Corte di Cassazione sentenza n. 880 del 16 gennaio 2013
RAPPORTO – LICENZIAMENTO – PROCEDURA DI MOBILITA’ – OMESSA INFORMAZIONE AI SINDACATI – MANCATA COMUNICAZIONE DEL PROSSIMO PIANO DI INCENTIVO ALL’ESODO – ILLEGITTIMITA’
massima
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L’incompletezza di contenuto della comunicazione di avvio della procedura di mobilità invalida la procedura e determina l’inefficacia dei licenziamenti, nonostante la stipulazione di un accordo sindacale di riduzione del personale che contempli un criterio di scelta dei lavoratori da licenziare.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado che aveva respinto la domanda proposta da S. L. nei confronti della società C. S.p.A. (ora C.I. S.p.A.), ha dichiarato inefficace il licenziamento disposto dalla società nei confronti della lavoratrice a seguito di procedura di mobilità ex art. 4 L. 223/91 ed ha condannato la società a reintegrarla nel posto di lavoro, previo pagamento delle retribuzioni maturate a decorrere dalla data del recesso sino a quella dell’effettiva reintegra.
Ha osservato la Corte territoriale che la regolarità della procedura di mobilità rappresenta un momento ineludibile affinché il potere risolutorio collettivo del datore di lavoro possa legittimamente esercitarsi. In particolare la comunicazione inviata dal datore di lavoro alle organizzazioni sindacali risponde alla esigenza di renderle compiutamente edotte della situazione aziendale prospettata dal datore di lavoro, in modo da porle in condizione di assumere iniziative e formulare proposte dirette ad evitare od attenuare la crisi dell’impresa.
Nella specie in detta comunicazione non si faceva alcun cenno al piano di incentivo all’esodo programmato dall’azienda ed alle conseguenti dimissioni di un numero rilevante di lavoratori, dimissioni che nel corso della procedura erano state poi rese da settantasei lavoratori, circostanza questa non contestata dalla società.
Tale fenomeno aveva raggiunto dimensioni tali da incidere sulla effettiva necessità della procedura di mobilità, in cui nella comunicazione iniziale erano state indicate solo venti posizioni in esubero.
La inesatta esposizione del piano di incentivo all’esodo e della sua ampiezza rendeva effettivamente incompleta e distorta l’informazione sulla consistenza occupazionale e, conseguentemente, sulle dimensioni della riduzione del personale ritenuta necessaria, viziando la procedura di mobilità e l’atto di recesso intimato alla lavoratrice in esito alla stessa.
Per la riforma di tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società C.I. sulla base di dieci motivi. La lavoratrice ha resistito con controricorso. La società ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, corredato dal quesito di diritto di cui all’articolo 366 bis c.p.c., allora in vigore (tale disposizione è stata abrogata dall’art. 47, comma 1, lett. d), della legge 18 giugno 2009 n. 69 a decorrere dal 4 luglio 2009), la società ricorrente, denunziando difetto di motivazione della sentenza impugnata su un punto decisivo della controversia, deduce che è errata l’affermazione della Corte territoriale secondo cui era stato ammesso dalla società che erano intervenute settantasei dimissioni dopo l’apertura della procedura di mobilità. Non solo non vi era stata alcuna ammissione al riguardo, ma la società aveva chiesto di provare con testi che sin dal primo incontro con le organizzazioni sindacali era stata rappresentata la situazione di grave crisi aziendale e la necessità di dare ingresso ad un piano di incentivo all’esodo.
Tale situazione era stata ribadita nei successivi incontri con le organizzazioni sindacali, in esito ai quali venne poi sottoscritto il verbale di mancato accordo. Era dunque irrilevante che nella comunicazione di cui all’art. 4 della legge 223/91 la società non avesse fatto riferimento al piano di incentivo all’esodo ed alle conseguenti prevedibili dimissioni dei lavoratori – il cui numero peraltro non poteva essere conosciuto dall’azienda – essendo state le organizzazioni sindacali notiziate informalmente di tutte tali circostanze.
Né la lavoratrice, nel ricorso introduttivo aveva indicato il numero dei soggetti dimissionari, limitandosi ad affermare che esso era superiore a quello dei soggetti licenziati.
Se, dunque, le organizzazioni sindacali erano al corrente che successivamente alla comunicazione di avvio della procedura di mobilità numerosi lavoratori, “in numero inferiore e di molto a 76”, avevano rassegnato le dimissioni in adesione al piano di incentivo all’esodo, la sentenza impugnata – fondata sul punto controverso e decisivo delle dimissioni – era errata.
