavoratori.
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FATTO
1. Il (Omissis) S.T., dipendente della ditta individuale P.L., subappaltatrice i lavori di rimozione di lastre di eternit dal tetto del capannone di proprietà della ditta O. s.r.l., precipitava al suolo mentre transitava sul menzionato tetto, riportando lesioni che ne cagionavano la morte.
2. Tratti a giudizio C.S. e C.M., rispettivamente Presidente del consiglio d’amministrazione e amministratore delegato della O. Srl, C.A. e G. M., rispettivamente socia accomandataria e responsabile di cantiere della A. sas, venivano ritenuti responsabili della morte del lavoratore S.T. Si accertava che la ditta O., e per essa i C., aveva dato in affidamento alla ditta A. i lavori di copertura del fabbricato aziendale, lavori che quest’ultima a sua volta aveva subappaltato alla ditta individuale P.L. Nel primo pomeriggio del (Omissis) lo S. era salito insieme ad alcuni colleghi sul tetto del fabbricato, pedonabile salvo che in corrispondenza dei lucernai, per compiere attività connesse allo smantellamento del manto di copertura e procedere alla successiva ricopertura con lastre d’alluminio; sul tetto medesimo non erano state approntate misure di protezione e in particolare non era stata approntata la tesata in acciaio alla quale il lavoratore avrebbe potuto assicurarsi tramite cintura di sicurezza. Mentre percorreva il tetto in corrispondenza di un lucernaio, dal quale era stata rimossa la rete metallica di protezione, lo S. precipitava al suolo.
3. A giudizio del Tribunale di Torino risultava accertato che nel piano di lavoro predisposto dalla ditta P.L. era stato previsto l’approntamento in via preliminare di una tesata alla quale l’operatore avrebbe dovuto assicurare la cintura di sicurezza per potersi muovere senza pericolo sul tetto e soprattutto sui lucernai; tuttavia la tesata non era stata posizionata. Inoltre i lavoratori non erano stati addestrati sul corretto utilizzo della cintura di sicurezza, che comunque non avrebbero potuto utilizzare perché non posizionata la tesata. Preso atto della comunicazione del l’1 settembre 2005, con la quale il G. si era assunto il compito di formare ed informare i lavoratori addetti sul corretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuali e l’obbligo di sospendere i lavori qualora non fossero rispettate le norme di sicurezza, il primo giudice riteneva – per quel che qui interessa – che la C. ed il G. non avessero adempiuto ai propri doveri perché le misure di protezione non erano state adottate; l’attività della committente era proseguita regolarmente; i responsabili della ditta appaltatrice non erano intervenuti per pretendere il rispetto delle norme di sicurezza previste in astratto dal POS della ditta subappaltatrice.
Più in generale, il Tribunale riteneva accertata l’ingerenza della C. e del G. nell’approntamento delle misure di sicurezza e il fatto che gli stessi erano successivamente venuti meno ai loro doveri; ed ha disatteso la tesi difensiva secondo la quale il G. non aveva mai assunto il ruolo di responsabile di cantiere, ritenendo che la comprovata costante ed attiva presenza nel cantiere desse dimostrazione di tale posizione. Escludendo quindi che si ci si trovasse in presenza di rischio specifico gravante sul datore di lavoro subappaltatore, il Tribunale di Torino perveniva alla già ricordata sentenza di condanna di tutti gli imputati.
4. Con sentenza del 13 febbraio 2012 la Corte di Appello di Torino, in riforma della decisione di primo grado mandava assolti dai reati loro ascritti gli appellanti C. e G., ritenendo che non fosse stata raggiunta la prova di un loro contributo causale nella determinazione dell’evento morte.
