CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 aprile 2013, n. 8312
Impugnazioni civili – Ricorso per cassazione – Forma e contenuto – Indicazione dei motivi e delle norme di diritto – Principio di autosufficienza del ricorso – Sentenza di commissione tributaria regionale – Censura relativa alla congruità del giudizio espresso in ordine al denunciato difetto di motivazione di avviso di accertamento – Ammissibilità – Condizioni – Riproduzione testuale dei passi di detto atto impositivo ritenuti erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito – Necessità – Fondamento
Ritenuto in fatto
Con due avvisi di accertamento l’Ufficio rettificava il reddito dichiarato, negli anni 1989 e 1990, da T. G. in forza dell’applicazione dei coefficienti presuntivi di reddito di cui ai dd.mm. 10.9.1992 e 19.11.1992.
Il ricorso proposto dal contribuente veniva accolto dalla Commissione Tributaria Provinciale di Messina. L’appello proposto avverso detta sentenza dall’Agenzia delle Entrate veniva rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia-Sezione staccata di Messina con sentenza n. 168/2/05, depositata il 21.12.2005.
I Giudici territoriali ritenevano gli atti impositivi privi di motivazione e, quindi, illegittimi non avendo l’Ufficio dimostrato né la misura del discostamento del reddito accertato da quello dichiarato né l’esistenza dei due periodi di imposta entro i quali si era verificato detto rapporto. Argomentava, inoltre, la Commissione Tributaria Regionale siciliana che le prove addotte, solo in grado di appello dall’Ufficio (possesso di autovettura, di abitazione principale e di abitazione secondaria), erano state smentite dal contribuente il quale “aveva precisato di avere acquistato solo nel 1991, e quindi successivamente all’accertamento, l’appartamento costituente abitazione principale).
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi Agenzia delle Entrate. Ha resistito con controricorso il contribuente.
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo, articolato ai sensi dell’art. 360 n.ri 3 e 5 c.p.c., si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 38 del d.p.r. n. 600/1973 anche con riferimento ai DD.MM. 10.9.1992 e 19.11.1992 e dell’art. 2697 c.c. nonché insufficiente motivazione. Secondo la prospettazione difensiva la C.T.R. avrebbe errato nell’applicare la norma indicata non considerando che la stessa individua la quantificazione del reddito determinabile sinteticamente sulla base di indici e coefficienti presuntivi del reddito che, nel caso di specie, erano stati individuati nel possesso di un’autovettura, non bene strumentale, dal possesso di un’abitazione principale e dal possesso di un’abitazione secondaria. Inoltre, dagli stessi avvisi di accertamento si evinceva che la percentuale dì scostamento nell’anno 1989 era pari al 76% e nell’anno 1990 pari al 64% con conseguente sussistenza del presupposto nelle due annualità.
2. Con il secondo motivo -afferente, ai sensi dell’art. 360 n.ri 3 e 5 c.p.c., a violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. ed insufficiente motivazione, si deduce l’errore in cui sarebbe incorsa la Commissione Tributaria Regionale nel ritenere che la prova posta a base della maggiore capacità contributiva del contribuente fosse stata fornita solo in grado di appello senza attenzionare che, negli avvisi di accertamento erano stati dettagliatamente indicati, distintamente per ciascun periodo di imposta, gli specifici elementi di capacità contributiva sulla cui base erano state effettuate le relative elaborazioni reddituali.
3. I due motivi, che per la loro connessione possono essere trattati congiuntamente, non meritano accoglimento.
3.1. I Giudici di secondo grado hanno argomentato la decisione impugnata oltre che “sulla mancata identificazione degli elementi di reddito” sull’autonoma ratio decidendi fondata “sulla mancata dimostrazione del rapporto reddituale tra accertato e dichiarato” sotto specie di mancata dimostrazione della “misura del discostamento del reddito accertato da quello dichiarato” e “dell’esistenza dei due periodi di imposta entro i quali si era verificato detto rapporto in conformità a quanto previsto dall’art. 38, 4°c. d.p.r. n. 600/73 ed in applicazione dei parametri previsti dai dm 10.9.1992 e 19.11.1992”.
3.2. In materia, questa Corte ha già avuto modo di affermare il principio, cui il Collegio ritiene dare continuità, secondo cui in tema di accertamento delle imposte sui redditi, lo scostamento “per almeno un quarto” del reddito dichiarato rispetto a quello determinabile “sinteticamente” in base agli opportuni coefficienti di redditività costituisce, per univoca previsione dell’art. 38, comma quarto, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, il limite invalicabile posto dal legislatore allo stesso potere dell’ufficio di determinazione sintetica del reddito, al fine evidente di temperare la rigidità propria di una applicazione meramente aritmetica dei cosiddetti “parametri” e di dare valenza – sia pure in via forfettaria – a possibili variabili caratteristiche di ciascuna produzione di reddito. La misura quantitativa di tale limite (venticinque per cento) va considerata, d’altro canto, del tutto ragionevole e quindi rispettosa dei precetti costituzionali.(così Cass. n. 15824/06 e Cass. n. 15837/2006).
Ciò posto, i motivi di ricorso, afferenti a vizi motivazionali dell’impugnata sentenza (e nello specifico quello concernente la sussistenza o meno dello “scostamento” di cui all’art. 38, quarto comma, d.p.r. n. 60071973), difettano di specificità laddove, a fronte anche della ferma contestazione del contribuente ribadita in controricorso, non viene riportato il contenuto degli atti i quali, secondo la prospettazione difensiva, non sarebbero stati esaminati dalla Commissione Tributaria Regionale (ovverossia gli avvisi di accertamento dai quali, sempre secondo la ricorrente, si sarebbe potuto evincere la prova dell’avvenuto scostamento sia per il periodo di imposta 1989 che per il periodo di imposta 1990).
Tale difetto di specificità costituisce causa di inammissibilità del ricorso come tante volte ribadito da questa Corte alla luce del principio, sancito dall’art. 366 c.p.c., per cui quando il ricorrente censuri la sentenza di una Commissione Tributaria Regionale sotto il profilo della congruità della motivazione di un avviso di accertamento – il quale non è atto processuale bensì atto amministrativo la cui motivazione, comprensiva dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo giustificano, costituisce imprescindibile requisito di legittimità dell’atto stesso – è necessario a pena di inammissibilità che il ricorsi riporti (cosa non accaduta nelle specie) testualmente i passi della motivazione di detto atto che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di cassazione di esprimere il suo giudizio in proposito esclusivamente sulla base del ricorso introduttivo (cfr. Cass. n. 15867/2004).
3.5. Ad eguale sanzione di inammissibilità, per le medesime ragioni sopra svolte, va incontro il secondo motivo di ricorso.
4. Il ricorso va, pertanto, rigettato con condanna della ricorrente soccombente alle spese di lite liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna Agenzia delle Entrate al pagamento in favore del controricorrente dei compensi di lite liquidati in complessivi euro 1.000, oltre euro 200 per esborsi ed accessori di legge.
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