Corte di Cassazione sentenza n. 896 del 17 gennaio 2011
RAPPORTO DI LAVORO – RETRIBUZIONE – NORMA COSTITUZIONALE – FAMIGLIA
massima della sentenza
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La retribuzione dei lavoratori – tanto quella corrisposta nel corso del rapporto di lavoro, quanto quella differita, a fini previdenziali, alla cessazione di tale rapporto, e corrisposta, sotto forma di trattamento di liquidazione o di quiescienza, a seconda dei casi, allo stesso lavoratore o ai suoi aventi causa – è fatta oggetto, sul piano morale e su quello patrimoniale, di particolare protezione nel vigente ordine costituzionale, fondato, appunto, sull’art. 36 Cost., il quale garantisce espressamente il diritto alla retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato ed in ogni caso sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.
Il principio contenuto nell’art. 36 della Costituzione, pur disponendo che la retribuzione sia “proporzionata” al lavoro prestato, esige che, comunque, essa sia in grado di assicurare a ciascun lavoratore ed alla sua famiglia un minimo di condizioni che consentano una esistenza “libera e dignitosa”. (Corte cost., 26 aprile 1962, n. 41). Ai fini della determinazione della retribuzione proporzionata spettante al lavoratore a norma dell’art. 36 cost., il riferimento alla disciplina collettiva – Cass. civ., 17 novembre 1979, n.5998 – rappresenta una semplice facoltà e non un obbligo del giudice di merito, il quale può fondare la sua decisione su criteri diversi e, particolarmente, sulla diretta considerazione della natura e qualità del lavoro prestato e sulle nozioni di comune esperienza; in sede di legittimità tale determinazione può essere censurata soltanto per quanto riguarda i criteri imposti dal precetto costituzionale, per il processo perequativo (sufficienza della retribuzione a sopperire ai bisogni di un’esistenza libera e dignitosa, proporzionalità della retribuzione stessa alla qualità e quantità del lavoro prestato) ovvero per quanto riguarda l’omissione di circostanze decisive, mentre l’apprezzamento dell’adeguatezza della retribuzione in concreto non può formare oggetto del giudizio di cassazione poiché implica valutazioni di fatto istituzionalmente riservato al giudice di merito.
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Svolgimento del processo
La controversia concerne differenze retributive e sul TFR richieste dal signor B.S. dal 1987 al 1995 (quando era stato licenziato) per il lavoro svolto presso la ricevitoria del lotto gestita prima dal signor S.S. e poi dalla signora S.M..
Costituitosi il contraddicono, ed effettuata l’attività istruttoria, il giudice di primo grado accoglieva parzialmente il ricorso condannando la convenuta S.M. al pagamento di poco più di dodicimila Euro, oltre accessori. In secondo grado, invece, la Corte d’Appello di Catania andava in contrario avviso e accoglieva l’impugnazione della S. rigettando le domande del B..
La sentenza argomentava:
che i contratti collettivi di lavoro non erano vincolanti nei confronti dei soggetti che, come le parti del giudizio, non erano iscritti alle organizzazioni stipulanti; che, di conseguenza, i minimi previsti dalla contrattazione collettiva non potevano essere assunti necessariamente a parametri di quella retribuzione equa e sufficiente prescritta dall’art. 36 Cost.;
che non poteva essere considerare inadeguata la retribuzione percepita dal B., che si distaccava per appena l’il per cento da quella indicata dalla contrattazione collettiva.
Era errata perciò la sentenza di primo grado che aveva individuato la retribuzione adeguata applicando le tariffe sindacali al 100%.
Avrebbe dovuto tenersi conto, invece, del fatto che si trattava di una piccola azienda, operante in una situazione economica in crisi, come quella del Mezzogiorno d’Italia.
La sentenza sottolineava, infine, che, sul piano della qualità della prestazione, si doveva tenere conto che, pur nel rispetto della presunzione di non colpevolezza fino alla condanna definitiva, il B. era imputato dei reati previsti dall’art. 314 c.p. e art. 640 c.p., comma 1, per fatti commessi nell’attività lavorativa alle dipendenze della S., e che ne erano emerse circostanze tali da incrinare il rapporto di fiducia che doveva sussistere fra datore di lavoro e dipendente.
