Corte di Cassazione sentenza n. 9043 del 25 febbraio 2013
REATI FISCALI – EVASIONE FISCALE – ASSENZA DI CONTABILITA’ REGOLARE – UTILIZZO DEL VERBALE DELLA GUARDIA DI FINANZA E DELL’ACCERTAMENTO INDUTTIVO – VALIDITA’ – SUSSISTENZA
massima
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Al giudice penale compete la determinazione dell’imposta evasa. A tal fine, quando le scritture contabili imposte dalla legge non siano state tenute o siano irregolari, possono essere legittimamente utilizzati i PVC redatti dalle Fiamme Gialle, oltre che l’accertamento induttivo. In tema di reati tributari, non può farsi ricorso alla presunzione tributaria di cui all’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 (per la quale tutti i versamenti sul conto corrente si considerano ricavi dell’azienda), in quanto spetta al giudice penale la determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, procedendo d’ufficio ai necessari accertamenti, eventualmente mediante il ricorso a presunzioni di fatto. In ogni caso, il giudice penale può utilizzare legittimamente i verbali di constatazione della Guardia di Finanza ai fini della determinazione dell’ammontare imposta evasa, nonché ricorrere all’accertamento induttivo di cui all’art. 39 del D.P.R. n. 600 del 1973 “quando le scritture contabili imposte dalla legge non siano state o siano state irregolarmente tenute. I delitti tributari, infatti, sono reati che comprendono nell’ambito della fattispecie astratta alcuni elementi appartenenti alla legislazione tributaria, che vanno recepiti senza che essi possano mutare significato e contenuto. A fronte di una contabilità irregolare il reddito evaso, per ovvie ragioni, non può essere ricavato in via meramente aritmetica, mentre gli indici presuntivi tributari consentono di risalire attraverso un ragionamento induttivo, dal particolare accertato al complessivo imponibile desunto da tali elementi di presunzione”. L’autonomia del processo penale rispetto al procedimento tributario non esclude che, ai fini della formazione del suo convincimento, il giudice penale possa avvalersi degli stessi elementi che determinano la presunzione secondo la disciplina tributaria, a condizione che gli stessi non siano assunti con l’efficacia di certezza legale, ma come dati processuali oggetto di libera valutazione ai fini probatori. “Ciò si è verificato nella fattispecie in esame, ove – a fronte di una contabilità societaria che la Guardia di Finanza ha considerato incompleta e non regolare – gli elementi indiziari sono stati tratti anche dalle movimentazioni sui conti correnti bancari intestati ai ricorrenti attraverso il ricorso a presunzioni di fatto sia pure valutate con i limiti propri del procedimento incidentale”. Il sequestro per equivalente va ammesso anche in relazione a beni intestati a un soggetto estraneo all’indagine, se si ritiene che l’intestazione sia fittizia e la proprietà effettiva faccia capo a chi è indagato. Nella fase cautelare, “l’intestazione fittizia deve palesarsi in termini non di certezza ma di qualificata probabilità”.
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RITENUTO IN FATTO
Il G.I.P. del Tribunale di Latina, con provvedimento del 19.12.2011, disponeva – ai sensi dell’art. 322-ter c.p. e dell’art. 1, comma 143, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Legge finanziaria 2008) – il sequestro “per equivalente” di beni immobili e mobili registrati appartenenti a R.G., R.I., C.A., M.R. e R.M., fino alla concorrenza dell’importo di euro 505.962,31, ritenendoli tutti nella disponibilità di R.G. e R.M. (rispettivamente amministratore di diritto e di fatto della s.r.l. E.C.) e correlando l’applicazione della misura a condotte illecite a questi ultimi contestate in relazione al delitto di cui all’art. 4 del D.Lgs. n. 74/2000 (dichiarazioni infedeli dirette ad evadere le imposte societarie sui redditi e sul valore aggiunto relative agli anni 2008 e 2009).
Sull’istanza di riesame avanzata nell’interesse dei due indagati e dei formali intestatari dei beni sequestrati, il Tribunale di Latina ha confermato il provvedimento di sequestro con ordinanza del 19 gennaio 2012.
Avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame hanno proposto ricorso congiunto per cassazione i difensori degli indagati e dei formali intestatari dei beni, i quali hanno eccepito:
– la inconfigurabilltà del fumus del reato ipotizzato, che sarebbe stato riconnesso soltanto all’accertamento induttivo della Guardia di Finanza, così utilizzandosi illegittimamente in ambito penale la presunzione tributaria di cui all’art. 32 del D.P.R. n. 600/1973 in una vicenda nella quale non sarebbe emersa (irregolare tenuta della contabilità. Gli interessati, in ogni caso, avrebbero fornito una prova idonea a vincere la presunzione tributaria, seppure con i limiti probatori propri della fase cautelare, dimostrando la provenienza della ricchezza sequestrata dalla vendita di beni di famiglia;
– la illegittimità del sequestro dei beni personali di soggetti terzi in carenza della dimostrazione che quei beni fossero nella disponibilità dei due indagati ed oggetto di intestazioni fittizie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere rigettato, perché infondato.