2. Il motivo non è fondato.
Premesso che, essendo stato dedotto il difetto di motivazione della sentenza impugnata su un punto decisivo della controversia (art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.), non era necessario formulare il quesito di diritto, richiedendosi invece, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (art. 366 bis c.p.c.) – elementi questi che si rinvengono nel motivo in esame -, deve osservarsi che in tema di procedura di mobilità e licenziamento collettivo, questa Corte ha ripetutamente affermato i seguenti principi :
– la comunicazione preventiva con cui il datore di lavoro da inizio alla procedura di licenziamento collettivo, deve compiutamente adempiere l’obbligo di fornire le informazioni specificate dall’art. 4, comma terzo, della legge n. 223 del 1991, in maniera tale da consentire all’interlocutore sindacale di esercitare in maniera trasparente e consapevole un effettivo controllo sulla programmata riduzione di personale, valutando anche la possibilità di misure alternative al programma di esubero. La inadeguatezza delle informazioni, che abbia potuto condizionare la conclusione dell’accordo tra impresa e organizzazioni sindacali secondo le previsioni del medesimo art. 4, determina l’inefficacia dei licenziamenti per irregolarità della procedura, a norma dell’art. 4, comma dodicesimo (Cass. n. 13031/02; Cass. 5770/03; Cass. n. 15479/07; Cass. n. 5034/09);
– il giudice dell’impugnazione del licenziamento collettivo o del collocamento in mobilità deve verificare – con valutazione di merito non censurabile nel giudizio di legittimità ove assistita da valutazione sufficiente e non contraddittoria – l’adeguatezza della originaria comunicazione di avvio della procedura (Cass. n. 15479 cit.);
– la comunicazione prevista dall’art. 4 della legge n. 223 del 1991 è in contrasto con l’obbligo normativo di trasparenza quando: a) i dati comunicati dal datore di lavoro siano incompleti o inesatti; b) la funzione sindacale di controllo e valutazione sia stata limitata; c) sussista un rapporto causale fra l’indicata carenza e la limitazione della funzione sindacale (Cass. n. 6225/07).
La Corte territoriale, in applicazione di tali principi, con un percorso argomentativo congruo, privo di salti logici e rispettoso della normativa applicabile alla fattispecie esaminata, dopo aver rilevato che la comunicazione di cui all’art. 4 della legge 223/91 corrisponde ad un vero e proprio obbligo di allegazione preventiva delle condizioni che giustificano il ricorso alla procedura di mobilità e che la regolarità di tale procedura rappresenta un momento ineludibile affinché il potere risolutorio collettivo del datore di lavoro possa legittimamente esercitarsi, ha aggiunto che nella specie in detta comunicazione l’azienda non ha fatto alcun cenno al piano di incentivo all’esodo in precedenza predisposto.
Ha altresì precisato che il fenomeno delle dimissioni ha successivamente raggiunto dimensioni tali da incidere sulla effettiva necessità della procedura, nella quale erano state indicate solo venti posizioni in esubero.
Tutto ciò, ad avviso della Corte di merito, si era sostanzialmente tradotto in una incompleta e distorta informazione sulla consistenza occupazionale e sulle dimensioni della riduzione del personale ritenuta necessaria, la quale aveva viziato la procedura e l’atto di recesso intimato in esito alla stessa, posto che non era stato possibile verificare se gli esuberi dichiarati all’inizio della procedura fossero rimasti gli stessi anche dopo le dimissioni.
A fronte di tale sufficiente e congruo iter argomentativo, la ricorrente ha contestato di avere ammesso che fossero intervenute settantasei dimissioni, rilevando che tale circostanza, ritenuta pacifica dalla Corte territoriale, non era invece tale e quindi la motivazione della sentenza, fondata su tale presupposto, era affetta da vizio di motivazione.
Inoltre, ha aggiunto, non poteva attribuirsi alcun rilievo al fatto che nella comunicazione di cui all’art. 4 della legge 223/91 la società non avesse fatto riferimento al piano di incentivo all’esodo ed alle conseguenti prevedibili dimissioni dei lavoratori, posto che le organizzazioni sindacali erano state notiziate informalmente di tali circostanze.