4.1. Ad avviso della Corte distrettuale il primo giudice non aveva tenuto conto del fatto che al momento del sinistro i lavori di rimozione non erano ancora iniziati e che quindi non era possibile accollare agli imputati in parola il contenuto della comunicazione del 22 settembre 2005, che si riferiva unicamente ai soli lavori di rimozione delle lastre di eternit, non ancora iniziati il 4 novembre 2005. Inoltre il Tribunale non aveva tenuto conto dell’incidenza e delle implicazioni della visita ispettiva effettuata la mattina stessa del (Omissis), poche ore prima dell’infortunio. In quell’occasione gli ispettori avevano trovato le reti di protezione dei lucernai del tetto ancora regolarmente al loro posto; di conseguenza non si poteva esigere dalla ditta di installare la tesata, che era a disposizione in cantiere, perché in quella fase la copertura era ancora pedonabile. Ad avviso della Corte territoriale la fase di lavoro che esponeva al rischio di caduta dall’alto gli operai della ditta Poli era da ravvisarsi in corrispondenza dello smantellamento dei lucernai, dopo la rimozione delle reti di protezione del sottostante strato di lana di roccia. Nè vi era stato rischio alcuno di interferenza tra le attività della O. e quelle della ditta Poli, alla quale era stata appaltata “in toto” la esecuzione di detti lavori.
La Corte territoriale rilevava, ancora, che la sentenza impugnata non svolgeva alcuna precisazione in merito al contributo causale alla produzione dell’evento imputato in concreto agli odierni ricorrenti, evidenziando come la ditta A. fosse una ditta senza dipendenti e lo S. un dipendente in nero della ditta Poli, non risultante nel piano di lavoro o in altri documenti.
Quanto al G. e alla veste di responsabile di cantiere, ad avviso della Corte di Appello non era stato accertato che questi avesse avuto un ruolo attivo all’interno del cantiere, dovendosi anche considerare l’inesigibilità di una condotta doverosa da tenersi nel breve lasso di tempo tra le ore (Omissis) “concretante una interferenza” nel lavoro del P. e dei suoi dipendenti, tale da modificarne le modalità di svolgimento.
5. Avverso tale decisione ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino, il quale denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale o di altre norme penali di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale nonché mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.
Il ricorrente, premesso che nella fattispecie trova applicazione il disposto del D.Lgs. n. 626/1994, art. 7 oggi trasfuso nel D.Lgs. n. 81/2008, art. 26 afferma che la valutazione del rischio caduta del lavoratore, rischio principale tipico per chi svolge attività lavorativa in quota, doveva essere apprezzato non soltanto dal datore di lavoro P. ma anche dai diversi soggetti a vario titolo coinvolti nel sistema di sicurezza del cantiere, trattandosi di rischio non specifico dell’impresa appaltatrice. Pertanto gli imputati avrebbero dovuto controllare lo svolgimento dei lavori e sovrintendere ai medesimi occupandosi anche dei profili di sicurezza del cantiere.
Non solo il rischio era generico ed agevolmente apprezzabile anche per i titolari della ditta appaltatrice, ma risulta comprovata anche la loro ingerenza perché sempre presenti in cantiere e perché avevano avallato decisioni che riguardavano i dipendenti della ditta Poli, con ciò assumendosi responsabilità anche in ordine agli stessi. Tali ultime affermazioni vengono corroborate con il riferimento alla testimonianza di L.F. (udienza 3 febbraio 2009) e con il richiamo alla circostanza per la quale il piano di sicurezza della ditta Poli era stato redatto su carta intestata della A. s.a.s. e firmato dalla C. e dal G.
Quest’ultimo era indicato come colui che aveva la responsabilità di formare ed informare i lavoratori addetti sul corretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuali ed aveva il dovere di sospendere i lavori qualora non fossero rispettate le norme di sicurezza (contenuto della comunicazione della ditta A. del 22 settembre 2005). Lamenta l’esponente che, per contro, la Corte di Appello non ha tenuto conto della redazione del piano di sicurezza su carta intestata della ditta appaltatrice né della menzionata comunicazione ed è giunta ad escludere il contributo causale degli imputati in parola sul presupposto che al momento del fatto i lavori di rimozione delle lastre di eternit non erano ancora iniziati e di conseguenza, per ciò solo, non poteva accollarsi agli imputati il contenuto della nota raccomandata datata 22 settembre 2005; nota che si ritiene riferibile ai soli lavori di rimozione delle lastre di eternit, che si assume non ancora iniziati quando si era verificato l’incidente mortale. Ciò nonostante, contraddicendosi subito dopo, la Corte di Appello afferma che l’intera operazione doveva durare otto giorni lavorativi e al (Omissis) si era a secondo giorno di lavoro.
