Corte di Cassazione sentenza n. 7474 del 14 maggio 2012
LAVORO – LAVORO SUBORDINATO – ESTINZIONE DEL RAPPORTO – LICENZIAMENTO INDIVIDUALE – PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO – SOPPRESSIONE DEL POSTO DI LAVORO – EFFETTIVITA’ – CONDIZIONI
massima
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In materia di licenziamenti individuali, ai fini della legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato per la soppressione del posto di lavoro cui era addetto il lavoratore licenziato, deve risultare, ai fini della effettività della soppressione, che il datore di lavoro non ha effettuato per un congruo periodo di tempo successivo al recesso alcuna nuova assunzione per lo svolgimento di mansioni inerenti la posizione di lavoro soppressa.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Torino, per quello che rileva in questa sede, parzialmente riformando la sentenza di primo grado, accoglieva la domanda di D.D., proposta nei confronti della società XXX, avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento oggettivo intimatole da detta società con tutte le conseguenze giuridiche ed economiche di cui alla tutela reale.
La Corte del merito poneva a base del decisum il rilievo fondante secondo il quale la deduzione della società, svolta in sede di costituzione nel giudizio di primo grado, secondo la quale per realizzare una più efficiente ed economica organizzazione aziendale si era proceduto a sopprimere la posizione della lavoratrice D. – addetta al ciclo passivo ed alla registrazione delle fatture – unificandola a quella della dipendente L., non era idonea a giustificare il licenziamento in quanto era emerso, a seguito dell’acquisizione del libro matricola – determinata dalla circostanza che in quello prodotto non era riportata la posizione di tale ultima lavoratrice – e dei contratti di lavoro da costei stipulati con la società, che detta dipendente era stata assunta dal 1° febbraio 2006 con vari contratti a termine e, poi, dal 1° dicembre 2008 con contratto a tempo indeterminato. Tanto, secondo la Corte territoriale, dimostrava la necessità per la società, al momento del licenziamento, di una unità in organico che si occupasse stabilmente di mansioni di addetta al ciclo passivo e di registrazione delle fatture.
Avverso questa sentenza la società XXX ricorre in cassazione sulla base di quattro censure, illustrate da memoria. Resiste con controricorso la parte intimata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo del ricorso la società, deducendo violazione della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 3 allega che la Corte del merito, erroneamente, non si è limitata a verificare che l’effettività della soppressione della posizione lavorativa, ma ha affermato il principio secondo il quale al datore non è consentito di sopprimere la posizione di un dipendente a tempo indeterminato affidando le relative mansioni ad un dipendente a tempo determinato pur se già presente nell’organizzazione aziendale finendo, in tal modo, per negare l’autonomia del datore di lavoro nei criteri di gestione ed organizzazione dell’impresa.
Con la seconda censura la società, denunciando violazione della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 3 ed insufficiente motivazione, assume che la Corte di Appello ha erroneamente ritenuto di poter desumere sulla base dei contratti di lavoro stipulati con la L. che vi fosse, al momento del licenziamento, la necessità di una unità in organico che si occupasse stabilmente di mansioni di addetta al ciclo passivo, mentre, invece, detta documentazione attestava la valutazione del datore di lavoro di non aver in quel momento una stabile esigenza di una posizione lavorativa di quel tipo. D’altro canto, rileva la società, rientra nella libertà d’iniziativa economica valutare se in un determinato momento vi sia bisogno stabilmente o temporaneamente di un determinata posizione lavorativa nell’organizzazione aziendale.
Con la terza critica la società XXX, allegando violazione della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 3 prospetta che, avendo le due dipendenti D. e L. qualifiche diverse, la disciplina del licenziamento per giustificato motivo oggettivo non. può imporre al datore di privilegiare il lavoratore a tempo indeterminato rispetto a quello a tempo determinato anche se hanno diverse qualifiche si che le stesse non possono ritenersi fungibili. Con l’ultima censura la società, denunciando nullità della sentenza o del procedimento, assume, per un verso, che l’attuale resistente ha contestato soltanto in appello la legittimità della scelta di sopprimere la propria posizione lavorativa, e dall’altro che la Corte ha erroneamente acquisito i contratti di lavoro della L. ancorché di tale produzione non fosse stata richiesta in primo grado. È pregiudiziale l’esame di tale ultima censura che risulta infondata. Invero la Corte del merito, come si desume dalla sentenza impugnata, intanto affronta la questione della Liscindra, in quanto questa è oggetto di esame da parte del giudice di primo grado che in base alla deposizione della teste Rocca – la quale appunto riferisce che la società per realizzare una più efficiente ed economica organizzazione aziendale decise di sopprimere la posizione lavorativa della D. unificandola con quella di altra dipendente (L.) – ritiene legittimo il licenziamento, appunto, sul rilievo che le allegazioni della società erano state confermate dal detto teste.
