Premesso in fatto.

Con sentenza n. 79/27/07, depositata il 17 aprile 2007, la Commissione Tributaria Regionale della Puglia accoglieva l’appello proposto da I. M. avverso la decisione di primo grado, con la quale era stato rigettato il ricorso proposto dal contribuente nei confronti delle cartelle di pagamento emesse dall’Agenzia delle Entrate di Foggia, ai fini IRPEF per gli anni 1998 e 1999.

La CTR – in riforma della decisione dì prime cure -riteneva, invero, invalida la notifica degli avvisi di accertamento prodromici alle cartelle di pagamento impugnate, e – di conseguenza nulli gli atti a valle di detti avvisi, ai sensi dell’art. 19, co. 3 d.lgs. 546/92 – essendo stati gli stessi consegnati nella residenza del destinatario, ma a persona di famiglia non con lui convivente.

Per la cassazione della sentenza n. 79/27/07 ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate articolando tre motivi, ai quali il contribuente ha replicato con controricorso, contenente, altresì, ricorso incidentale affidato ad un solo motivo.

Osserva in diritto.

1. In via pregiudiziale, rileva la Corte che il ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze deve essere dichiarato inammissibile, per difetto di legittimazione attiva dell’amministrazione ricorrente. Ed invero, va osservato che, qualora – come nel caso di specie – al giudizio di appello abbia partecipato solo l’Agenzia delle Entrate – succeduta a titolo particolare nel diritto controverso al Ministero delle Finanze nel giudizio di primo grado, ossia in epoca successiva all’1.1.01, data nella quale le Agenzie sono divenute operative in forza del d.Igs. n. 300/99 – e il contribuente abbia accettato il contraddittorio nei confronti del solo nuovo soggetto processuale, deve ritenersi verificata, ancorché per implicito, l’estromissione del Ministero dal giudizio. Ne consegue che l’unico soggetto legittimato a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale è l’Agenzia delle Entrate; per cui il ricorso proposto dal Ministero deve essere dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione attiva (cfr., tra le tante, Cass. 24245/04, 6591/08).

2. Premesso quanto precede, va rilevato che, con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate denuncia la violazione dell’art. 24, co. 2 del d. Igs. n. 546/92, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.

2.1. Si duole, invero, l’Amministrazione del fatto che la CTR abbia erroneamente ammesso, nel giudizio di appello, la produzione di un documento nuovo, ovverosia la dichiarazione scritta resa dal portalettere che aveva provveduto a notificare gli avvisi di accertamento prodromici alle cartelle di pagamento impugnate dal contribuente, ancorché detto documento ben avrebbe potuto essere prodotto nel giudizio di prime cure.

2.2. Il motivo è infondato.

2.2.1. Secondo l’insegnamento di questa Corte, infatti, in materia di produzione documentale in grado di appello nel processo tributario, alla luce del principio di specialità espresso dall’art. 1, co. 2, del d.lgs. 546/92, -in forza del quale, nel rapporto fra norma processuale civile ordinaria e norma processuale tributaria, prevale quest’ultima – non trova applicazione la preclusione, dì cui all’art. 345, co. 3 c.p.c., alla produzione di documenti nel secondo grado del giudizio. La materia è – per vero – regolata in via speciale dall’art. 58, co. 2, del citato d.lgs., che consente alle parti di produrre liberamente documenti anche in sede di gravame, sebbene preesistenti al giudizio svoltosi in primo grado (Cass. 18907/11), ed a nulla rilevando neppure l’eventuale irritualità della loro produzione in prime cure (Cass. 23616/11, 2019/12).

2.2.2 Ne discende che, nel caso dì specie, la mera preesistenza del suindicato documento alla conclusione del giudizio di primo grado, non ne precludeva affatto – contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di seconde cure – la successiva produzione nel giudizio di appello.

