Corte di Cassazione sentenza n. 9078 del 15 aprile 2013
PREVIDENZA – ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO E LE MALATTIE PROFESSIONALI – MALATTIE PROFESSIONALI – SILICOSI ED ASBESTOSI – PREMIO SUPPLEMENTARE – RISCHIO DI ESPOSIZIONE DEI LAVORATORI AD INALAZIONI DI SILICE LIBERA O DI AMIANTO – ACCERTAMENTO – AMBIENTE DI LAVORO
massima
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Al fine della debenza del premio supplementare di cui all’art. 153, comma 1, del D.P.R. n. 1124/1965, come sostituito dalla L. n. 780 del 1975, art. 10, il rischio di esposizione dei lavoratori ad inalazioni di silice libera o di amianto va accertato in concreto con riferimento all’ambiente in cui viene espletata l’attività lavorativa, a prescindere dagli effetti dell’utilizzo dei necessari dispositivi di protezione individuale.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
S.M., titolare di un’impresa individuale esercente attività di sabbiatura di materiali metallici e di edifici, propose opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti ad istanza dell’Inail per il pagamento di quanto dovuto ai sensi dell’art. 153 D.P.R. n. 1124/65.
Radicatosi il contraddittorio, il Giudice adito, previo espletamento di CTU, accolse l’opposizione.
Con sentenza del 28.2-20.12.2006 la Corte d’Appello di Bologna, espletata una nuova CTU, rigettò il gravame svolto dall’Inail, osservando, per ciò che qui rileva, quanto segue:
– in base al disposto dell’art. 153 D.P.R. n. 1124/65, come modificato dall’art. 10 legge n. 780/75, il lavoratore è tutelato, sulla base della presunzione di origine professionale della silicosi ed asbestosi, quando vi sia stata esposizione al rischio in qualsiasi misura, anche minima, per il principio della variabilità della risposta individuale;
– i datori di lavoro sono tenuti al pagamento del premio aggiuntivo per la silicosi ed asbestosi solo quando vi sia rischio effettivo e, cioè, soltanto se risulti accertato in concreto che, a causa dell’effettuazione delle lavorazioni tabellate, si verifichi nell’ambiente di lavoro una dispersione di silice libera o di amianto in concentrazione non inferiore a quella normalmente idonea a determinare, per il personale addetto, il rischio effettivo (e non già presunto) di contrarre la silicosi o l’asbestosi;
– conformemente a quanto ritenuto dal primo Giudice, doveva ritenersi l’insussistenza nel caso di specie dell’obbligo di pagamento del premio supplementare, attesa l’idoneità delle misure di prevenzione adottate;
– infatti, secondo quanto accertato dal CTU, all’interno degli scafandri, utilizzati dalla ditta S.M. per le operazioni di sabbiatura, l’esposizione a silice libera è da considerare “estremamente limitata, tale da non ritenersi associata, allo stato attuale delle conoscenze, ad un apprezzabile rischio di silicosi”; soltanto in caso di danneggiamento o di usura, con conseguente perdita di integrità del suddetto dispositivo di sicurezza, l’esposizione a silice cristallina “potrebbe risultare non trascurabile”, con conseguente obbligo del datore di lavoro.
Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, l’Inail ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi.
L’intimato S.M. ha resistito con controricorso, illustrato con memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di plurime disposizioni di legge (art. 153 D.P.R. n. 1124/65; artt. 40 e 41 D.Lgs. n. 624/94), deducendo che erroneamente la Corte territoriale aveva individuato quale ambiente di lavoro l’ambito spaziale all’interno dello scafandro, costituente invece un dispositivo di protezione individuale, nel mentre il rischio di esposizione avrebbe dovuto essere valutato in relazione all’ambiente esterno e senza tener conto di tale dispositivo.
A conclusione del motivo è stato formulato il seguente quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. (applicabile ratione temporis nel presente giudizio): “Dica la Suprema Corte se ai fini della corresponsione del premio supplementare previsto dall’art. 153 del D.P.R. 30 giugno n. 1124 per l’esposizione ad inalazioni di silice libera o di amianto, occorra considerare “ambiente di lavoro” solo lo spazio interno di un “Dispositivo di Protezione Individuale” o anche la spazio esterno al Dispositivo medesimo?”
Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando vizio di motivazione, deduce che la Corte territoriale, affermando che nel caso di specie il rischio concreto non sussiste a meno che non vi sia danneggiamento o usura del dispositivo di protezione, aveva riconosciuto che lo scafandro è un dispositivo di protezione personale e non una misura di prevenzione, ammettendo con ciò che, fuori dello scafandro, vi era un rischio effettivo.
