Corte di Cassazione sentenza n. 7866 del 18 maggio 2012
LAVORO – LAVORO SUBORDINATO – ESTINZIONE DEL RAPPORTO – LICENZIAMENTO INDIVIDUALE – IMPUGNAZIONE STRAGIUDIZIALE – DIFENSORE DEL LAVORATORE MUNITO DI APPOSITA PROCURA – EFFICACIA – CONDIZIONI
massima
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L’impugnativa stragiudiziale ex art. 6 della legge n. 604/1966 può efficacemente essere eseguita in nome e per conto del lavoratore licenziato dal suo difensore previamente munito di apposita procura, senza che il suddetto rappresentante abbia l’onere di comunicarla o documentarla, nel termine di cui al cit. art. 6, al datore di lavoro, salvo che costui non gliene faccia richiesta ai sensi dell’art. 1393 c.c., applicabile ex art. 1324 c.c., anche agli atti unilaterali. A sua volta, l’anteriorità della procura rispetto all’impugnativa manifestata dal rappresentante può dimostrarsi in giudizio con ogni mezzo.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza depositata il 6.11.09 la Corte d’appello di Ancona rigettava il gravame interposto da S.V. S.p.A. contro la sentenza del Tribunale di Macerata che aveva ordinato la reintegra nel posto di lavoro del dipendente B.S., previa declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimatogli.
All’origine del licenziamento vi era stata la contestazione, elevata nei confronti del lavoratore, di assenze ingiustificate dal 20 al 24 dicembre 2004. Il Sa., invece, aveva sostenuto di essere stato autorizzato verbalmente dai propri superiori ad allontanarsi per seguire l’espletamento nello Sri Lanka di pratiche per un’adozione internazionale ed aveva sotto più profili contestato la ritualità del procedimento disciplinare.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre la S.V. S.p.A. affidandosi a cinque motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c.
Resiste con controricorso il Sa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1. Con il primo motivo si lamenta violazione e/o falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 6 e vizio di motivazione per avere l’impugnata sentenza ritenuto sufficiente, a fini di impugnativa extragiudiziale del licenziamento, l’inoltro di una lettera firmata dal difensore del Sa., poi ratificata per iscritto dal lavoratore: obietta la società ricorrente che tale ratifica è inidonea perché priva di data certa ex art. 2704 c.c., e non tempestivamente portata a conoscenza della società; il vizio di motivazione – prosegue la società ricorrente – risiede nella contraddittorietà tra l’affermare, da un lato, la sufficienza della comunicazione della procura entro il termine di decadenza della L. n. 604 del 1966, art. 6, e, dall’altro, trascurare che, in realtà, alla S.V. non era stata comunicata la data di emissione della procura.
1.2. Con il secondo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, e vizio di motivazione nella parte in cui la Corte territoriale ha omesso di esaminare le dichiarazioni confessorie del lavoratore e le testimonianze da cui emerge che, contrariamente a quanto ritenuto in sentenza, il Sa. si era allontanato dal servizio per recarsi nello Sri Lanka per seguire le pratiche di adozione internazionale senza aver ricevuto verbali rassicurazioni circa la legittimità del proprio allontanamento.
1.3. Con il terzo motivo ci si duole di violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2106 e 2119 c.c. e L. n. 604 del 1966 art. 3, nonché degli artt. 22 e 24 CCNL per la piccola e media industria metalmeccanica, nonché di vizio della motivazione per avere l’impugnata sentenza ritenuto non proporzionata la sanzione del licenziamento rispetto alla mancanza addebitata al Sa., atteso che mentre a tal fine è irrilevante il danno arrecato al datore di lavoro, è invece decisiva l’idoneità dell’infrazione disciplinare a porre nel dubbio la correttezza del futuro adempimento della prestazione da parte del lavoratore.
1.4. Analoga doglianza viene fatta valere con il quarto motivo sotto forma di denuncia di violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1 e vizio di motivazione.