Avverso la sentenza di appello, pubblicata il 26 ottobre 2005, e, per quanto risulta, non notificata, il B. ha proposto ricorso per cassazione, con cinque motivi di impugnazione, notificato, in termine, il 24 maggio 2006.
L’intimata S.M. ha resistito con controricorso notificato, in termine, il 30 giugno 2006.
Entrambe le parti hanno depositato memorie difensive, due memorie successive il ricorrente B., ed una memoria soltanto la resistente S..
Motivi della decisione
1. Nel primo motivo di impugnazione il ricorrente denunzia la nullità della sentenza per contraddittorietà tra il dispositivo e la motivazione, e la manifesta illogicità della motivazione di rigetto delle domande del B. in relazione al dispositivo di rigetto delle domande della S.M..
La contraddizione comportava una insanabile nullità della pronunzia.
2. Nel secondo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione e disapplicazione degli artt. 416 e 437 c.p.c..
Il ricorrente lamenta che la sentenza abbia recepito una nuova eccezione di merito proposta tardivamente dalla S. nelle note illustrative finali per l’udienza di discussione, quella secondo cui i minimi fissati dalla contrattazione collettiva non erano applicabili alla ditta della S., che era una piccola impresa operante nel Mezzogiorno; oltre tutto, questa eccezione era incompatibile con le difese della memoria di costituzione nel giudizio di primo grado, in cui, invece, la S. aveva eccepito di avere applicato la contrattazione collettiva.
Il ricorrente contesta anche, nel merito, che sussistessero prove del fatto che quella della S. fosse una piccola impresa, e comunque che quella dei gestori del lotto fosse un’attività economica in crisi.
3. Nel terzo motivo di impugnazione il B. denunzia la nullità della sentenza per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.. Lamenta che la sentenza si sia basata appunto arbitrariamente, e senza nessun supporto probatorio, sul preteso carattere di piccola impresa operante nel mezzogiorno dell’attività gestita dalla S., e non abbia tenuto conto invece degli elementi di prova raccolti in giudizio, nè del fatto che la stessa S. avesse sostenuto nella memoria di costituzione e difesa in primo grado di avere inteso pagare e pagato al B. i minimi previsti CCNL del commercio.
4. Nel quarto motivo il ricorrente denunzia la nullità della sentenza per violazione e disapplicazione e/o falsa applicazione ed erronea interpretazione della L. n.300 del 1970, art. 36, dell’art.36 Cost., e dell’art. 27 Cost., comma 2.
Le violazioni lamentate sarebbero derivate dal fatto di avere ritenuto che un’azienda concessionaria di pubblici servizi, nel caso specifico una rivendita di tabacchi e concessionaria della Lottomatica, tenuta per legge a corrispondere una retribuzione non inferiore ai minimi della contrattazione collettiva, potesse corrispondere una retribuzione inferiore dell’undici per cento rispetto a quei minimi, e non corrispondere la 13 e la 14 mensilità.
Nè poteva rilevare ai fini della congruità della retribuzione il fatto che il B. fosse stato accusato di fatti penalmente rilevanti commessi nel corso della prestazione di lavoro.
5. Nel quinto ed ultimo motivo di impugnazione il B. denunzia la nullità della sentenza per erronea, illogica, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, riscontrabili d’ufficio e prospettati dalle parti, in ordine all’applicazione da parte della datrice di lavoro dei minimi del CCNL del commercio ed in ordine all’estraneità delle accuse penali alta retribuzione spettante.
6. Il primo motivo di impugnazione, sull’esistenza di vizi nel dispositivo della sentenza impugnata, prospetta una questione di carattere procedurale che, nel caso di specie, è logicamente successiva rispetto agli altri motivi che concemono questioni di merito, e che pertanto debbono essere esaminati per primi.
7. Il secondo motivo di impugnazione è infondato, per la considerazione assorbente che quella relativa al carattere di piccola impresa della attività della resistente non è una eccezione, ma una semplice argomentazione difensiva, che poteva essere svolta anche in un momento successivo al primo atto di costituzione in giudizio.
8. I successivi motivi di impugnazione sul merito, il terzo, ed il quarto ed il quinto, sono strettamente connessi, e debbono essere trattati congiuntamente.
