Corte di Cassazione sentenza n. 920 del 13 gennaio 2012
PROCESSO PENALE – SOVRAFATTURA PROVA NECESSARIA
massima
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La sovrafatturazione della prestazione deve essere concretamente provata, e non ci si può limitare a sostenere che il suo valore è eccessivo rispetto ai prezzi di mercato; è necessario provare soprattutto che essa sia stata mirata a costruire elementi passivi fittizi da parte del contribuente che l’ha ricevuta. La fattura non può dirsi gonfiata e quindi non sussistono i presupposti per il sequestro dei conti dell’azienda nel caso di esosità della parcella. Integra il reato di cui all’art. 2, comma primo, del D.Lgs. n. 74 del 2000, e non già la diversa fattispecie di cui all’art. 3, l’utilizzo, ai fini dell’indicazione di elementi passivi fittizi, di fatture false non solo sotto il profilo ideologico, in riferimento alle operazioni inesistenti ivi indicate, ma anche sotto il profilo materiale, perché apparentemente emesse da ditta in realtà inesistente”.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con decreto del 14 marzo 2011 il G.i.p. Presso il Tribunale di Trieste accoglieva la richiesta del Pubblico Ministero e disponeva a carico degli indagati B.G. e B.F. il sequestro preventivo di somme pari ad Euro 74.079,00 e di Euro 104.609,00 sui conti intestati o cointestati ad essi medesimi ravvisando il fumus delicti del reato contemplato del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, (inserimento nella dichiarazione dei redditi di componenti negative di reddito attraverso l’utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti).
Nell’ordinanza si dava atto che le fatture rilasciate da G. M. alla ditta A.B. & C. snc apparivano gonfiate in quanto il costo fatturato della prestazione, laddove fosse stata eseguita, sopravanzava il costo reale della medesima.
2. Avverso il decreto di sequestro il difensore proponeva impugnazione in particolare deducendo l’insussistenza del fumus delicti e le evidenziando che la prestazione di natura intellettuale richiesta dai B. al G. sfuggiva ad una rigida valutazione di congruità e non poteva perciò essere confrontata con i costi di mercato. Le somme contestate erano poi effettivamente transitate per cassa dai B. al G., il quale aveva regolarmente svolto la sua attività di consulente informatico catturando il compenso a lui spettante.
Il tribunale di Trieste con ordinanza del 7 aprile 2011-8 aprile 2011 accoglieva il ricorso e annullava l’ordinanza impugnata disponendo di dissequestro delle somme suddette.
3. Avverso questa pronuncia il procuratore della Repubblica presso il Trieste propone ricorso per cassazione con due motivi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il ricorso, articolato in due motivi, il procuratore della Repubblica ricorrente denuncia la errata applicazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 1, lett. a). Deduce in particolare che il tribunale ha errato in quanto ha ritenuto che l’ipotesi delle cosiddette fatture gonfiate non sia assumibile nella fattispecie del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2. Infatti la nozione di fattura per operazioni inesistente comprende anche l’ipotesi della cosiddetta sovrafatturazione.
2. Il ricorso è infondato.
Va considerato che in diritto la tesi del procuratore della Repubblica ricorrente è corretta avendo questa corte (Cass., sez. 3ª, 9 febbraio 2011 – 10 marzo 2011, n. 9673) ha affermato – e qui ribadisce – che integra il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, comma 1, e non già la diversa fattispecie di cui all’art. 3, l’utilizzo, ai fini dell’indicazione di elementi passivi fittizi, di fatture false non solo sotto il profilo ideologico, in riferimento alle operazioni inesistenti ivi indicate, ma anche sotto il profilo materiale, perché apparentemente emesse da ditta in realtà inesistente.
Nella specie però il tribunale di Trieste, con motivazione sufficiente e non contraddittoria, ha ritenuto in punto di fatto che la prestazione di servizi, di cui si dibatte, è effettivamente stata resa dal percettore della somma fatturata in favore degli indagati, titolari della ditta A.B. & C. s.n.c. per la realizzazione di un sito Internet in favore della società. Il tribunale ha anche espresso riserve sulla congruità del compenso corrisposto al professionista che tale sito Internet aveva realizzato, ritenendo in sostanza l’esosità dello stesso. Però ha anche affermato che non vi sono sufficienti e gravi indizi per ritenere una sovrafatturazione mirata a costituire elementi passivi fittizi per la società.
È questa una valutazione di merito non censurabile in sede di legittimità essendo l’ordinanza del tribunale impugnabile soltanto per vizio di violazione di legge.
Va ribadito in proposito quanto più volte affermato da questa corte (ex plurimis Cass., sez. 2ª, 25 febbraio 2009, n. 8587) secondo cui in materia di misure cautelari reali, e segnatamente di sequestro preventivo, non è consentito in sede di legittimità verificare la sussistenza del fatto-reato ma, solo accertare se il fatto contestato è configurabile come fattispecie astratta del reato nei termini di sommarietà tipici della fase delle indagini preliminari, potendo essere proposto ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 325 c.p.p., comma 1, solo per violazione di legge. Cfr. anche Cass., sez. 5ª, 13 ottobre 2009, n. 43068, che parimenti che ha affermato che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice.
3. Pertanto il ricorso va rigettato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
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