3. Con il secondo motivo di ricorso, poi, l’Agenzia delle Entrate denuncia la violazione dell’art. 7, co. 4 del d.lgs. n. 546/92, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.

3.1. La CTR avrebbe, infatti, a parere della ricorrente, illegittimamente ammesso – dando ingresso nel giudizio di secondo grado alla predetta dichiarazione scritta del portalettere, il quale attestava di avere notificato gli avvisi di accertamento alla madre dello I. – una prova testimoniale in palese violazione dell’art. 7, co. 4 d.lgs. n. 546/92.

3.2. Il motivo è infondato.

3.2.1. La disposizione succitata vieta – per vero – in un’ottica di semplificazione ed accelerazione del processo, soltanto la diretta assunzione, da parte del giudice tributario, nel contraddittorio delle parti, della narrazione dei fatti della controversia compiuta da un terzo, che assume – in forza delle norme del codice di rito – la qualità di testimone. Tale narrazione, invero, in quanto richiedente la formulazione di specifici capitoli e la prestazione di un giuramento da parte del terzo assunto quale teste, acquista un particolare valore probatorio (Cass. 903/02, 20032/11), ma – al contempo – richiede un maggiore dispendio di tempo e di attività processuali delle parti.

3.2.2. Di contro, è di piena evidenza che siffatto divieto non può considerarsi operativo per la diversa fonte di prova – connotata da una maggiore immediatezza di percezione del contenuto probatorio da parte del giudicante – costituita dal documento che racchiude le dichiarazioni del terzo. Sul piano generale, invero, tale diversità si rivela anzitutto sotto il profilo materiale e sostanziale, dando vita il documento ad un’entità che, a differenza dell’altra, sì concreta in una res cartacea, e non in un soggetto dichiarante. Trattasi, inoltre, di una fonte di prova diversa dalla testimonianza anche sul piano processuale, essendo la prova documentale soggetta ad una disciplina differenziata da quella della prova testimoniale, poiché finalizzata – a differenza di quest’ultima, che richiede il compimento delle diverse attività di deduzione, ammissione ed assunzione (artt. 244 e ss. c.p.c.) – ad assicurarne esclusivamente la corretta “produzione” nel giudizio, nel rispetto del principio del contraddittorio e del diritto di difesa delle parti (art. 24, co. 1 d.lgs. 546/92, art. 87 disp. att. c.p.c). Le cennate differenze sostanziali e processuale esistenti tra le due fonti di prova, dunque, ne giustificano ampiamente la differente regolamentazione anche nel processo tributario, nel quale il documento, oltre ad essere producibile – come dianzi detto – anche in appello, sì sottrae, altresì, al divieto di utilizzazione anche nel giudizio di primo grado, che concerne esclusivamente la prova testimoniale.

3.2.3. La censura suesposta, pertanto, non può che essere disattesa.

4. Con il terzo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate denuncia la violazione dell’art. 2700 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c

4.1. Avrebbe, invero, errato la CTR nel ritenere – in contrasto con la relata di notifica, facente fede fino a querela di falso ex art. 2700 c.c. – che la notifica degli avvisi di accertamento effettuata ad una persona legata da rapporti di parentela con il destinatario, ossia alla seconda moglie del padre (matrigna) dello T., fosse affetta da nullità. E ciò in base ad una successiva dichiarazione del portalettere del Comune di Pietraraonte-corvino, autore della notifica e che in quella occasione rivestiva la qualità di messo notificatore, secondo la quale il plico contenente gli atti impositivi era stato da lui consegnato alla persona suindicata, nella sua residenza diversa da quella dello I., come da certificazione anagrafica allegata agli atti.