2. I giudici del riesame – a giudizio del Collegio – correttamente hanno ravvisato la sussistenza del fumus delicti del reato di cui all’art. 4 del D.Lgs. n. 74 del 2000 (dichiarazione infedele), valutando gli accertamenti effettuati dalla Guardia di Finanza e tenendo compiutamente conto delle contrarle deduzioni difensive.
Secondo gli accertamenti fiscali dementi attivi per un ammontare di gran lunga inferiore a quello effettivo sono stati indicati nelle dichiarazioni prodotte dalla s.r.l. “E.C.” ai fini delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto (con superamento congiunto delle soglie di punibilità già poste dallo stesso art. 4 anteriormente alle modifiche aggravatrici ad esso apportate dalla legge 14.9.2011, n. 148).
3. La verifica fiscale risulta correlata alle seguenti emergenze fattuali e considerazioni:
– G.R. è amministratore di diritto e rappresentante legale della s.r.l. “E.C.”; egli non ha altre fonti di reddito se non quella riferibile all’attività della società.
– M.R., che di fatto ha gestito la società, è il padre di G.: egli non risulta avere fonti di reddito lecite e, per gli anni 2008 e 2009, non ha presentato alcuna dichiarazione del redditi; tuttavia ha conti correnti bancari intestati alla sua persona ed ha introitato due bonifici effettuati dal figlio per i rispettivi importi di euro 40.000,00 e 92.740,52.
– E.R. è figlia di M. e sorella di G.: ha percepito un modesto stipendio erogatole dal Comune di Terracina, ma risulta intestataria di numerosi veicoli, anche di grossa cilindrata, acquistati tra il 2005 e il 2010; è delegata ad operare sui conti correnti della s.r.l. “E.C.”, su quelli del fratello e del padre e su un conto corrente intestato alla cooperativa sodale “Mare”, costituita nel marzo 2011 al solo fine di acquistare il ramo d’azienda della “E.C.” preposto allo svolgimento dell’attività di costruzione, manutenzione e ristrutturazione di edifici civili ed industriali.
– R.M. è convivente di M.R.: ha beneficiato di bonifici eseguiti in suo favore da G. ed è priva di capacità contributiva nonostante abbia propri conti correnti bancari e risulti proprietaria di un’autovettura di grossa cilindrata acquistata nel 2010, di due unità immobiliari nel Comune di Terracina, acquistate nell’aprile del 2009, e di due terreni acquistati nel 2010 e nel 2011; è la rappresentante legale della cooperativa sociale “Mare” che ha acquistato il ramo d’azienda della “E.C.” dianzi indicato con sostanziale finalità liquidatoria della “E.C.”.
– A.C. negli anni 2008 e 2009 non ha dichiarato alcun reddito. Ella però, nel 2008, ha acquistato due unità immobiliari in Latina ed altra unità immobiliare nonché un terreno in Terracina. Aveva la delega ad operare su un conto corrente intestato a G.R., dal quale nel gennaio del 2008 sono stati tratti in suo favore due bonifici di euro 5.000,00 ciascuno. Documenti e visure catastali relative alle unità immobiliari acquistate in Latina sono stati rinvenuti presso la sede della “E.C.” e presso detta sede veniva anche spedita la corrispondenza condominiale.
La Guardia di Finanza ha considerato che i soggetti anzidetti sostanzialmente non avevano fonti di reddito diverse ed ulteriori rispetto a quelle costituite dai proventi della società “E.C.”.
Ha ritenuto, pertanto, che le somme di denaro transitate sui conti correnti ad essi intestati provenissero dalla società in verifica e costituissero ricavi di quest’ultima, sicché per la ricostruzione dell’attivo societario ha conteggiato anche gli accrediti e gli addebiti registrati sui rispettivi conti personali e privi di giustificazione contabile (oltre a quelli riferiti al conti correnti della società), senza tenere conto delle cd. “operazioni neutre” (quali giroconti, interessi, bolli ed in generale operazioni costituenti meri spostamenti finanziari non comportanti variazione reale della disponibilità economica).
Ai fini del computo ha utilizzato, in sostanza, la presunzione tributarla di cui all’art. 32, 1° comma, n. 2, del D.P.R. n. 600/1973.