Conseguentemente la questione della L. faceva già parte, in quanto introdotta dalla stessa società a giustificazione dell’impugnato licenziamento, del tema decidendum e probandum del giudizio di primo grado, sicché il giudice di secondo grado, una volta investito, con l’appello della lavoratrice, della ritenuta legittimità del licenziamento in ragione della allegata unificazione della posizione lavorativa facente capo alla D. – con quella della L., correttamente esamina la questione in parola, proprio in quanto introdotta nel giudizio dalla società e posta a base della sentenza di primo grado, sul punto impugnata dalla D..
L’acquisizione dei contratti a termine stipulati dalla L. è conseguenza diretta dello sviluppo assunto dal processo e come tale è stata ritenuta, sia pure implicitamente, indispensabile ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 3 (V. per tutte Cass. S.U., 20 aprile 2005 n. 8203).
Passando all’esame della rimanenti censure, che per la loro stretta connessione da punto vista logico e giuridico possono essere trattate unitariamente, rileva la Corte che le stesse sono infondate. Occorre, preliminarmente, rilevare che il licenziamento determinato, come nella specie, dalla dedotta soppressione del posto di lavoro a cui era addetto il lavoratore licenziato, intanto è giustificato solo ed in quanto vi sia l’effettiva stabile soppressione del posto di lavoro e l’impossibilità di poter diversamente utilizzare il dipendente. La valutazione da parte del giudice della legittimità di un licenziamento di tale genere implica, quindi, necessariamente sia per quanto riguarda l’effettività della soppressione del posto di lavoro che l’impossibilità di diversa utilizzazione del lavoratore licenziato, un analisi della organizzazione aziendale, ma tanto non sta a significare che il giudice valuta l’opportunità della scelta di organizzare in certo modo la propria azienda, sta a significare, piuttosto, la verifica, sul piano della effettività, della causa giustificatrice posta a base del licenziamento.
In tale ottica la scelta imprenditoriale di sopprimere il posto di lavoro e di organizzare diversamente la propria azienda resta, pertanto, insindacabile nei suoi profili di congruità e necessità. Quello che è oggetto del sindacato giudiziale, e giova ribadirlo, è l’effettività della scelta datoriale.
Tanto precisato conviene ora osservare che la Corte del merito, nel considerare non giustificato il licenziamento in esame, non travalica affatto i limiti del proprio sindacato in quanto, non valuta la congruità della scelta imprenditoriale di sopprimere il posto di lavoro, ma accerta, nei limiti del sindacato che gli è proprio, la non effettività della dedotta soppressione del posto di lavoro. Infatti la Corte territoriale pone a base del proprio decisum il rilevo secondo il quale la stipula, dopo il licenziamento, di successivi contratti a termini con la L. – assunta, poi, a tempo indeterminato- alla cui posizione lavorativa la società aveva allegato di aver unificato quella della dipendente licenziata, rivela la esigenza dell’azienda di dover utilizzare in modo stabile la posizione lavorativa soppressa.
Ciò che accerta la Corte di appello è,quindi, la non effettività della scelta – ossia della soppressione.
D’altro canto va considerato che la stipula, dopo il licenziamento della D., come accertato dalla Corte del merito, di altri successivi contratti a termine con la L. – la quale venne infine assunta a tempo indeterminato – per lo svolgimento della stessa attività prima svolta dalla lavoratrice licenziata è circostanza idonea ad attestare la illegittimità del licenziamento dovendosi ritenere, che ai fini della legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato per la soppressione del posto di lavoro cui era addetto il lavoratore licenziato deve risultare, ai fini dell’effettività della soppressione, che il datore di lavoro non ha effettuato per un congruo periodo di tempo successivo al recesso alcuna nuova assunzione per lo svolgimento di mansioni inerenti la posizione di lavoro soppressa (Cfr. per tutte Cass. 11 maggio 2009 n. 11720).
Nè può rilevare, ai fini di cui trattasi, l’eventuale diversità della qualifica del lavoratore assunto successivamente se tale assunzione avviene per l’espletamento, come nel caso di specie, delle stesse mansioni inerenti la posizione lavorativa soppressa. Sulla base delle esposte considerazioni il ricorso va respinto. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 40,00 per esborsi, oltre Euro 3500,00 per onorario ed oltre IVA, CPA e spese generali.
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