Svolgimento del processo
Con sentenza n. 73 del 10/05/2007, depositata in data 6/6/2007, la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, Sez. Staccata di Parma, accoglieva, con compensazione delle spese di lite, l’appello proposto, in data 1/9/2006, dalla [X] snc di P. V., in persona del legale rappresentante p.t., P. V., e da quest’ultimo, in proprio, P. A. e P. G., avverso la decisione n. 28/07/2005 della Commissione Tributaria Provinciale di Parma, che aveva accolto, previa loro riunione, i distinti ricorsi proposti dalla [X] e dai soci contro alcuni avvisi di accertamento relativi alle imposte dovute IVA, IRPEF, IRAP, per l’anno 2000, a seguito di rettifica del reddito della società, in applicazione degli studi di settore ai sensi dell’art. 62 sexies comma 3 d.l. 331/1993, e di quello da partecipazione nella stessa dei singoli soci.
La C.T.P., nell’accogliere i ricorsi, osservava che “lo stato di litigiosità fra i soci e lo spirare del termine della durata del contratto sociale – fissato statutariamente al 31/12/2000 – ponevano la società al di fuori del parametro di applicabilità degli studi standardizzati”. La Commissione Tributaria Regionale accoglieva invece il gravame dell’Agenzia delle Entrate, in quanto, premesso che dall’applicazione degli studi di settore non potevano emergere presunzioni legali ma unicamente presunzioni semplici e che, nella fattispecie, l’Ufficio aveva ritualmente consultato la società e, solo a seguito del contraddittorio con essa, aveva emesso l’avviso poi impugnato, riteneva indimostrate, dai contribuenti, “la particolarità della situazione aziendale generata dalla conflittualità esistente tra i soci A. e V. P.”, stante l’inammissibilità della produzione del certificato del “dott. G. P. del 10/09/2004″, integrante una sorta di “testimonianza per iscritto”, e la sua inattendibilità (“posto che la sostanza dello scritto, formato quando già era in corso il contenzioso con l’erario, esorbita dal contenuto del certificato medico per giungere a valutazioni e conclusioni, estranee alla competenza specifica del redattore, circa la produttività aziendale nell’anno 2000″), e la sussistenza di “un assetto e di una redditività aziendale incompatibili con quelli presunti sulla base dell’ applicazione degli studi di settore”, avendo l’Ufficio sostenuto, nelle sue difese, “senza trovare opposizione nei contribuenti”, la ricorrenza dello scostamento dalle medie reddituali del settore “sia nelle annualità anteriori che in quelle successive a quella in esame”, con conseguente esclusione di una situazione eccezionale per l’anno 2000. Inoltre, i giudici tributari escludevano altresì la ricorrenza di altra causa di esclusione dell’applicazione degli studi di settore di cui all’art. 10 comma 4 l. 146/1998 ultimo paragrafo (relativa ai contribuenti che “hanno cessato l’attività nel periodo di imposta”), emergendo documentalmente che non si era mai verificato, nonostante la scadenza del termine di durata della società del 31/12/2000, lo stato di liquidazione della società, liquidazione “né dichiarata né avviata di fatto nell’anno di imposta 2000 … né successivamente”, e che era del pari infondata l’altra censura circa la mancata allegazione, agli avvisi, del DPCM di approvazione dello studio di settore applicato, richiamato per relationem, trattandosi di atto a valore normativo, generale e astratto, soggetto a pubblicità legale e come tale pienamente conoscibile dal contribuente.
