Svolgimento del processo
Con sentenza n. 47/14/07 depositata in data 12 dicembre 2007 la Commissione Tributaria Regionale del Piemonte – in riforma della decisione n. 170/09/06 della Commissione Tributaria Provinciale di ……. -dichiarava la illegittimità dell’avviso di accertamento n. R3303T600265 IVA IRPEG IRAP 2002 col quale venivano recuperate a tassazione nei confronti di M. S.r.l. operazioni fittizie consistite in vendite “cartolari” poi stornate a mezzo di note di credito a permettere alla Capogruppo una frode IVA.
La CTR – particolarmente sulla scorta delle testimonianze sulle quali era stata fondata la definitiva sentenza penale di assoluzione dell’Amministratore della contribuente M. S.r.l. -riteneva dimostrata la non “fittizietà” delle contestate operazioni.
Contro la sentenza della CTR, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.
La intimata contribuente non si costituiva.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate censurava la sentenza à sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. per violazione e falsa applicazione dell’art. 654 c.p.p. e dell’art. 7 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, deducendo che erroneamente la CTR aveva fondato la “decisione favorevole al contribuente unicamente sulle prove testimoniali” raccolte nel processo penale che si era concluso con la definitiva assoluzione del suo legale rappresentante, mentre invece “ai sensi dell’art. 654 c.p.p. la sentenza penale non è opponibile nel giudizio tributario per quanto riguarda i fatti accertati attraverso prove testimoniali, in quanto vietate nel giudizio tributario dall’art. 7 d.lgs. 546/1992″. La illustrazione del motivo, terminava col quesito: “se, ai sensi dell’art. 654 c.p.p. e dell’art. 7 d.lgs. 546/1992, in un giudizio tributario avente ad oggetto l’accertamento di operazioni fittizie compiute da una società da cui è derivata una evasione IVA, nel quale, in primo grado, la CTP con sentenza abbia confermato la legittimità dell’accertamento dell’Amministrazione in quanto fondato su presunzioni gravi precise e concordanti sulla fittizietà delle operazioni in questione, tenuto inoltre conto della assoluta mancanza di prova fornita dalla contribuente della effettiva sussistenza delle operazioni contestate, sia errata la sentenza della CTR che accolga l’appello e annulli l’avviso di accertamento ritenendo non sussistenti i fatti noti da cui ricavare le presunzioni gravi, precise e concordanti a carico del contribuente, basandosi unicamente sulla sentenza penale di assoluzione dell’amministratore della società (imputato per gli stessi fatti), nella quale il convincimento del giudice penale si sia fondato sulle testimonianze rese nel processo penale da due militari della G.d.F. che hanno svolto l’accertamento e da una dipendente della società contribuente parte nel giudizio tributario, e richiamando la CTR in motivazione il contenuto di dette prove testimoniali a supporto della propria decisione, così violando il principio per cui il giudicato penale non ha efficacia nel giudizio tributario per quanto riguarda i fatti accertati con prove vietate nel giudizio tributario, e in generale il divieto di utilizzo a favore del contribuente nel processo tributario di prove testimoniali rese in un processo penale”.
Col secondo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate censurava la sentenza à sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – ancora per violazione e falsa applicazione dell’art. 654 c.p.p. e 7 d.lgs. n. 546 del 1992 e “Sempre in relazione alla idoneità probatoria in un giudizio tributario delle prove testimoniali rese in un processo penale” – di nuovo deducendo che erroneamente la CTR aveva fondato la “decisione favorevole al contribuente unicamente sulle prove testimoniali” raccolte nel processo penale che si era concluso con la definitiva assoluzione del suo legale rappresentante, mentre invece “ai sensi dell’art. 654 c.p.p. la sentenza penale non è opponibile nel giudizio tributario per quanto riguarda i fatti accertati attraverso prove testimoniali, in quanto vietate nel giudizio tributario dall’art. 7 d.lgs. 546/1992″.