1.5. Con il quinto motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1335 e 2695 c.c., art. 7 Stat. e art. 24 CCNL per la piccola e media industria metalmeccanica, per avere l’impugnata sentenza ritenuto tardiva l’irrogazione della sanzione del licenziamento rispetto al termine, previsto dal cit. art. 24, di 5 giorni dalla scadenza del termine assegnato al lavoratore per le giustificazioni, trascorso il quale le stesse si intendono accolte se non viene emesso il provvedimento disciplinare; obietta la società ricorrente che il Sa. non aveva presentato giustificazioni di sorta e che la lettera di contestazione dell’addebito (quantunque non ritirata dal destinatario) era stata inviata al suo domicilio in data 24.12.04 ed il successivo licenziamento era stato intimato con raccomandata recante la data del 19.1.05, inviata il giorno 20 e ritirata dal figlio del Sa. il 22.1.05; in subordine, conclude la ricorrente, la predetta clausola del CCNL è nulla per violazione dell’art. 2695 c.c., prevedendo un termine di decadenza tanto ridotto da rendere eccessivamente difficile al datore di lavoro l’esercizio del potere disciplinare.
2.1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
I termini della questione vanno ricostruiti come segue. Si premetta che l’impugnata sentenza ha accertato in punto di fatto – con motivazione immune da vizi logici o giuridici – che il difensore del Sa. ne ha tempestivamente speso il nome nella impugnativa del licenziamento inviata dopo aver a tal fine ricevuto, in data 4.2.05, procura scritta (impugnativa inviata dapprima via fax e poi ribadita con lettera racc.).
Ogni ulteriore censura a riguardo mossa in ordine alla precisa provenienza del fax contenente la procura da parte del Sa. e/o al giorno o all’ora esatta di sua trasmissione implica un nuovo apprezzamento nel merito delle risultanze di causa, operazione preclusa in sede di legittimità.
Nè può obiettarsi che l’anteriorità della procura scritta conferita dal Sa. al proprio difensore sia stata accertata in violazione dell’art. 2704 c.c., poiché tale norma ammette che la data di una scrittura privata possa essere computata nei confronti del terzo non solo dal giorno in cui sia stata registrata, sia deceduto o rimasto fisicamente impossibilitato il sottoscrittore o il suo contenuto sia stato riprodotto in un atto pubblico, ma anche dal giorno in cui si verifichi un altro fatto che stabilisca in modo ugualmente certo l’anteriorità della formazione del documento (come questa S.C. ha già avuto modo di statuire proprio in relazione alla verifica dell’anteriorità del rilascio della procura rispetto all’impugnativa extragiudiziale del licenziamento: cfr. Cass. 20.8.96 n. 7651).
Inoltre, nel rito del lavoro l’art. 421 c.p.c., comma 2, abilita il giudice a disporre d’ufficio ogni mezzo di prova anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile.
Dunque, nel caso in esame deve parlarsi non già di ratifica, bensì di preventivo valido conferimento della procura ad impugnare il licenziamento.
Si aggiunga, poi, che nessuno allega che la società ricorrente abbia mai chiesto al difensore del Sa. di giustificare la fonte del potere di rappresentanza esercitato.
Ora, premesso che in materia di atti unilaterali (come l’impugnativa extragiudiziale del licenziamento ai sensi della L. n. 604 del 1966, art. 6) si seguono le norme sui contratti in quanto compatibili (v. art. 1324 c.c.), nel caso di specie nulla vieta di applicare anche l’art. 1393 c.c., in virtù del quale il terzo può esigere che il rappresentante giustifichi i propri poteri e, se la rappresentanza risulta da atto scritto (come nel caso in esame), gliene fornisca copia.
Ma fin quando il terzo non eserciti tale facoltà, il rappresentante non è tenuto a giustificare i propri poteri.
Nè l’omessa richiesta in tal senso da parte del terzo vale a sterilizzare il potere già efficacemente e tempestivamente conferito al rappresentante.
Dunque, basta che il difensore che ha sottoscritto l’impugnativa di licenziamento spendendo il nome del proprio rappresentato sia munito di apposita procura preventivamente conferitagli, senza che sia necessario che al datore di lavoro (che non ne abbia fatto richiesta) sia comunicata anche la fonte del potere di rappresentanza. Questa S.C. ben conosce i precedenti arresti giurisprudenziali in cui, in tema di impugnativa di licenziamento, si è affermato che la preventiva specifica procura o la successiva ratifica devono essere portate a conoscenza del datore di lavoro entro il termine di decadenza di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 6 (v. Cass. 20.6.2000 n. 8412; Cass. 7.10.99 n. 11178; Cass. 4.3.98 n. 2374; Cass. 1.9.97 n. 8262).