Senonché, quanto al primo rilievo, deve evidenziarsi che, una volta accertato, per ammissione della stessa società, che a seguito dell’esodo incentivato numerosi lavoratori chiesero di essere collocati a riposo, non può ritenersi decisivo per il giudizio se tale numero – che neanche in questa sede l’azienda ha ritenuto di precisare – fosse quello indicato nella sentenza impugnata o fosse inferiore, evidente essendo che l’omessa indicazione nella comunicazione di avvio della procedura del piano di incentivo all’esodo cui la società aveva già dato corso e per il quale erano state “raggiunte una serie di intese con le persone interessate” (v. pag. 5 ricorso), ha viziato, per incompletezza e inadeguatezza della comunicazione, la procedura medesima e il successivo licenziamento.
Ed infatti – in base ai principi sopra richiamati, elaborati da questa Corte – l’art. 4, comma 3, della legge 223/91, nel prescrivere che la comunicazione di cui al comma 2 deve, tra l’altro, contenere l’indicazione del numero del personale eccedente, dei tempi di attuazione del programma di mobilità e delle eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale della attuazione del programma medesimo, pone a carico dell’impresa un onere di specificazione, nella stessa comunicazione, di ogni altro elemento idoneo ad incidere in maniera non marginale sulla correttezza di tali dati, sull’assetto occupazionale e sulla effettiva necessità della procedura nonché a garantire la certezza e la trasparenza delle scelte aziendali e la effettività del ruolo svolto dal sindacato attraverso una completa e trasparente informazione preventiva che gli consenta di verificare il nesso tra le ragioni che determinano l’esubero di personale e le unità lavorative che l’azienda intende concretamente espellere.
L’inosservanza del suddetto onere si risolve in un inadempimento essenziale che, da un lato, non può essere sanato nei successivi incontri sindacali e con le informazioni rese in tali contesti; dall’altro invalida la procedura, la quale è finalizzata alla tutela non solo degli interessi delle organizzazioni sindacali, ma anche dell’interesse pubblico, correlato alla occupazione in generale ed ai costi della mobilità, e dell’interesse dei lavoratori alla conservazione del posto di lavoro.
3. Con il secondo motivo, denunziando “Contraddittorietà della motivazione sul punto precedentemente visto”, la società ricorrente, formulando il relativo quesito di diritto, lamenta che la decisione impugnata è fondata sul fatto decisivo e controverso “delle 76 dimissioni posteriori all’avvio della procedura”, circostanza questa non rispondente al vero e peraltro dedotta dalla lavoratrice “in modo espresso solo in appello”.
4. Il motivo – per il quale, come sopra osservato, non era necessario il quesito di diritto, venendo in rilievo l’ipotesi di cui al n. 5 dell’art. 360, primo comma, c.p.c. – è destituito di fondamento, non ravvisandosi sul punto, per le argomentazioni esposte sub n. 2, alcuna contraddittorietà o vizio di motivazione nella sentenza impugnata.
5. Con il terzo motivo, cui fa seguito il relativo quesito di diritto, la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 ce, “in relazione al principio di non contestazione e di cui all’art. 116 e 420 comma 5 c.p.c.”.
Rileva che, ove la Corte territoriale avesse ammesso la prova testimoniale dedotta in appello in ordine all’avvenuta comunicazione alle organizzazioni sindacali del numero dei lavoratori dimessisi nel corso della procedura di mobilità, l’esito del giudizio non poteva che essere favorevole alla società, non occorrendo che detta comunicazione fosse resa in forma scritta.
6. Il motivo è infondato alla stregua delle argomentazioni esposte sub n. 2, con riguardo sia al numero delle dimissioni che alla forma scritta della comunicazione riguardante il piano di incentivo all’esodo e il numero dei lavoratori dimissionari.
7. Con il quarto motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 3, in relazione all’art. 4, comma 10, della legge n. 223/91.
Dopo aver illustrato l’istituto del licenziamento collettivo per riduzione di personale, ribadito la regolarità della procedura cui la società aveva fatto ricorso ed osservato che il piano di incentivo all’esodo e le conseguenti dimissioni dei lavoratori interessati comprovavano la crisi dell’azienda, la ricorrente chiede che la Corte risponda al seguente quesito: “Se possa affermarsi il principio che la eventuale esistenza di dimissioni, possa, specie in caso di errore nella determinazione del relativo numero e tempo, far dubitare della esistenza e della permanenza dei requisiti formali (informazione al sindacato) o sostanziali (crisi) previsti dalla legge per collocare in mobilità le eccedenze di personale dichiarate”.