L’Agenzia delle Entrate – a ulteriore esplicazione del motivo, diverso dal primo in cui si era invece “prospettata la assoluta inutilizzabilità contro l’Amministrazione Finanziaria e a favore del contribuente del materiale probatorio proveniente da un processo penale raccolto attraverso l’espletamento di prove testimoniali” – deduceva altresì che “anche volendo ammettere una qualche utilizzabilità a livello indiziario delle prove testimoniali citate” la CTR avrebbe dovuto comunque richiedere un “qualche ulteriore elemento probatorio di supporto”. L’illustrazione del motivo, si concludeva col quesito: “se, ai sensi dell’art. 654 c.p.p. e dell’art. 7 d.lgs. 546/1992, in un giudizio tributario avente ad oggetto l’accertamento di operazioni fittizie compiute da una società da cui è derivata una evasione IVA, nel quale, in primo grado, la CTP con sentenza abbia confermato la legittimità dell’accertamento dell’Amministrazione in quanto fondato su presunzioni gravi precise e concordanti sulla fittizietà delle operazioni in questione, tenuto inoltre conto della assoluta mancanza di prova fornita dalla contribuente della effettiva sussistenza delle operazioni contestate, sia errata la sentenza della CTR che accolga l’appello e annulli l’avviso di accertamento ritenendo non sussistenti i fatti noti da cui ricavare le presunzioni gravi, precise e concordanti a carico del contribuente, basandosi unicamente sulla sentenza penale di assoluzione dell’amministratore della società (imputato per gli stessi fatti), nella quale il convincimento del giudice penale si sia fondato sulle testimonianze rese nel processo penale da due militari della G.d.F. che hanno svolto l’accertamento e da una dipendente della società contribuente parte nel giudizio tributario, e richiamando la CTR in motivazione il contenuto di dette prove testimoniali a supporto della propria decisione senza alcun ulteriore riscontro probatorio emerso nel processo tributario, così violando il principio per cui il giudicato penale non ha efficacia nel giudizio tributario per quanto riguarda i fatti accertati con prove vietate nel giudizio tributario, e in generale il divieto di utilizzo a favore del contribuente nel processo tributario di prove testimoniali rese in un processo penale, tanto più che i fatti oggetto delle dichiarazioni rese dai testimoni non hanno ricevuto nel processo tributario alcun riscontro oggettivo, e la sentenza della CTR si fonda unicamente sulle testimonianze espletate nel processo penale”. Col terzo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate censurava la sentenza à sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – ancora per violazione e falsa applicazione dell’art. 654 c.p.p. e 7 d.lgs. n. 546 del 1992 e “Sempre in relazione alla idoneità probatoria in un giudizio tributario delle prove testimoniali rese in un processo penale” – deducendo che la CTR aveva espressamente rilevato che “l’Ufficio non aveva svolto osservazioni sul contenuto della sentenza”. Cosicché doveva anche rilevarsi – nella prospettiva che ciò potesse esser considerata “autonoma ratio decidendi” nel senso dell’applicazione del principio di “non contestazione del contenuto della sentenza penale e dunque della sua utilizzabilità anche per il contenuto derivante dalle prove testimoniali” – l’errore in cui era incorsa la CTR in quanto “il divieto di utilizzazione à fini probatori nel processo tributario delle prove testimoniali espletate in un processo penale … non viene certo meno in presenza di un comportamento neutro come la mancata proposizione di osservazioni da parte dell’Amministrazione Finanziaria”. L’illustrazione del motivo terminava col quesito: “se, ai sensi dell’art. 654 c.p.p. e dell’art. 7 d.lgs. 546/1992, in un giudizio tributario avente ad oggetto l’accertamento di operazioni fittizie compiute da una società da cui è derivata una evasione IVA, nel quale, in primo grado, la CTP con sentenza abbia confermato la legittimità dell’accertamento dell’Amministrazione in quanto fondato su presunzioni gravi precise e concordanti sulla fittizietà delle operazioni in questione, tenuto inoltre conto della assoluta mancanza di prova fornita dalla contribuente della effettiva sussistenza delle operazioni contestate, sia errata la sentenza della CTR che accolga l’appello e annulli l’avviso di accertamento ritenendo non sussistenti i fatti noti da cui ricavare le presunzioni gravi, precise e concordanti a carico del contribuente, basandosi unicamente sulla sentenza penale di assoluzione dell’amministratore della società (imputato per gli stessi fatti), nella quale il convincimento del giudice penale si sia fondato sulle testimonianze rese nel processo penale da due militari della G.d.F. che hanno svolto l’accertamento e da una dipendente della società contribuente parte nel giudizio tributario, e richiamando la CTR in motivazione il contenuto di dette prove testimoniali a supporto della propria decisione, così violando il principio per cui il giudicato penale non ha efficacia nel giudizio tributario per quanto riguarda i fatti accertati con prove vietate nel giudizio tributario, e in generale il divieto di utilizzo a favore del contribuente nel processo tributario di prove testimoniali rese in un processo penale, a prescindere dal fatto che al momento della produzione della sentenza penale in questione l’Amministrazione Finanziaria non abbia formulato alcuna osservazione sul contenuto della stessa”.
