Svolgimento del processo
Con sentenza n. 23 del 4/05/2009, depositata in data 10/06/2009, la Commissione Tributaria Regionale del Veneto Sez. 20 accoglieva, con compensazione delle spese di lite, l’appello proposto, in data 16/04/2008, dall’Agenzia delle Entrate avverso la decisione n. 85/12/2007 della Commissione Tributaria Provinciale di Venezia, che aveva accolto il ricorso di S.R., dottore commercialista, avverso il silenzio rifiuto dell’Ufficio erariale, formatosi sulle istanze di rimborso dell’IRAP versata per gli anni 2001, 2002 e 2003, sul presupposto che il contribuente fosse sprovvisto di autonoma organizzazione necessaria al fine del sorgere dell’obbligazione tributaria, mentre, quanto agli anni 1998, 1999 e 2000, aveva respinto il ricorso del medesimo S., trattandosi di importi non rimborsabili avendo lo stesso presentato istanza di condono, ai sensi dell’art. 7 l. 289/2002.
La Commissione Tributaria Regionale accoglieva il gravame dell’Agenzia delle Entrate, limitatamente al capo della sentenza concernente gli anni 2001, 2002 e 2003, in quanto rilevava, da un lato, che il professionista aveva, nella dichiarazione dei redditi, riportato “i notevoli compensi corrisposti a terzi – per il 2001, lire l34.473.000, per il 2002, euro 66.222, per il 2003, euro 94.109…” (ed anche negli anni successivi) e tali dati dimostravano “la non occasionalità delle prestazioni dei soggetti terzi” e, dall’altro, che detti “professionisti” rendevano conto del loro operato al S., “socio di minoranza della società X” ed “anche membro del consiglio di amministrazione”; i giudici tributari aggiungevano che il contribuente non aveva dato prova della natura delle prestazioni rese dai terzi.
Avverso tale sentenza ha promosso ricorso per cassazione il S., deducendo due motivi di ricorso, per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 n. 3 c.p.c. (in relazione agli artt. 2479 e 2697 e ss. c.c., 2 d.lgs. 446/1997, non avendo la CTR tenuto conto che, come documentato dal contribuente, mancava l’autonoma organizzazione ai fini dell’assoggettabilità ad IRAP dell’attività professionale svolta), e per mancanza e contraddittorietà della motivazione circa un fatto decisivo della controversia, ex art. 360 n. 5 c.p.c. (non avendo i giudici tributari tenuto conto della documentazione allegata dal ricorrente nel corso dei due gradi di giudizio, al fine di dimostrare che i compensi erogati alla X concernevano, “oltre l’affitto del locale, in cui lo stesso svolgeva la propria attività”, “non il corrispettivo di una serie di servizi organizzativi fornitigli, ma esclusivamente specifiche consulenze”, di natura saltuaria).
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
Il ricorrente, in risposta alla relazione ex art. 380 bis c.p.c. notificatagli, ha depositato memoria, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.. La causa, all’udienza del 9/11/2012 (camerale), veniva rinviata a nuovo ruolo per legittimo impedimento del consigliere relatore e quindi chiamata, previa sostituzione del relatore, all’udienza pubblica del 21/02/2013. Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
Il primo motivo è inammissibile, in quanto sia nel quesito di diritto, ex art. 366 bis c.p.c. (disposizione pienamente operante, trattandosi di sentenza depositata nel giugno 2009), sia nel generale contenuto, non si lamenta un vizio di violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto nella sentenza, quanto un vizio di errata valutazione da parte dei giudici tributari delle risultanze istruttorie. La censura non involge, in realtà, un vizio di violazione (implicante un sindacato sulla interpretazione) o di falsa applicazione (implicante un sindacato sulla sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta) di norme di diritto (cfr. Cass. S.U. 7770/2009), ma una questione di merito, inerente l’identificazione e la ricostruzione della fattispecie concreta (la concreta modalità di svolgimento dell’attività professionale da parte del contribuente ai fini dell’assoggettabilità ad Irap), censurabile in sede di legittimità soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione.