Si noti tuttavia che, secondo altro principio espresso da questa S.C., il rappresentante non è tenuto ad indicare, nel negozio che pone in essere (sulla natura negoziale dell’impugnativa L. n. 604 del 1966, ex art. 6, cfr., ad es., Cass. 24.8.2000 n. 11059), la fonte del potere rappresentativo di cui è investito, essendo sufficiente che egli manifesti di agire in nome e per conto altrui e non in proprio (cfr. Cass. 24.10.68 n. 3449; cfr., altresì, Cass. 24.2.81 n. 1130).
E se non è tenuto, nel momento in cui compie l’atto, ad indicare la fonte del potere di rappresentanza già preventivamente conferitogli, a maggior ragione non è obbligato a farlo in un secondo momento, sempre che – giova ribadire – il terzo non gliene faccia richiesta ex art. 1393 c.c.
Orbene, il contrasto fra i due orientamenti è, sostanzialmente, superabile non appena si consideri che la summenzionata giurisprudenza sulla comunicazione al datore di lavoro anche della preventiva procura si è pronunciata in casi in cui, in realtà, non essendo possibile stabilirne l’anteriorità rispetto all’impugnativa, la volontà manifestata dal rappresentato poteva valere solo come ratifica, la cui retroattività – però – collideva non solo e non tanto con l’art. 1399 c.c., comma 2 (riguardo ai diritti del terzo), quanto con le esigenze di certezza sottese al termine di decadenza della L. n. 604 del 1966, art. 6, vanificate se si fosse riconosciuto al lavoratore la facoltà di ratificare retroattivamente e in ogni tempo l’impugnativa stragiudiziale già esternata dal proprio difensore.
Di qui l’affermazione della necessità di rendere nota al datore di lavoro, nel termine predetto, l’avvenuta ratifica. Ma laddove non si versi in tema di ratifica – essendo stata accertata l’anteriorità della procura rispetto all’impugnativa stragiudiziale a firma del difensore, come avvenuto nell’ipotesi di cui si controverte – viene meno qualsiasi aggancio normativo teleologico o sistematico per gravare il procuratore del lavoratore (e soltanto costui rispetto alla generalità delle possibili ipotesi di rappresentanza) dell’onere di dare esplicita contezza, senza che alcuno gliene abbia fatto richiesta, della fonte del potere conferitogli.
Nè può dirsi che il datore di lavoro resti in una situazione di incertezza circa il verificarsi della decadenza di cui al cit. art. 6, ben potendo esigere ex art. 1393 c.c., ove dubiti in proposito, che il rappresentante del lavoratore gli documenti l’esistenza di preventiva procura.
Questo, dunque, il principio di diritto nel caso in esame:
“L’impugnativa stragiudiziale L. n. 604 del 1966, ex art. 6, può efficacemente essere eseguita in nome e per conto del lavoratore licenziato dal suo difensore previamente munito di apposita procura, senza che il suddetto rappresentante abbia l’onere di comunicarla o documentarla, nel termine di cui al cit. art. 6, al datore di lavoro, salvo che costui non gliene faccia richiesta ai sensi dell’art. 1393 c.c., applicabile ex art. 1324 c.c., anche agli atti unilaterali. A sua volta l’anteriorità della procura rispetto all’impugnativa manifestata dal rappresentante può dimostrarsi in giudizio con ogni mezzo”.
2.1.1. Deve, poi, escludersi il vizio di motivazione denunciato sempre con il primo motivo di ricorso.
Invero, in tanto può parlarsi di contraddittorietà della motivazione in quanto la sentenza contenga due o più asserzioni fra loro logicamente inconciliabili e non anche quando un data affermazione si ponga in (asserito) contrasto con determinate risultanze di causa (come quelle secondo cui, alla stregua di quel che si legge in ricorso, alla S.V. non sarebbe stata comunicata la data di emissione della procura).
In un’evenienza del genere – semmai – potrebbe al più ricorrere, in via astratta e meramente concessiva, un vizio di travisamento del fatto, in quanto tale spendibile in via di revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4, e non di ricorso per cassazione (v. anche infra). Ad ogni modo – in virtù di quanto precede – nel caso in esame ogni discorso a riguardo è ininfluente, non avendo la S.V. diritto di ricevere la comunicazione della procura previamente conferita dal Sa. al proprio difensore.