Col quarto motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate censurava la sentenza à sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per violazione dell’art. 654 c.p.p. “Sempre in relazione alla idoneità probatoria in un giudizio tributario delle prove testimoniali rese in un processo penale” – deducendo che la contribuente M. S.r.l. non era tra le parti civili del processo penale che vedeva imputato il suo legale rappresentante e che perciò non poteva far stato in altro giudicato civile. L’illustrazione del motivo, terminava col quesito: “se, ai sensi dell’art. 654 c.p.p. e dell’art. 7 d.lgs. 546/1992, in un giudizio tributario avente ad oggetto l’accertamento di operazioni fittizie compiute da una società da cui è derivata una evasione IVA, nel quale, in primo grado, la CTP con sentenza abbia confermato la legittimità dell’accertamento dell’Amministrazione in quanto fondato su presunzioni gravi precise e concordanti sulla fittizietà delle operazioni in questione, tenuto inoltre conto della assoluta mancanza di prova fornita dalla contribuente della effettiva sussistenza delle operazioni contestate, sia errata la sentenza della CTR che accolga l’appello e annulli l’avviso di accertamento ritenendo non sussistenti i fatti noti da cui ricavare le presunzioni gravi, precise e concordanti a carico del contribuente, basandosi unicamente sulla sentenza penale di assoluzione dell’amministratore della società (imputato per gli stessi fatti), resa in un processo penale nel quale la società contribuente non partecipava né in qualità di parte civile né in qualità di responsabile civile, così violando il chiaro disposto dell’art. 654 c.p.p. che ammette efficacia di giudicato della sentenza penale solo nei confronti dell’imputato, della parte civile o del responsabile civile”.
Gli appena riassunti motivi, per la loro stretta connessione, debbono esser congiuntamente esaminati. I motivi, peraltro, sono infondati.
Sotto un primo preliminare profilo, deve andare rilevato come la CTR non abbia fatto alcuna vietata applicazione di giudicato penale (sul divieto, da ultima v. Cass. n. 8129 del 2012). Ed è altresì utile precisare che nemmeno astrattamente poteva parlarsi di giudicato opponibile, giacché qui è parte la contribuente M. S.r.l. e non il suo legale rappresentante assolto in sede penale (tra le altre, Cass. n. 19786 del 2011).
La CTR, invece, ha ritenuto dimostrata la realtà delle operazioni sulla scorta di prove testimoniali raccolte in un diverso processo penale. In effetti, sotto un secondo profilo, deve esser rammentato come non sia affatto impedito al giudice tributario di liberamente apprezzare sotto l’aspetto indiziario le prove assunte in un processo penale.
Comprese, ovviamente, le prove testimoniali. Difatti, il divieto della prova testimoniale ex art. 7 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, riguarda esclusivamente la diretta assunzione della stessa da parte del giudice tributario (Cass. n. 20032 del 2011; Cass. n. 14960 del 2010).
2. Col quinto motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate censurava la sentenza à sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. per insufficiente e contraddittoria, motivazione circa un punto decisivo della controversia.
A riguardo l’Agenzia delle Entrate deduceva che, nonostante i fatti acclarati dai Verbalizzanti, poi serviti all’Agenzia delle Entrate per presumere la “fittizietà” delle operazioni, la CTR aveva insufficientemente spiegato e contraddittoriamente ritenuto che fossero dirimenti le testimonianze penali.
Il motivo è infondato.
In effetti, la CTR ha dapprima osservato che i Verbalizzanti avevano dichiarato al giudice penale di non aver svolti approfondimenti istruttori. E poi che, in assenza di approfondimenti istruttori da parte della G.d.F., i gravi indizi ricavabili dalle dichiarazioni testimoniali erano tutti nel senso della “realtà” delle operazioni. Cosicché, senza contraddizione logica, la CTR ha ritenuto superata la prova presuntiva semplice su di cui era stato fondato l’impugnato avviso di accertamento.
PQM
Rigetta il ricorso.
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