Corte di Cassazione sentenza n. 6962 del 22 febbraio 2012
REATI CONTRO IL PATRIMONIO – TRUFFA – PROFESSIONISTA – CONFISCA – CONTO DEL CONIUGE – LIMITI ALLA MISURA – SUSSISTONO
massima
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Al professionista non può essere disposto il sequestro per equivalente sul conto corrente bancario del coniuge se mancano indizi chiari e precisi riguardo alla presunzione di utilizzo avvenuto in maniera illecita.Il fatto che il conto corrente sia cointestato non dimostra che il coniuge sia complice del professionista (nel caso di specie, si è trattato di un consulente del lavoro). E’, quindi, illegittima la confisca sul conto del coniuge del professionista anche se sia titolare di una delega ad operare sulla disponibilità economica
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Ritenuto in fatto
Con il provvedimento di cui in epigrafe, il TdR di Lecce ha rigettato il ricorso proposto da B. D. C., avverso l’ordinanza emessa dal gip presso il medesimo tribunale in data 24. 5. 2011 con la quale era stato disposto il sequestro preventivo di somme giacenti su c/c bancario allo stesso intestato, di un dossier bancario titoli a un fondo comune di investimnenti, intestati, questi ultimi al B. e alla moglie De M. C.. Il provvedimento ablativo veniva assunto nell’ambito di attività di indagine (coinvolgente anche la De M.), per concorso nel delitto di truffa aggravata per avere, mediante artifizi, consistenti nel far figurare sulle busta paga dei lavoratori dipendenti dell’impresa T. e Italia S.r.l. la voce “indennità di trasferta esente”, riferibile in realtà al lavoro straordinario, omesso di versare all’INPS la somma complessiva di euro 275.146,79.
Il sequestro operato è stato eseguito ai sensi dell’articolo 322 ter cp; trattasi quindi di sequestro per equivalente.
Il tribunale del riesame pone in evidenza come il B. fosse marito della consulente della S.r.l. sopraindicata. Tale società aveva assunto numerosi lavoratori extracomunitari che, secondo la tesi d’accusa, venivano sfruttati, fatti lavorare per molte ore al giorno e sottopagati.
Ebbene, quanto ai fondi depositati sul conto corrente dei B., essi sono stati ritenuti in realtà di pertinenza della moglie, De M. C., in quanto a costei il B. ebbe a rilasciare delega; quanto agli altri rapporti, la cointestazione è stata ritenuta elemento sufficiente per ritenere che titolare effettiva degli stessi fosse la predetta.
Ricorre per cassazione il difensore del B. e deduce violazione di legge. Perché possa procedersi a sequestro preventivo per equivalente occorrono alcuni presupposti. Innanzitutto, la persona deve essere indagata per uno dei reati per i quali è consentita la confisca per equivalente, in secondo luogo è necessario che nella sfera giuridico-patrimoniale del predetto indagato non sia stato reperito il prezzo o il profitto del reato, in terzo luoghi beni da sequestrare non devono appartenere a persona estranea al reato. Ebbene, il reato che consente la confisca per equivalente, nel caso in esame è quello del capo D), rubricato come truffa aggravata. La persona indagata è la moglie del ricorrente. Il ricorrente è stato arbitrariamente ritenuto un intestatario fittizio di fondi che in realtà sarebbero di pertinenza del coniuge; ciò semplicemente sulla base del fatto che alla signora De M. è stata rilasciata delega ad operare sul conto corrente del B.. La circostanza non appare affatto né univoca né concludente, atteso che viceversa i fondi giacenti sul conto del ricorrente presso il Credito emiliano derivano essenzialmente dall’accredito dello stipendio del B., dipendente del Ministero della Difesa. Detto conto, inoltre, evidenzia “movimenti” attinenti alla gestione della vita domestica (pagamento di fornitura di acqua, gas, luce ecc., pagamento di premi assicurativi ed altro). Né va trascurato che i due coniugi vivono in regime di separazione dei beni, di talché la cointestazione degli altri rapporti non sta necessariamente a significare comunanza di proprietà e, meno che mai, mera apparenza della proprietà del B.. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la cointestazione non può comportate la presunzione che l’intero patrimonio sia nella completa disponibilità di uno dei cointestatari. Il Tdr avrebbe dovuto analizzare le giacenze e “i movimenti” evidenziati dal dossier titoli e dal fondo di investimento, per tentare di accertare quali fossero di pertinenza del B. e quali della De M.. Invero spetta all’Accusa l’onere di dimostrare l’esistenza di discrasia tra intestazione formale ed effettiva disponibilità del bene.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato e merita accoglimento; conseguentemente il provvedimento impugnato va annullato con rinvio al medesimo tribunale per nuovo esame. Secondo il TdR di Lecce, la delega ad operare sul conto del B. è indicativa del fatto che reale proprietaria dei fondi sia la De M., in quanto il difensore del primo non ha prospettato l’esistenza di vincoli o condizioni. Ciò consente alla delegata di effettuare sul danaro giacente sul predetto conto tutte le operazioni che potrebbe fare il titolare del conto stesso e tale potenzialità viene ritenuta sufficiente a ravvisare il presupposto voluto dalla norma, mentre non rilevano le modalità con le quali la provvista si è formata.
L’assunto non può essere condiviso, atteso che, specie se la delega è rilasciata ad uno stretto congiunto, è quantomai raro che vengano stabilite ed ufficializzate precise regole di condotta e che vengano posti dei limiti al delegato, atteso il rapporto fiduciario che solitamente vige, appunto, tra strettissimi parenti. Trattasi di un principio di comune esperienza che il collegio cautelare avrebbe dovuto contrastare con precisi elementi fattuali e con stringenti valutazioni logiche. Né può dirsi che siano del tutto irrilevante le modalità con le quali il predetto conto corrente è stato alimentato, potendo essere, significativi i tempi, l’ammontare degli importi, le causali di tali versamenti.
In mancanza di un qualsiasi approfondimento in tal senso, rappresenta nient’altro che una mera presunzione, sfornita di qualsiasi base concreta, quella in base alla quale i fondi giacenti su di un conto intestato ad un soggetto (eventualmente produttore di reddito) siano da ricondurre alla disponibilità del coniuge. Il TdR non si è neanche fatto carico di accertare se eventualmente il B. disponesse di autonoma fonte di reddito (con il ricorso si afferma che lo stesso percepisce uno stipendio da rapporto di lavoro subordinato) che abbia determinato la giacenza di liquidità. Quanto ai rapporti contestati,il collegio cautelare non chiarisce sulla base di quali emergenze abbia fondato la sua presunzione.
Allo stato manca, dunque, un accettabile grado di certezza per affermare la natura di mero prestanome del B. e quindi la reale disponibilità dei fondi da parte della indagata De M. C.; con tutte le conseguenze del caso.
P.Q.M.
Annulla il provvedimento impugnato con rinvio, per nuovo esame, al tribunale di Lecce.
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