2.2. Il secondo motivo – che, malgrado il richiamo all’art. 115 c.p.c., in sostanza consiste nella denuncia di un erroneo e/o incompleto governo delle risultanze istruttorie – si colloca al di fuori dell’area dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Infatti, per costante giurisprudenza di questa Corte Suprema – da cui non si ravvisa motivo alcuno di discostarsi – il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5 (come novellato ex lege n. 40 del 2006), sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di un fatto decisivo della controversia, potendosi in sede di legittimità controllare unicamente sotto il profilo logico – formale la valutazione operata dal giudice del merito, soltanto al quale spetta individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr., ex aliis, Cass. S.U. 11.6.98 n. 5802 e innumerevoli successive pronunce conformi).
Nè alla società ricorrente gioverebbe intendere il rinvio a taluni passaggi del ricorso introduttivo di lite e ad alcune testimonianze come sostanziale deduzione di travisamento del fatto o della prova:
come travisamento del fatto, si sarebbe in presenza di un vizio che – in linea astratta, ove mai sussistente – potrebbe farsi valere in via di revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4 e non mediante ricorso per cassazione (giurisprudenza costante: cfr., da ultimo, Cass. Sez. 3ª n. 15702 del 2.7.10 e Cass. Sez. 3ª n. 213 del 9.1.07).
Ove – invece – volta a dedurre un travisamento della prova, la deduzione si rivelerebbe infondata perché detto vizio sussiste soltanto se il contenuto di una determinata prova sia stato veicolato in maniera distorta all’interno della decisione, ovvero solo se il significante (e non il significato) risulti diametralmente opposto a quello riversato nella motivazione: ma non è questo il caso.
2.3. Il terzo ed il quarto motivo, da esaminarsi congiuntamente perché connessi, sono infondati.
Si premetta in punto di fatto che i giudici di primo e secondo grado, esaminato il materiale documentale e testimoniale acquisito, sono motivatamente giunti alla conclusione che nei giorni dal 20 al 24 dicembre 2004 il Sa. era nello Sri Lanka per curare le pratiche di adozione internazionale di una bambina e che, prima di partire, ebbe rassicurazioni verbali, ancorché non scritte, da parte dei superiori.
Ogni contraria considerazione svolta dalla società ricorrente circa la prova ed il relativo governo del motivo del viaggio e delle rassicurazioni verbali date al lavoratore si risolve in una sollecitazione di nuova lettura in punto di fatto dell’esito dell’attività istruttoria, il che non è consentito in questa sede. A questo punto, per quanto si possa discutere sulla sufficienza o meno – nell’ottica del CCNL per la piccola e media industria metalmeccanica – di autorizzazioni meramente verbali ad assentarsi dal posto di lavoro, resta l’assorbente considerazione che, anche a voler ritenere disciplinarmente rilevanti assenze non coperte da autorizzazioni scritte, in tema di verifica giudiziale della correttezza del procedimento disciplinare, il giudizio di proporzionalità tra violazione contestata e provvedimento adottato involge un apprezzamento di merito non censurabile in sede di legittimità se assistito da motivazione scevra da vizi logico- giuridici (cfr., da ultimo, Cass. 7.4.2011 n. 7948), come avvenuto nel caso in oggetto.
A tal fine si tenga presente che ex art. 2106 c.c., neppure una tipizzazione in sede di contrattazione collettiva degli illeciti passibili di licenziamento esime il giudice di merito dall’obbligo di verificare che la sanzione – per quanto rispondente all’astratta fattispecie negoziale – non risulti in concreto sproporzionata rispetto all’infrazione addebitata al lavoratore (giurisprudenza antica e costante fin da Cass. n. 4748 del 29.12.76).
L’impugnata sentenza ha svolto tale verifica con motivazione immune da censure, all’uopo correttamente valorizzando l’insussistenza di precedenti disciplinari del Sa., l’elevato valore sociale e morale della finalità del suo allontanamento dal lavoro (per un’adozione internazionale) e la mancanza di danno per l’azienda. Contrariamente a quanto sostenuto dalla società ricorrente, fra i parametri utilizzabili a fini di accertamento della maggiore o minore gravità dell’infrazione disciplinare rientra anche quello concernente i relativi effetti sul piano aziendale (cfr., ex aliis, Cass. 1.3.2011 n. 5019).
2.4. Le considerazioni sopra svolte assorbono la disamina del quinto motivo di doglianza.
3.1. In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
LA CORTE
rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 40,00 per esborsi e in Euro 3.500,00 per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A.
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