Il ricorrente rileva, ancora, che gli obblighi di sicurezza devono essere adempiuti anche nella fase prodromica all’esecuzione dei lavori e che il dovere di coordinamento impegnava gli imputati ad esigere dalla ditta Poli l’allestimento delle protezioni; impegno che non venne assolto.
DIRITTO
6. In via preliminare va dato atto che risulta acquisito il certificato di morte di G.M.G.R. Pertanto, relativamente a tale imputato, si impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, essendo estinto il reato per morte del reo.
7. Il ricorso è fondato, nei termini di seguito precisati.
7.1. Il quadro fattuale, quale ricostruito in sede di merito e sopra riproposto, è sostanzialmente incontroverso.
Ciò posto, le censure mosse dal ricorrente alla sentenza impugnata implicano la ricostruzione del quadro giuridico cui fare riferimento in caso di lavori dati in appalto, in particolare quanto alla definizione degli obblighi di sicurezza ricadenti, in ragione del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7 in capo ai soggetti responsabili dell’impresa affidataria di lavori che si sia fatta a sua volta (sub)appaltante dei lavori commissionati, peraltro nella ricorrenza di appalto di lavori riconducibili ad una o più categoria tra quelle previste già previste dal D.Lgs. n. 494/1996, art. 2, comma 1, lett. a) ed oggi dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 89 da eseguire all’interno dell’azienda del committente.
Nel caso che occupa, infatti, è pacifico che i lavori commissionati dalla committente O. alla ditta affidataria A. avevano ad oggetto la sostituzione con lastre in alluminio delle lastre di eternit che costituivano il tetto dell’edificio entro il quale la ditta committente svolgeva le proprie attività.
La giurisprudenza di legittimità non ha mai dubitato del fatto che anche il subappaltante rientri tra i titolari degli obblighi di sicurezza individuati dai complessi normativi sopra evidenziati, in definitiva sulla scorta del principio secondo il quale il coinvolgimento nella complessiva attività impone a ciascun soggetto, titolare di poteri organizzativi, correlativi obblighi di protezione della sicurezza dei lavoratori. I percorsi interpretativi attraverso i quali si è pervenuti a tale inclusione non sono stati univoci. Per un primo orientamento il datore di lavoro subappaltante va assimilato al datore di lavoro dell’impresa esecutrice (con riferimento al settore dei cantieri temporanei o mobili si è affermato che “In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, l’obbligo di redigere il piano operativo di sicurezza grava su tutti i datori di lavoro delle imprese esecutrici e pertanto, in caso di subappalto, anche su quello dell’impresa appaltante”, Cass. sez. 4, sent. n. 43111 del 9/10/2008, Cupidi, rv. 241369). Un diverso orientamento ha assimilato i datori di lavoro subappaltanti al datore di lavoro appaltante, ponendo in capo ai primi un obbligo generale di collaborazione antinfortunistica con il subappaltatore, “che esclude – in quanto tale – la possibilità che il primo si liberi della sua responsabilità prevenzionale quando affida al secondo l’esecuzione dei lavori che gli sono stati appaltati” (Cass. Sez. 3, sent. n. 15927 del 12/1/2006, Sassi, rv. 234311).