4. La giurisprudenza di questa Corte – con riferimento alla configurabilità del reato di cui all’art. 4 del D.Lgs. n. 74/2000 ed alla individuazione della relativa soglia di punibilità – ha affermato che:
– per imposta evasa deve intendersi l’intero tributo effettivamente dovuto, che va correlato al risultato economico conseguito e deve essere determinato – sulla base delle risultanze probatorie acquisite nel processo penale – dalla contrapposizione dei ricavi e dei costi d’esercizio fiscalmente detraibili, in una prospettiva di prevalenza del dato fattuale reale rispetto ai criteri di natura meramente formali che caratterizzano l’ordinamento tributario.
In particolare – secondo Cass.: 27.9.2010, n. 34871 e 28.5.2008, n. 21213 – “incombe esclusivamente sul giudice penale il compito di procedere, al fine di verificare l’avvenuto o meno superamento della soglia di punibilità, all’accertamento e quindi alla determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, attraverso una verifica che può venire a sovrapporsi ed anche entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario, non essendo configurabile alcuna pregiudiziale tributaria”;
– in tema di reati tributari, non può farsi ricorso alla presunzione tributaria secondo cui tutti gli accrediti registrati sul conto corrente si considerano ricavi dell’azienda (art. 32, 1° comma, del D.P.R. n. 600/1973), in quanto spetta al giudice penale la determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa procedendo d’ufficio al necessari accertamenti, eventualmente mediante il ricorso a presunzioni di fatto (vedi Cass.: 6.2.2009, n. 5490 e 4.10.2011, n. 35858);
– il giudice penale, comunque, può utilizzare legittimamente i verbali di constatazione redatti dalla Guardia di Finanza ai fini della determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, nonché ricorrere all’accertamento induttivo di cui all’art. 39 del D.P.R. n. 600/1973 quando le scritture contabili imposte dalla legge non siano state tenute o siano state irregolarmente tenute. I delitti tributari, infatti, sono reati che comprendono nell’ambito della fattispecie astratta alcuni elementi appartenenti alla legislazione tributaria, che vanno recepiti senza che essi possano mutare significato e contenuto. A fronte di una contabilità irregolare il reddito evaso, per ovvie ragioni, non può essere ricavato in via meramente aritmetica, mentre gli indici presuntivi tributari consentono di risalire, attraverso un ragionamento induttivo, dal particolare accertato al complessivo imponibile desunto da tali elementi di presunzione (vedi Cass., 15.7.2011, n. 28053).
4.1 Tenuto conto degli anzidetti orientamenti giurisprudenziali, il Collegio ribadisce il principio (già affermato da Cass., Sez. III, 28.6.2012, Zedda) secondo il quale l’autonomia del procedimento penale rispetto a quello tributario non esclude che, ai fini della formazione del suo convincimento, il giudice penale possa avvalersi degli stessi elementi che determinano presunzioni secondo la disciplina tributaria, a condizione che gli stessi siano assunti non con l’efficacia di certezza legale, ma come dati processuali oggetto di libera valutazione ai fini probatori.
Ciò si è verificato nella fattispecie in esame, ove – a fronte di una contabilità societaria che la Guardia di Finanza ha considerato incompleta e non regolare – gli elementi indiziari sono stati tratti anche dalle movimentazioni sui conti correnti bancari intestati al ricorrenti attraverso il ricorso a presunzioni di fatto sia pure valutate con i limiti propri del procedimento incidentale.
5. Quanto poi al secondo motivo di ricorso, ribadisce il Collegio l’orientamento già espresso da questa Corte, secondo il quale deve sicuramente ammettersi la possibilità di sottoporre a sequestro “per equivalente” beni formalmente intestati ad un soggetto al quale non sono mossi addebiti in quanto si ritenga che l’intestazione sia fittizia e la proprietà effettiva faccia capo piuttosto a chi è indagato.
In questi casi, nella fase cautelare del sequestro, l’intestazione fittizia deve palesarsi in termini non di certezza ma di qualificata probabilità (vedi Cass., Sez. V, 20.12.2000, Butti).
Una siffatta valutazione deve ritenersi essere stata sufficientemente effettuata nella fattispecie in esame, ove il Tribunale ha illustrato, con riguardo alle posizioni dei singoli soggetti considerati, gli elementi indiziari ritenuti idonei [pur sempre allo stato attuale delle indagini] a configurare la riconducibilltà alla s.r.l. “E.C.” di beni aventi una diversa intestazione formale.
La difesa ha fatto riferimento a tre vendite immobiliari effettuate da G.R. negli anni 2005, 2007 e 2008, assumendo che quegli avesse conseguentemente effettuato donazioni in danaro al propri congiunti: il Tribunale, però, ha rilevato che di tali donazioni non è stata rinvenuta alcuna traccia documentale ed un quadro dimostrativo più consistente neppure è stato delineato in ricorso.
6. Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
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