8. Il motivo, oltre che inammissibile, in quanto il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c., deve essere risolutivo della controversia e deve comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo (cfr., tra le altre, Cass. 28 maggio 2009 n. 12649), è destituito di fondamento, dovendosi qui ribadire che la società ricorrente, con la comunicazione di avvio della procedura di mobilità, è venuta meno all’obbligo di effettuare alle organizzazioni sindacali una completa e trasparente informazione preventiva in ordine al piano di incentivo all’esodo già deliberato, in modo da consentire alle stesse la verifica dei dati relativi all’assetto occupazionale e alla effettiva necessità della procedura nonché di verificare il nesso tra le ragioni che avevano determinano l’esubero di personale e le unità lavorative che l’azienda intendeva concretamente espellere.
9. Con il quinto motivo, denunziando violazione e falsa applicazione dell’art. 4, commi 2, 3 e 5, in relazione all’art. 5, comma 3, della legge 223/91, la ricorrente, dopo avere osservato che nel ricorso introduttivo e in sede di appello la lavoratrice non ha indicato la disposizione che impone all’azienda eventuali altre comunicazioni oltre a quella di avvio della procedura di mobilità nonché “i fatti omissivi e le relative circostanze di tempo e di luogo”, formula il seguente quesito di diritto: “Se la natura procedimentale dell’istituto del licenziamento collettivo rende necessario un controllo a posteriori sulla sussistenza della crisi e se questa possa essere smentita dalle dimissioni accertate in mancanza di deduzioni e prove adeguate di maliziose elusioni del potere di controllo sindacale”.
10. Con il sesto motivo, corredato dal relativo quesito di diritto, la ricorrente, denunziando violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 3, della legge 223/91, rileva che non ogni difetto informativo è idoneo a viziare la procedura di mobilità, ma solo quello che altera la trattativa o vizia in altro modo la procedura. Nella specie le ritenute, incomplete informazioni non erano tali da inficiare detta procedura, da un lato perché le organizzazioni sindacali erano state messe al corrente, nel corso dei vari incontri, del piano di incentivo messo a punto dall’azienda per favorire le dimissioni dei lavoratori interessati, dall’altro perché solo la comunicazione di apertura della procedura di mobilità deve rivestire la forma scritta, mentre con riguardo alle comunicazioni successive vige il principio della libertà delle forme.
11. Entrambi i predetti motivi sono infondati per le considerazioni svolte sub n. 2, in relazione sia ai caratteri della completezza e trasparenza che deve rivestire la comunicazione di avvio della procedura di mobilità, sia alla forma scritta che avrebbe dovuto rivestire anche la informazione relativa al piano di incentivo all’esodo, elemento questo non meno rilevante delle altre indicazioni richieste dall’art. 4 della legge 223/91 ai fini della regolarità della procedura.
12. Tale ultimo vizio, come più sopra osservato, è idoneo a forviare o eludere l’esercizio del potere di controllo preventivo attribuito alle organizzazioni sindacali e ad invalidare la procedura, determinando l’inefficacia dei licenziamenti.
13. Con il settimo motivo, cui fa seguito il relativo quesito di diritto, la ricorrente denunzia violazione dell’art. 112 c.p.c., osservando che la lavoratrice ha omesso di specificare in primo grado e in appello “il vizio della procedura e la sua fonte normativa”. Inoltre ha chiesto dichiararsi la “illegittimità e/o la nullità della procedura”, mentre la Corte territoriale ha dichiarato la inefficacia del licenziamento, pur in mancanza di una siffatta domanda.
14. Il motivo è infondato. Quanto alla prima censura, come risulta dal ricorso introduttivo e come dà atto la sentenza impugnata, la domanda era fondata sulla mancata osservanza della procedura di mobilità ed in particolare, tra l’altro, sulla omessa e insufficiente comunicazione alle organizzazioni sindacali delle dimissioni dei lavoratori a seguito del piano di incentivo all’esodo predisposto dalla società.
Quanto alla seconda, la declaratoria di inefficacia adottata dalla Corte territoriale in luogo di quella di illegittimità, non costituisce violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, pacifico essendo che il giudice possa attribuire alle parti il bene richiesto con una statuizione che trovi corrispondenza nelle disposizioni di legge e nei fatti di causa e che si basi su elementi ritualmente acquisiti al giudizio.