2. I due motivi, tra loro connessi, possono essere esaminati congiuntamente.
Deve anzitutto rilevarsi che, contrariamente all’assunto del controricorrente, il quesito di diritto, siccome formulato, non configura una questione di fatto, prospettando invece, in forma problematica, l’enunciazione della regula iuris che deve essere tenuta presente al fine di individuare l’ambito di rilevazione del rischio.
3. L’art. 153, comma 1, D.P.R. n. 1124/65, come sostituito dall’art. 10 legge n. 780/75 (“I datori di lavoro, che svolgono lavorazioni previste nella tabella allegato n. 8, sono tenuti a corrispondere un premio supplementare, fissato in relazione all’incidenza dei salari specifici riflettenti gli operai esposti ad inalazioni di silice libera o di amianto in concentrazione tale da determinare il rischio, sul complesso delle mercedi erogate a tutti gli operai dello stesso stabilimento, opificio, cantiere ecc.”), non fa espresso richiamo all’ambiente di lavoro, ma la riferibilità del rischio al contesto spaziale in cui si svolge l’attività lavorativa è elemento da ritenersi insito nel concetto di esposizione alle inalazioni delle sostanze considerate, non potendosi avere esposizione se non in relazione ad un luogo in cui dette sostanze siano presenti.
Proprio in relazione alla disciplina dell’art. 153 D.P.R. n. 1124/65 la giurisprudenza di questa Corte ha fatto reiteratamente riferimento al “rischio ambientale” (cfr. ex plurimis, Cass., SU, n. 13025/2006; Cass., n. 15865/2003; n, 6602/2005), specificando che il premio supplementare è dovuto qualora risulti accertato in concreto che, a causa dell’effettuazione delle lavorazioni tabellate, si verifichi nell’ambiente di lavoro una dispersione di silice libera o di amianto in concentrazione non inferiore a quella normalmente idonea a determinare, per il personale addetto, il rischio effettivo (e non già presunto) di contrarre la silicosi o l’asbestosi (cfr. Cass., n. 8970/1991).
Nel caso di specie è pacifico che l’attività espletata dall’impresa consiste nella sabbiatura di materiali metallici e di edifici, onde l’ambiente di lavoro deve necessariamente essere riferito all’ambito spaziale in cui tale attività viene espletata e, pertanto, all’esterno degli scafandri utilizzati dai lavoratori.
A mente dell’art. 74, comma 1, D.Lgs. n. 81/80 “Si intende per dispositivo di protezione individuale, di seguito denominato “DPI”, qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonché ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo” e il successivo art. 75 prevede che “I DPI devono essere impiegati quando i rischi non possono essere evitati o sufficientemente ridotti da misure tecniche di prevenzione, da mezzi di protezione collettiva, da misure, metodi o procedimenti di riorganizzazione del lavoro” (analoghe erano le disposizioni dettate dagli artt. 40, comma 1, e 41 D.Lgs. n. 626/94, oggi abrogato); lo scafandro, contrariamente a quanto ritenuto dal controricorrente, va quindi ricompreso fra i dispositivi di protezione individuale e la circostanza dedotta, secondo cui senza il suo utilizzo non sarebbe possibile effettuare la lavorazione, anche per il rischio che l’operatore venga colpito dalle particelle staccate con l’operazione di sabbiatura, non incide sulla sua qualificazione giuridica, costituendo unicamente indice dell’indispensabilità dell’uso di tale attrezzatura (del che sono riprova le considerazioni del CTU, richiamate nella sentenza impugnata, in ordine agli effetti negativi conseguenti all’eventuale deterioramento del dispositivo). Erroneamente dunque la Corte territoriale, al fine di accertare la sussistenza del rischio e, quindi, la debenza o meno del premio supplementare, ha indirizzato la sua indagine alla valutazione delle condizioni esistenti all’interno dello scafandro utilizzato dai lavoratori, piuttosto che all’ambito spaziale in cui l’attività lavorativa era esercitata.
I motivi all’esame sono quindi fondati.
4. Il ricorso va pertanto accolto, affermando il seguente principio di diritto: “Al fine della debenza del premio supplementare di cui all’art. 153, comma 1, D.P.R. n. 1124/65, come sostituito dall’art. 10 legge n. 780/75, il rischio di esposizione dei lavoratori ad inalazioni di silice libera o di amianto va accertato in concreto con riferimento all’ambiente in cui viene espletata l’attività lavorativa, a prescindere dagli effetti dell’utilizzo dei necessari dispositivi di protezione individuale”.
La sentenza va quindi cassata, con rinvio al Giudice designato in dispositivo, che procederà a nuovo esame conformandosi al suddetto principio di diritto e provvedere altresì sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Firenze.
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