Come dimostra anche la specifica considerazione che il D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 89 dedica oggi alla figura dell’impresa affidataria, cioè all’impresa titolare del contratto di appalto con il committente che, nell’esecuzione dell’opera appaltata, può avvalersi di imprese subappaltatrici o di lavoratori autonomi, distinguendola dall’impresa esecutrice, la posizione della ditta subappaltante presenta aspetti peculiari. Essa si interpone tra il datore di lavoro che ha la disponibilità dei luoghi ovvero poteri di governo del processo produttivo e l’impresa esecutrice, realizzando un ulteriore fattore di rischio per la sicurezza del lavoro, in ragione dell’allungamento della catena di comando, della frammentazione delle sequenze operative, della ulteriore articolazione dell’organizzazione. Il suo ruolo non può quindi essere scisso dall’obbligo di concorrere nell’apprestamento delle misure necessarie a fronteggiare i rischi derivanti dall’esistenza del subappalto, a meno che non se ne spogli totalmente, lasciando al subappaltatore ogni autonomia organizzativa. Quando però egli contribuisca in qualche misura alla organizzazione delle attività da eseguirsi in ragione del subappalto, sarà tenuto sia a far fronte agli obblighi che l’art. 7, comma 1 (e oggi il D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 26) pone in capo al datore di lavoro-appaltante, sia a quelli che l’art. 7, comma 2 pone in capo a tutti i datori di lavoro coinvolti nell’appalto.
Risulta quindi decisivo, per l’esclusione della responsabilità del subappaltante, la sua non ingerenza: “in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il subappaltante è esonerato dagli obblighi di protezione solo nel caso in cui i lavori subappaltati rivestano una completa autonomia, sicché non possa verificarsi alcuna sua ingerenza rispetto ai compiti del subappaltatore (Cass. Sez. 4, sent. n. 1490 del 20/11/2009, Fumagalli e altri, rv. 246302).
7. Nel caso che occupa la Corte di Appello non ha fatto buon governo dei principi appena ricordati.
Alla C. è stato ascritto di non aver cooperato all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa oggetto dell’appalto e di aver omesso di coordinare gli interventi di protezione e prevenzione dei rischi cui erano esposti i lavoratori, ponendo in essere uno scambio di informazioni con il P., anche al fine di eliminare i rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione dell’opera complessiva, richiamandosi al riguardo il D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7, comma 2.
La Corte di Appello, pur prospettando l’assenza di prova in ordine al contributo causale offerto dal verificarsi dell’evento, ha nella sostanza negato che la C. fosse titolare di obblighi di sicurezza in relazione ai lavori da eseguirsi sul tetto a cura della ditta P. E tuttavia, essa ha omesso ogni motivazione in ordine alla ingerenza nei lavori da parte della C., diffusamente argomentata dal giudice di prime cure (cfr. in particolare pg. 10 della sentenza del Tribunale). Ingerenza che, qualora confermata, avrebbe avuto l’effetto di attribuire alla C. l’obbligo di assicurare direttamente la sicurezza dei lavoratori addetti all’attività subappaltata, quanto meno assicurandosi che le prescrizioni del POS della ditta P. fossero osservate.
Per altro verso, il giudice dell’appello ha inteso verificare l’esistenza e l’adempimento degli obblighi gravanti sulla subappaltante nella ridotta visuale del limitato arco temporale tra la visita degli ispettori, momento in cui essa assume che i lavori di rimozione delle lastre di eternit non erano ancora iniziati, e l’evento illecito. Delimitazione errata, atteso che – come ben rileva il ricorrente – gli obblighi di protezione si estendono ad ogni fase dell’attività lavorativa; nel caso che occupa, anche alla fase propedeutica a quella di rimozione delle lastre di eternit. Pertanto, la Corte di Appello avrebbe dovuto argomentare in ordine al mancato controllo da parte del subappaltante in ordine alla predisposizione dei mezzi necessari all’installazione della tesata (dando conto dell’affermazione del primo giudice, secondo la quale in cantiere non erano presenti i piedini che dovevano permettere l’ancoraggio della tesata).
Solo dopo aver verificato, alla luce dei principi sopra richiamati, la conformità della condotta della C. alle prescrizioni impostegli dal ruolo in concreto assunto, la Corte di Appello avrebbe potuto porre il tema della efficienza causale della condotta omessa.
La sentenza impugnata merita quindi di essere annullata, con riferimento alla posizione della C. con rinvio alla Corte di Appello di Torino perché riesamini la fattispecie alla luce dei principi in questa sede evidenziati.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di G. M. G.R., perché estinto il reato per morte dell’Imputato. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di C. A. con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Torino.
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