15. Con l’ottavo motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 3, della legge 223/91, formulando il seguente quesito di diritto: “Se le dimissioni di un notevole numero di dipendenti (76 su 238) possa ritenersi informazione che il sindacato sia tenuto a conoscere secondo buonafede, con conseguente irrilevanza dell’ipotizzato difetto informativo rispetto alla procedura ed al recesso”.
16. Il motivo, oltre che inammissibile perché non contenente la regola iuris adottata nel provvedimento impugnato e il diverso principio che la ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, è anche infondato alla stregua delle considerazioni svolte sub n. 2, laddove è stato precisato che la comunicazione dell’avvio della procedura di mobilità deve contenere, oltre alle indicazioni di cui all’art. 4 della legge 223/91, ogni altro elemento idoneo ad incidere in maniera non marginale sull’assetto occupazionale e sulla effettiva necessità della procedura nonché a garantire la certezza e la trasparenza delle scelte aziendali e la effettività del ruolo svolto dal sindacato attraverso una completa informazione preventiva, senza che al riguardo assumano rilevanza eventuali comunicazioni informali rese dall’impresa nel corso della procedura o eventuali elementi presuntivamente acquisiti dalle organizzazioni sindacali.
17. Con il nono motivo, cui fa seguito il relativo quesito di diritto, la ricorrente, denunziando violazione degli artt. 4 e 5 della legge 223/91, in relazione all’art. 112 c.p.c., deduce che la lavoratrice, nel ricorso introduttivo, ha omesso di indicare le specifiche violazioni poste in essere dalla società nella procedura di mobilità, non consentendole una adeguata difesa in giudizio. La decisione resa in presenza di siffatta domanda generica integra, ad avviso della ricorrente, la violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, avendo il giudice operato una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata, dando rilievo a motivi diversi da quelli dedotti.
18. Il motivo è privo di fondamento, atteso che nel ricorso introduttivo risultano compiutamente esposte, in osservanza del disposto di cui all’art. 414 n. 4 c.p.c., le ragioni che giustificano la domanda, i fatti e gli elementi di diritto sui quali la medesima è fondata e le relative conclusioni.
Deve poi escludersi che sia stato violato l’art. 112 c.p.c., avendo la Corte territoriale emesso una statuizione che trova corrispondenza nella domanda, senza interferire nel potere dispositivo delle parti e senza porre a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere.
19. Con il decimo motivo (erroneamente indicato quale nono) la società, denunziando violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., “in relazione al danno ex art. 18 legge 300/70, come da determinarsi anche ex artt. 1223, 1225 e 1227, comma 1 e 2 c.c.”, deduce che la Corte di merito non ha preso in esame l’eccezione di aliunde perceptum spiegata in sede di appello.
A conclusione del motivo formula il seguente quesito di diritto: “Se sia possibile liquidare il danno da recesso dichiarato illegittimo senza decurtare l’aliunde perceptum et percipiendum a fronte della relativa istanza e senza motivazione alcuna”.
20. Anche tale motivo è infondato.
Vero è che la Corte territoriale ha omesso di pronunciare sull’eccezione di aliunde perceptum, ma tale eccezione, nei termini in cui è stata proposta e ora riproposta (v. pag. 42 ricorso per cassazione: …. “Si è svolta in appello … la eccezione di aliunde … si sono svolte le istanze che rendono del tutto agevole evitare ingiustificate locupletazioni (bastava chiedere la dichiarazione dei redditi alla dipendente o all’agenzia delle entrate … è presumibile e verosimile (se non doveroso) che la L. abbia reperito una nuova occupazione” ….), è del tutto generica, non essendo stati esposti gli elementi di fatto che giustificano l’eccezione, mentre le relative richieste, in quanto esplorative, sono inammissibili.
Ne consegue che, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111, secondo comma, Cost., nonché di una lettera costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., pur in presenza di una omessa pronuncia su detta eccezione, questa Corte può omettere la cassazione con rinvio ed adottare una pronuncia di rigetto, inutile essendo il ritorno della causa nella fase di merito (cfr. Cass. 11 aprile 2012 n. 5729; Cass. 1° febbraio 2010 n. 2313).
21. In conclusione il ricorso deve essere rigettato, previa condanna della ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio, come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in € 40,00 per esborsi ed € 3.000,00 per compensi difensivi, oltre accessori come per legge.
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