Avverso tale sentenza hanno promosso ricorso per cassazione i contribuenti, deducendo quattro motivi, per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 n. 3 c.p.c. (Motivo 1, in relazione all’art. 7, quarto comma, d.lgs. 546/1992, avendo ritenuto inammissibile il documento, già prodotto nel giudizio di primo grado, rappresentato dal certificato rilasciato dal medico di base della famiglia P., nel 2004; Motivo 2, in relazione agli artt. 7, primo comma, l. 212/2000, 42, secondo e terzo comma, DPR 600/1973 e 62 sexies, terzo comma, d.l. 331/1993, convertito con modificazioni nella l. 427/1993, essendo gli avvisi privi di motivazione ed essendovi stata anche una carente istruttoria da parte dell’Ufficio, in quanto il contraddittorio preventivo era stato instaurato esclusivamente con P. A., non più socio dal 30/03/2001; Motivo 3, in relazione all’art. 2697 c.c., avendo i giudici tributari dato rilievo a mere affermazioni dell’Ufficio circa asserite incongruenze della redditività dichiarata negli anni precedenti e successivi; Motivo 4, in relazione all’art.10 comma 4° l. 146/1998, essendo prevista dalla norma l’inapplicabilità degli studi di settore anche per i soggetti che “non si trovano in un periodo “777 normale svolgimento dell’ attività” ed essendo stato documentato, nella specie, che, sin dal 1999, era divenuto impossibile il prosieguo dell’attività societaria, tanto che uno dei soci aveva deciso di sciogliere il rapporto sociale, alla scadenza statutaria del 31/12/2000, e solo la decisione di due soci, di cedere le loro quote, aveva evitato la messa in liquidazione della società), e, per tutti i motivi anche vizio di insufficiente e/o contraddittoria motivazione, ex art. 360 n. 5 c.p.c.
Ha resistito l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
I ricorrenti hanno anche depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Il primo motivo del ricorso è inammissibile, in quanto i giudici della C.T.R., pur affermando la sussistenza di un profilo di inammissibilità del documento a firma del Dott. P., prodotto dai contribuenti, lo hanno poi esaminato, giudicandolo inattendibile, con valutazione, in fatto, congruamente motivata (così precisando: “posto che la sostanza dello scritto, formato quando già era in corso il contenzioso con l’erario, esorbita dal contenuto del certificato medico per giungere a valutazioni e conclusioni, estranee alla competenza specifica del redattore, circa la produttività aziendale nell’anno 2000″).
Il secondo ed il terzo motivo sono infondati. Questa Corte ha già chiarito come la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisca un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività -ma nasce solo, in esito al contraddittorio, da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte.
In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola case dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito (cfr. Cass. S.U. 26635/2009, Cass. 12558/2010, Cass. 12428/2012, Cass. 23070/2012). In termini di onere della prova, nella citata sentenza delle Sezioni unite, si è affermato, schematicamente, che “l’onere della prova (…) è così ripartitola) all’ente impositore fa carico la dimostrazione dell’ applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto dell’accertamento; b) al contribuente (…) fa carico la prova della sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possano essere applicati gli standard o della specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo cui l’accertamento si riferisce”.
Come chiarito ulteriormente da questa Corte in una recente pronuncia (Cass. 3312/2011), il fine e l’effetto della pronunzia delle Sezioni Unite è stato quello di porre in luce l’importanza del contraddittorio, non solo nel processo ma anche nella realtà, quale strumento principale di verificazione o falsificazione della corrispondenza tra realtà e sua rappresentazione, in quanto proprio “in sede di contraddittorio – il quale può avvenire già in fase amministrativa, ma anche e soprattutto nel giudizio – il contribuente potrà in primo luogo dedurre e dimostrare che i parametri utilizzati sono in sé erronei perché sono basati su elementi fattuali non corrispondenti alla realtà o su criteri di elaborazione e di inferenza illogici” e potrà quindi chiedere l’annullamento del provvedimento che li ha approvati ovvero dedurre e dimostrare che l’Ufficio impositore è incorso in errore operativo nell’applicare i parametri alla sua realtà ovvero ancora dedurre o l’estraneità della propria attività rispetto alla tipologia alla quale quei parametri intendono riferirsi o la sussistenza, nella propria attività di caratteri per così dire anormali, cioè di elementi che la diversificano rispetto a quelle in riferimento alle quali è stata individuata la normalità reddituale. Ove il contribuente, pur essendo stato messo in condizione di dedurre, nulla dice, legittimamente “I’Ufficio impositore prima e il giudice poi non avranno elementi per escludere che l’attività in questione sia un’attività “normale” ed abbia quindi una redditività normale”; ove il contribuente prospetti, invece, la sussistenza di circostanze di fatto, tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, “spetterà all’ufficio prima e al giudice poi valutare in primo luogo se tali circostanze sono vere e poi se esse possono essere effettivamente idonee a “giustificare” un reddito inferiore a quello che sarebbe normale e quindi presuntivamente vero in assenza di esse”. Tanto premesso, occorre evidenziare che, secondo quanto si legge nella sentenza, l’Ufficio, in considerazione del fatto che i ricavi dichiarati erano inferiori a quelli calcolati, ha invitato la contribuente ad esporre e documentare i fatti e le circostanze idonee a giustificare lo scostamento dei ricavi dichiarati da quelli determinati con l’applicazione dei parametri. A fronte di tale formale invito, si è presentato il socio P. A., rappresentante della società, all’epoca (vale a dire nell’anno di imposta, 2000, oggetto dell’atto impositivo), e lo stesso è stato sentito il 27/7/2004.
