Corte di Cassazione sentenza n. 6860 del 07 maggio 2012
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – TUTELA E SOSTEGNO DELLA MATERNITA’ E DELLA PATERNITà – DIRITTO AL CONGEDO PARENTALE – NATURA – AMBITO DI APPLICAZIONE – LIMITI
massima
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Il diritto al congedo parentale può essere esercitato dal genitore-lavoratore al fine di garantire con la propria presenza il soddisfacimento dei bisogni del bambino e della sua esigenza di un pieno inserimento nella famiglia. Poiché, ai sensi dell’art. 32, primo comma, del D.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, esso si configura come un diritto potestativo di astenersi da una prestazione lavorativa che altrimenti sarebbe dovuta, è evidente che esso non può riferirsi a giornate in cui tale prestazione non è comunque dovuta
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al Tribunale di Catanzaro, la dott.ssa D.B. chiedeva che venisse dichiarata l’inefficacia, illegittimità, nullità o annullabilità e comunque l’illegittimità del licenziamento irrogatole da parte della Casa di Cura V.d.S. S.r.l. per violazione dell’articolo 4, commi 3, 5 e 9, ovvero dell’articolo 5 della Legge n. 223/1991, con conseguente reintegra nel posto di lavoro e con condanna della datrice al risarcimento del danno nella misura pari alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegra.
A sostegno di tali richieste deduceva che aveva prestato servizio presso la società convenuta, con mansioni di medico assistente; che con lettera del 19 gennaio 2005, inviata alle organizzazioni sindacali di cui all’art. 4 della Legge n. 223/1991, il datore di lavoro aveva avviato il procedimento di cui agli articoli 4 e 24 della predetta legge per la riduzione di 15 dipendenti.
Deduceva di avere impugnato il licenziamento ed esperito senza esito il tentativo obbligatorio di conciliazione; che il licenziamento era nullo, illegittimo ed inefficace per la violazione delle garanzie formali poste dal procedimento delineato dalla legge e specificatamente: per violazione dell’articolo 4, comma 3, legge n. 223/1991, per insufficiente comunicazione preventiva inviata alle organizzazioni sindacali circa i motivi tecnici ed organizzativi determinanti la situazione di eccedenza e tali da non consentire soluzioni diverse; per violazione dell’articolo 4 comma 9 per la omessa comunicazione agli organismi previsti per legge della puntuale indicazione delle modalità con le quali erano stati applicati i criteri di scelta di cui all’articolo 5 relativamente a tutti i dipendenti; per violazione dell’articolo 5, comma 1, per avere omesso di considerare nella scelta dei lavoratori da licenziare la comparazione fra tutti i lavoratori con mansioni fungibili.
Si costituiva la Casa di Cura V.d.S. s.r.l., contestando la domanda e chiedendone il rigetto. Il Tribunale dichiarava l’inefficacia del licenziamento intimato alla ricorrente, ordinandone la reintegra nel suo posto di lavoro, con condanna della società al risarcimento ex art. 18 L. n. 300 del 1970 ed al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali. Proponeva appello la Casa di cura; resisteva la lavoratrice.
La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza depositata il 25 maggio 2010, respingeva il gravame, ritenendo violato l’art. 4, comma 9, della L. n. 223 del 1991, ed in particolare che sia la comunicazione inviata alla lavoratrice, come quella trasmessa alle organizzazioni sindacali ed ai competenti uffici pubblici, risultavano essere prive delle indicazioni necessarie per verificare la valutazione di tutti i lavoratori presenti in azienda e la corretta applicazione dei criteri di scelta adottati per la individuazione dei lavoratori da licenziare.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la Casa di cura, affidato ad unico motivo.
Resiste la D.B. con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. La ricorrente denuncia la violazione dell’art. 4, comma 9, della L. n. 223 del 1991, lamentando che la corte territoriale aveva risolto la questione ritenendo erroneamente che anche la comunicazione inviata al singolo dipendente dovesse contenere l’indicazione dei criteri di scelta adottati e l’indicazione delle modalità con le quali essi erano stati applicatici cui al citato art. 4, comma 9. Deduceva la ricorrente che il tenore letterale della norma ciò prevedeva solo per la comunicazione alle organizzazioni sindacali ed agli uffici regionali del lavoro.
2. Il ricorso è infondato.
Occorre infatti considerare che la corte territoriale ha accertato che nella specie “sia la comunicazione di recesso inviata alla lavoratrice come pure quella trasmessa alle oo.ss. ed agli uffici regionali e provinciali, risultano essere prive delle indicazione necessarie per verificare, sotto un primo aspetto, l’inserimento e valutazione della posizione lavorativa di tutti i dipendenti, e, sotto altro aspetto, la corretta applicazione di criteri di scelta privilegiati per la individuazione dei lavoratori destinatari del provvedimento di recesso: la prima comunicazione riporta unicamente il punteggio attribuito alla dott.sa D.B., reputato inidoneo a mantenere il posto di lavoro; la seconda comunicazione riporta l’elenco dei nominativi dei lavoratori da licenziare, con i relativi punteggi, ma è carente con riguardo alla indicazione degli altri lavoratori che, per avere dichiaratamente riportato punteggi superiori a quelli nominativamente indicati, sarebbero rimasti in servizio” (pag. 7 sentenza impugnata).
Ha quindi ritenuto che la società datrice di lavoro, con le menzionate comunicazioni, non avesse assolto all’onere di fornire, agli organismi pubblici, alle organizzazioni sindacali ed ai lavoratori licenziati, tutti gli elementi per poter esaminare e valutare la posizione di tutti i dipendenti interessati alla procedura di riduzione del personale e non solo di quelli destinatari dei licenziamenti.
La ricorrente non censura tale accertamento (inerente l’insufficienza anche della comunicazione inoltrata alle organizzazioni sindacali ed agli uffici del lavoro). Questa Corte ha del resto più volte affermato (rendendo isolata la pronuncia 8 marzo 2006 n. 4970, di segno contrario) che nella materia dei licenziamenti regolati dalla legge 23 luglio 1991 n. 223, la comunicazione di cui all’art. 4 comma nove, che fa obbligo di indicare “puntualmente” le modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, è finalizzata a consentire ai lavoratori interessati, alle organizzazioni sindacali e agli organi amministrativi di controllare la correttezza dell’operazione e la sua corrispondenza agli accordi raggiunti. In questa prospettiva si è inoltre evidenziato l’interesse dei lavoratori ad una gestione trasparente ed affidabile della mobilità e della riduzione del personale di cui alla L. n. 223 del 1991 (Cass. 22 marzo 2010 n. 6841). Ne segue l’illegittimità della comunicazione, e conseguentemente del licenziamento (Cass. sez. un. 11 maggio 2000 n. 302), ove essa non raggiunga quel livello di adeguatezza sufficiente a porre in grado il lavoratore di percepire perché lui – e non altri dipendenti – sia stato destinatario del collocamento in mobilità o del licenziamento collettivo e, quindi, di poter eventualmente contestare l’illegittimità della misura espulsiva (Cass. 6 giugno 2011 n. 12196; Cass. 16 febbraio 2010 n. 3603; Cass. 8 novembre 2003 n. 16805).
Il ricorso deve essere dunque rigettato. Le spese di causa seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 40,00 esborsi, € 2.500,00 per onorari, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a.
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