Corte di Cassazione sentenza n. 8948 del 04 giugno 2012
SICUREZZA SUL LAVORO – PREVIDENZA SOCIALE – INFORTUNI SUL LAVORO E MALATTIE PROFESSIONALI – REVISIONE DELLA RENDITA PER INFORTUNIO PROFESSIONALE – DECADENZA E PRESCRIZIONE
massima
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Il termine di complessivi dieci anni, per la revisione della rendita per infortunio sul lavoro, previsto dall’art. 83 del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), non è di prescrizione, né di decadenza, ma delimita soltanto l’ambito temporale di rilevanza dell’aggravamento o del miglioramento delle condizioni dell’assicurato, che fa sorgere il diritto alla revisione.
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FATTO-DIRITTO
La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c. a seguito di relazione a norma dell’art. 380-bis c.p.c.
1. Il Tribunale di Bolzano, definendo il giudizio promosso da (Omissis) contro l’Inail al fine di conseguire una maggiore rendita per inabilità permamente in relazione all’infortunio sul lavoro subito in data (Omissis), determinava nel 70% l’entità dell’inabilità all’epoca della visita collegiale del 16.12.2004, nella quale l’istituto aveva determinato tale inabilità nel 60%.
A seguito di appello dell’Inail e di appello incidentale dell’assicurato, la Corte d’appello di Trento, Sezione distaccata di Bolzano, accoglieva l’impugnazione principale e rigettava quella incidentale diretta ad un ulteriore incremento del grado di inabilità, e quindi disattendeva tutte le richieste dell’iniziale ricorrente.
2. La Corte, premesso che, in applicazione delle esposizioni di cui all’art. 83, comma 7, del testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1964 la revisione della rendita per infortunio professionale può essere ottenuta per l’ultima volta con riferimento alla condizione esistente dal compimento del decennio dall’inizio del godimento della pensione, decennio quindi nella specie decorrente dal 17.1.1994, rilevava che dalla c.t.u. esperita e dai chiarimenti forniti dal consulente risultava che un peggioramento rispetto al grado di invalidità del 60% si era verificato successivamente a tale data. Più precisamente nella relazione scritta la consulente aveva espresso il parere di un’elevazione del grado di inabilità al 65% dalla data della visita medicolegale da lei compiuta il (Omissis), dando rilievo all’accentuazione del quadro doloroso che si era verificato negli ultimi tempi. Poi, sentita a chiarimenti all’udienza del 27.4.2009, la c.t.u., aveva precisato che il peggioramento poteva essersi verificato negli ultimi cinque anni, quindi comunque a partire dal 27.4.2004, oltre il decennio in questione.
La Corte giustificava ulteriormente la sua decisione negativa per l’assicurato, osservando che la consulente d’ufficio in occasione di tali chiarimenti aveva evidentemente fatto riferimento ad un aggravamento solo progressivamente verificatosi negli ultimi cinque anni e ricordando altresì che in occasione della visita collegiale il medico del patronato risultava avere aderito alla valutazione di un incremento dell’invalidità fino alla misura del 60%, che era anche quella riportata nella perizia fatta eseguire dalla parte e recante la data del 15.12.2004 (giorno precedente la visita collegiale).
3. L’assicurato propone ricorso per cassazione a cui resiste l’Inail con controricorso.
4. Il ricorso denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione circa la data dell’aggravamento delle condizioni dell’assicurato e conseguente violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965, art. 83.
Si lamenta la contraddittorietà della sentenza per avere fatto riferimento a dichiarazioni incoerenti del c.t.u., se considerate letteralmente, circa la decorrenza dell’aggravamento. Si sostiene anche che risultava comprovato che tutte le menomazioni che secondo il c.t.u. comportavano un’inabilità del 65%, aumentata fino al 70 % in occasione delle dichiarazioni rese in udienza, esistevano già da anni e comunque prima del decorso del termine decennale in questione. Si osserva anche che la Corte d’appello aveva preso in considerazione solo una delle consulenze di parte prodotte dal ricorrente e si richiamano le risultanze delle perizia dell'(Omissis) circa la derivazione della sindrome psichica – comportante apprezzabile riduzione delle facoltà psichiche superiori, alterazione della personalità e ridotta adattabilità alle situazioni ambientali – dal trauma cranico-encefalico e dalle conseguenti lesioni e si osserva che tale menomazione sicuramente risaliva all’epoca dell’infortunio.
5. Il ricorso è qualificabile come manifestamente infondato. In effetti le doglianze formulate attengono all’accertamento del fatto così come motivatamente compiuto dal giudice di merito, il quale ha la facoltà di fare riferimento agli elementi di prova che ritiene più significativi ed attendibili, di interpretarli e valutarli. Né il ricorso per cassazione può essere basato, come le impugnative di merito, su una diversa valutazione del quadro probatorio, neanche se la parte interessata prospetta le ragioni che renderebbero preferibile o più convincente l’alternativo giudizio di fatto proposto. Infatti il vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 può essere integrato solo da incontrovertibili lacune o illogicità del giudizio di fatto, comprese, nel caso degli accertamenti di natura medico-legale, le palesi devianze rispetto a documentati criteri scientifici. Tale tipo di vizi non risulta configurabile nella specie, anche perchè il giudizio della Corte di merito circa l’epoca del sicuro concretizzarsi dell’aggravamento è basato sulla valutazione di vari significativi elementi, mentre non risulta rilevante il rilievo sull’epoca a cui risale la menomazione conseguente al trauma cranico, peraltro considerata in diagnosi dal c.t.u. con la formula “sindrome psico-organica medio-grave e sfumata emisindrome sinistra in esiti del trauma cranico”, come riportato nello stesso ricorso.
6. Il ricorso deve quindi essere rigettato.
Nulla per le spese ex art. 152 disp. att. c.p.c., in quanto i requisiti reddituali presupposto di tale esenzione è stata già accertata dal giudice a quo e non sono state segnalate variazioni.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.
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