L’avviso di accertamento nei riguardi della società (unico atto ritrascritto nel ricorso, ai fini dell’autosufficienza) è congruamente motivato, con richiamo, oltre allo scostamento dell’ammontare dei ricavi dichiarati rispetto a quello accertato con l’applicazione degli studi di settore applicabile all’attività svolta, secondo il DM 30/03/1999, alla genericità delle dichiarazioni addotte a giustificazione dalla contribuente in sede di contraddittorio (“circa problemi di salute di uno dei soci mai effettivamente documentate”), nonché al fatto che “sia negli anni precedenti che seguenti la società non è risultata congrua e coerente con gli studi di settore ed ha continuato a chiudere in perdita tutti gli esercizi in questione” (cosicché essendo costanti ed uniformi i dati, pregressi e successivi, la situazione riscontrata nel 2000 non aveva caratteri di eccezionalità o anomalia).
La CTR ha dunque anche fatto corretta applicazione dei principi di diritto in materia di riparto dell’onere della prova.
Il quarto motivo è invece fondato, sotto entrambi i profili invocati (violazione di legge e vizio di motivazione).
Invero, i giudici della C.T.R., relativamente alla questione preliminare inerente l’utilizzabilità, nella fattispecie concreta, degli studi di settore, hanno motivato pressoché esclusivamente in ordine alla insussistenza, per l’anno 2000, della cessazione dell’attività sociale, ma, con riguardo all’altro presupposto individuato, sempre per escludere l’applicabilità degli studi di settore, dall’art. 10 quarto comma l. 146/1998, nel testo vigente ratione temporis, costituito dalla situazione “non normale svolgimento dell’ attività”, si sono limitati ad affermare la piena normalità e continuità aziendale in cui versava la società nel 2000, quale dimostrata “dall’ andamento della società negli anni precedenti e successivi – non specificati – alla dichiarazione per l’anno di imposta 2000″, e l’irrilevanza del dato rappresentato da due soli licenziamenti. Con dette considerazioni i giudici non hanno compiutamente valutato il presupposto di cui all’art. 10 comma 4 l. 146/1998. Invero, la società contribuente, anche in sede di contraddittorio ma soprattutto nel corso del giudizio, prima dell’emissione dell’atto impositivo, ed i soci avevano evidenziato la sussistenza di elementi oggettivi che inducevano a ritenere inadeguato il percorso tecnico – metodologico seguito dallo studio per giungere alla stima, in presenza di cause particolari che avevano potuto influire negativamente sul normale svolgimento dell’ attività nell’anno 2000 (la situazione di conflitto tra due soci, V. ed A. P.; la volontà del P. V. di sciogliere il rapporto sociale, in scadenza al 31/12/2000; la soluzione della cessione delle quote, dai soci G. ed A., a V. e G. P., intervenuta tuttavia soltanto nell’anno 2001, a marzo; i licenziamenti di due dipendenti nell’anno 2000), collocando la società contribuente al di sotto del livello determinato dallo studio, anche con il contributo degli indicatori di normalità.
Tali plurimi elementi non risultano essere stati sufficientemente esaminati in rapporto all’altra causa ostativa prevista, distintamente dall’ipotesi di cessazione dell’attività, dall’art. 10 citato, rispetto all’applicazione degli studi di settore, vale a dire l’andamento “non normale” dell’attività di impresa, quanto all’anno 2000.
In accoglimento del ricorso, quanto al quarto motivo, la sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, che provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
PQM
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, che provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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