A differenza del secondo motivo, questi ultimi sono fondati.
9. L’argomentazione secondo cui la qualità di piccola impresa operante nel Mezzogiorno giustificherebbe la mancata applicazione dei minimi della contrattazione collettiva è infondata nel merito.
Le tabelle salariali allegate alla contrattazione collettiva sono state elaborate dalle contrapposte parti sindacali tenendo conto anche dell’esistenza e delle esigenze delle piccole imprese, ed anche delle difficoltà in cui si potevano trovare quelle che operavano in alcune zone del paese.
Non per caso quelli previsti dalla contrattazione collettiva sono appunto dei minimi salariali.
Il ricorrente fonda la propria richiesta sulla violazione dell’art.36 Cost., che impone al datore di lavoro di corrispondere al dipendente una retribuzione proporzionata alla quantità ed alla qualità del lavoro prestato.
L’applicazione di questi criteri comporta un giudizio equitativo, che deve essere motivato.
La retribuzione proporzionata prescritta dalla norma costituzionale è, nella normalità dei casi, quella fissata dalle parti sociali contrapposte nella contrattazione collettiva. Per discostarsi da questo criterio consolidato e ritenere adeguata la motivazione corrisposta al B., la motivazione della sentenza impugnata ha fatto riferimento genericamente alle retribuzioni correnti nelle piccole imprese operanti nel mezzogiorno d’Italia, e non specificamente a quelle delle ricevitorie del gioco del lotto, senza fornire nessun riferimento ad elementi concreti, e senza tener conto del fatto notorio che condizioni generali di crisi economica (come quelle esistenti, in particolare, nel Mezzogiorno d’Italia) favoriscono il diffondersi del gioco del lotto (e di quelli affini), non il contrario, e perciò l’attività delle ricevitorie.
L’argomentazione posta alla base della valutazione del giudice di merito sull’adeguatezza della retribuzione anche per verificare se non vi sia stata una violazione del principio costituzionale di cui all’art.36 Cost., è dunque irrazionale ed insufficiente.
Ne sussiste, infine, alcun rapporto tra le accuse mosse al signor B. e la determinazione delle differenze retributive di sua spettanza.
Il fatto che il lavoratore subordinato abbia commesso un illecito, con conseguente danno patrimoniale, a discapito del datore di lavoro, legittima quest’ultimo a proporre un’azione di risarcimento (eventualmente in via riconvenzionale, qualora il lavoratore abbia agito per il pagamento della retribuzione) e ad ottenere poi la compensazione con i controcrediti del lavoratore, ma non gli attribuisce il diritto di ottenere dal giudice una riduzione delle retribuzioni dovute al prestatore, in sede di adeguamento ex art. 36 Cost., comma 1.
10. Rimane, infine, da esaminare il primo motivo di impugnazione, che propone una problematica logicamente successiva, che rimane assorbita dall’accoglimento dei motivi di merito.
Non è esatto che sussiste un contrasto fra il dispositivo e la motivazione; si è verificato, piuttosto, un errore materiale all’interno dello stesso dispositivo, con un contrasto tra l’accoglimento dell’appello, ed il rigetto delle domande proposte dall’appellante (vale a dire dalla signora S.M.).
E’ problematico se l’errore materiale del giudice di merito possa essere corretto dal giudice di cassazione (in senso contrario, Cass. civ., 20 febbraio 2006, n.3656), ma – come si è detto – nel caso di specie la censura rimane assorbita dall’accoglimento dei successivi motivi di impugnazione sul merito.
11. Conclusivamente, dunque, il ricorso deve essere accolto relativamente al terzo, il quarto ed al quinto motivo di impugnazione, con il rigetto del secondo motivo e l’assorbimento del primo.
La sentenza deve essere cassata in relazione ai motivi accolti, e la causa rimessa per un nuovo esame da compiere secondo i principi ed i criteri esposti in motivazione, ad un nuovo giudice di merito, che si individua nella Corte d’Appello di Caltanissetta, cui è opportuno rimettere anche la liquidazione delle spese di questa fase di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso relativamente al terzo, al quarto ed al quinto motivo di impugnazione, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, e rinvia, anche per le spese alla Corte d’Appello di Caltanissetta.
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