L’ulteriore motivo sollevato dal ricorrente, implicante vizio ex art. 360 n. 5 c.p.c., nel prospettare l’utilizzo, da parte del contribuente, come risultante in via documentale, di collaboratori e dei locali relativi ad una società, di cui il S. era “amministratore e membro del consiglio di amministrazione”, soltanto in via occasionale e non continuativa, e l’omesso esame di tale profilo da parte dei giudici tributari, è, peraltro, infondato.
Invero, premesso che, come più volte chiarito da questa Corte (Cass. 36678/07, SS.UU. 12108/09, 10240/10, 21122/10), in tema di Irap, l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diversa dall’impresa commerciale costituisce, secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata fornita dalla Corte Costituzionaìe con la sentenza n. 156 del 2001, presupposto dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività autonomamente organizzata. Il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente che eserciti attivita di lavoro autonomo: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti le quantità che, secondo l’“id quod plerumque accidit”, costituiscono nell’attualità il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività anche in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. Costituisce onere del contribuente che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta dare la prova dell’assenza delle predette condizioni. Alla stregua di tali consolidati principi l’impiego non occasionale di lavoro altrui deve ritenersi di per sé integrativo del requisito dell’autonoma organizzazione; si veda, in particolare, Cass. 10151/10: “In tema di IRAP, il ricorso al lavoro di terzi per la fornitura di tutti i necessari servizi (dalla telefonia al segretariato) in forma rilevante e non occasionale, ma continuativa, integra il presupposto dell’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata, previsto dal D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, comma 1, non rilevando che la struttura posta a sostegno e potenziamento dell’attività professionale del contribuente sia fornita da personale dipendente o da un terzo in base ad un contratto di fornitura”.
Ora, la motivazione della decisione di appello risulta congrua e sufficientemente articolata, venendo ivi fatte delle affermazioni, in ordine alla asserita inesistenza dell’autonoma organizzazione, con riferimento agli elementi esaminati e presi in considerazione nel percorso decisionale (in particolare, il ricorso al lavoro di terzi collaboratori, con carattere di continuità, come risultante dai compensi versati, per diverse decine di migliaia di lire e di euro annuali, nel corso degli anni, con carattere sistematico). Per consolidato orientamento giurisprudenziale, “ricorre il vizio di omessa ‘ motivazione della sentenza, denunziabile in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio _ convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento” (Cass. n. 1756/2006, n. 890/2006).
Laddove poi il contribuente (sul quale gravava l’onere della prova dell’assenza delle condizioni indicate dalla giurisprudenza, trattandosi di istanza di rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta) lamenta, in ricorso, il mancato esame della documentazione prodotta in giudizio, il motivo è anche inammissibile, perché il ricorrente – a fronte dell’affermazione della sentenza gravata secondo cui “l’appellato non ha provato… quali siano stati i servizi prestati dalla società, producendo lo statuto della stessa e tutte le fatture emesse con l’indicazione delle relative prestazioni” – avrebbe dovuto indicare nel ricorso (e ivi trascriverle o riassumerle, in ossequio al principio di autosufficienza) le risultanze di causa, trascurate dal giudice di merito, idonee a dimostrare come egli non si avvalesse di collaboratori e consulenti. In difetto di tali indicazioni, il motivo di ricorso si risolve nella richiesta alla Corte di procedere ad una rivalutazione diretta delle risultanze istruttorie che non può trovare ingresso in sede di legittimità.
La Corte rigetta il ricorso.
Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, in conformità del D.M. 140/2012, attuativo della prescrizione contenuta nell’art. 9, comma 2°, d.l. 1/2012, convertito dalla l. 271/2012 (Cass. S.U. 17405/2012), seguono la soccombenza.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al rimborso delle spese processuali, liquidate in complessivi euro 2.000 a titolo di compensi, oltre spese prenotate a debito.
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