4.2. Il motivo è fondato.

4.2.1. Dall’esame degli atti del presente giudizio, invero, risulta acquisito quanto segue.

La relata di notifica degli avvisi di accertamento – prodromici alle cartelle di pagamento impugnate da I. M. – indicava chiaramente che gli atti impositivi erano stati notificati “presso il domicilio del destinatario a mani della madre (rectius, della matrigna)” (v. ricorso per cassazione dello I., pp. 11-12). Tanto vero che, come esposto nel controricorso dallo stesso contribuente, che ne ha riportato i passi salienti, la decisione dì prime cure, emessa dalla CTP di Foggia, rigettava il ricorso dello I., avverso le cartelle di pagamento, sul presupposto che “la consegna del plico, come risulta dalla ricevuta, anche se fatta alla matrigna del ricorrente,  è avvenuta presso il domicilio dello stesso”.

Senonché, il contribuente, nel proporre appello avverso tale pronuncia, produceva in giudizio una dichiarazione del medesimo messo notificatore, dalla quale risultava, invece, che – come sì desume dall’impugnata sentenza -“lo stesso aveva consegnato il plico presso la residenza della matrigna dello I. M.”.

Siffatta dichiarazione, che contraddice la relata di notifica nel punto essenziale concernente il luogo in cui essa è avvenuta, sarebbe – dì contro – diretta, a parere del contribuente, soltanto a “precisare il contenuto della relata”, essendo proveniente dallo stesso autore della notifica, il quale aveva – sempre a suo dire – “evidentemente compilato in modo frettoloso ed impreciso la relata di notifica”.

4.2.2. Orbene, tutto ciò premesso, non può revocarsi in dubbio che la relata di notifica di un atto, in relazione a circostanze che costituiscano il frutto della diretta attività e percezione del pubblico ufficiale che l’ha effettuata, è assistita da fede fino a querela di falso, ai sensi dell’art. 2700 c.c.. Ed invero, poiché l’ufficiale giudiziario esercita pubbliche funzioni, gli atti che attestano le operazioni da lui compiute, il ricevimento delle dichiarazioni resegli ed il contenuto estrinseco delle notizie apprese, sono dotati della fede privilegiata attribuita dall’ordinamento agli atti del pubblico ufficiale (cfr. ex plurimis, Cass. 25860/08, 4193/10). Nel caso concreto, si verte in ipotesi di notifica di avvisi di accertamento, che va eseguita – ai sensi dell’art. 60 d.P.R. n. 600/73, nel testo applicabile ratione temporis – con le modalità di cui agli artt. 137 e ss. c.p.c., sia pure con talune particolarità previste dalla stessa norma. Ebbene, dal combinato disposto del co. 1, lett. e) del predetto art. 60 – secondo cui “salvo il caso di consegna dell’atto o dell’avviso a mani proprie, la notificazione deve essere fatta nel domicilio fiscale del destinatario” – e dell’art. 139 c.p.c., si evince la sussistenza di uno specifico obbligo del messo notificatore dì ricercare il destinatario presso il luogo indicato nell’intestazione del provvedimento impositivo, come sua domicilio fiscale, ovvero come residenza, o sede del suo ufficio o della sua azienda (Cass. 19079/05). Ne discende che – in presenza di un’espressa indicazione dì notifica effettuata dal messo comunale presso il domicilio del destinatario, contenuto nella relativa relata -non può non attribuirsi la suddetta efficacia probatoria fino a querela di falso alla relata stessa, quanto al luogo nella quale essa è stata eseguita, ovverosia presso il domicilio del destinatario risultante – come afferma la stessa sentenza impugnata – dagli stessi atti impositivi da notificare (Corso A. Moro n. 77) ed a mani della matrigna, sig.ra M. F. E.. Sicché il fatto che la successiva dichiarazione del messo, indichi un luogo diverso della notifica, corrispondente alla residenza della matrigna dello I., non è in alcun modo idoneo a superare le risultanze della precedente relata. Ed invero, è di tutta evidenza che quest’ultima attesta una circostanza, ossia il rilievo del domicilio del contribuente desumibile dagli stessi atti da notificare ed il compimento della notifica ivi, che – per essere relativa ad attività percettiva del pubblico ufficiale notificatore, è assistita dalla fede privilegiata di cui all’art. 2700 c.c..

4.2.3. Né giova all’odierno resistente, dedurre che la consegnataria del plico, ancorché sua familiare, non fosse con lui convivente, giacché dalla certificazione anagrafica versata in atti risulterebbe che la stessa risiedeva alla via Barone n. 1 dello stesso Comune di Pietra-montecorvino.

Va – per vero – osservato, al riguardo, che l’espressione “persona di famiglia” adoperata dall’art. 139 c.p.c. (applicabile alla notifica degli avvisi di accertamento) va intesa nel senso più ampio, considerato che la stessa norma annovera tra coloro che possono essere destinatari della notifica perfino il portiere ed il vicino di casa che accetti di riceverla (Cass. 615/95). Tale espressione ricomprende, dunque, qualsiasi familiare (anche la matrigna) la cui presenza in casa non abbia carattere del tutto occasionale, essendo determinata da ragioni di, sia pure temporanea, convivenza con il destinatario della notifica; situazione, questa, che può essere presunta sulla base dello stesso fatto che il familiare si sia trovato nell’abitazione del destinatario ed abbia preso in consegna l’atto da notificare (Cass. 24852/06). Deve considerarsi, invero, che è proprio, e soltanto, il vincolo di parentela o di affinità – a prescindere dall’ulteriore requisito della stabile convivenza, peraltro neppure menzionato espressamente dalla norma dell’art. 139 c.p.c. -a giustificare la presunzione che la “persona di famiglia” consegnerà l’atto al destinatario dì esso. Di conseguenza, mentre la menzionata disposizione dell’art. 139 c.p.c. non impone affatto all’ufficiale giudiziario procedente di svolgere ricerche in ordine al rapporto di convivenza indicato dalla persona che riceva l’atto (Cass. 6953/06, 322/07, 8306/11), resta a carico di colui che assume di non avere ricevuto l’atto l’onere di provare in concreto la mera occasionalità della presenza, nella propria residenza o domicilio, di detta persona, non essendo sufficiente – all’uopo – la produzione di un certificato anagrafico attestante che il familiare abbia altrove la propria residenza (Cass. 23368/06, 6953/06, 21362/10). E’ di tutta evidenza, infatti, che le risultanza anagrafiche rivestono un valore meramente presuntivo in ordine all’effettiva residenza di una persona nel luogo da esse indicato, come tale destinato a cedere di fronte alla prova – fornita sulla base di elementi gravi, precisi e concordanti – che la residenza effettiva del destinatario dell’atto sia in un altro luogo (Cass. 26985/09, 5201/12).

4.3. Da tutto quanto suesposto consegue, pertanto, che -a fronte della relata attestante che la notifica era avvenuta nel domicilio del ricorrente ed a mani della matrigna – nessuna rilevanza, in assenza dì prove circa l’occasionalità della presenza di tale persona nel luogo suindicato, assume la circostanza che la stessa avesse la residenza anagrafica altrove.

5. L’accoglimento della suesposta censura comporta la cassazione dell’impugnata sentenza. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte, nell’esercizio del potere di decisione nel merito di cui all’art. 384, co. 1 c.p.c, rigetta il ricorso introduttivo proposto dal contribuente.

6. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno poste a carico del resistente soccombente, nella misura di cui in dispositivo. Concorrono giusti motivi – tenuto conto della peculiarità della vicenda processuale – per dichiarare interamente compensate fra le parti le spese dei giudizi di merito, restando, in tal modo, assorbito il motivo di ricorso incidentale proposto dallo I., e concernente il regolamento delle spese del giudizio di appello.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze; accoglie il terzo motivo di ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, rigettati gli altri; cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente; dichiara assorbito il ricorso incidentale dello I.; condanna il resistente alle spese del presente giudizio, che liquida in € 3.000,00, oltre alle spese prenotate a debito; dichiara compensate tra le parti le spese dei giudizi di merito.