Corte di Cassazione sentenza n. 9454 del 27 febbraio 2013
SICUREZZA SUL LAVORO – INFORTUNIO SUL LAVORO – OMISSIONE DI UN SISTEMA DI RITENUTA O PROTEZIONE CONTRO LE CADUTE AL SUOLO – RESPONSABILITA’ DI UN RSPP E DEL DATORE DI LAVORO – MISURE DI PREVENZIONE E DI SICUREZZA
massima
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Vi è la responsabilità del RSPP e del datore di lavoro per l’infortunio occorso al lavoratore, che scivolava mentre tentava di salire sul ponteggio, in ragione dell’assenza di appigli (parapetti) all’ultimo piano (piano di lavoro); in tal modo cadeva al suolo e riportava in seguito alla caduta lesioni personali gravi (frattura femorale pertocanterica chiusa del femore), nonché l’indebolimento permanente dell’organo della deambulazione. Tutto ciò per colpa consistente in negligenza, imprudenza, imperizia e violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro dei due imputati, in quanto avevano lasciato che il ponte mobile fosse privo di scale interne ovvero di altri sistemi di ritenuta contro le cadute al suolo.
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FATTO
Con sentenza del 28/6/2011 la Corte d’Appello di Bologna, concedendo la non menzione al secondo imputato, confermava nel resto la sentenza con la quale il Tribunale di Bologna aveva ritenuto M.A. e G.A. (tratti a giudizio insieme con due altri coimputati in seguito assolti) colpevoli del reato di cui all’art. 590 c.p.p., comma 1, 2 e 3 c.p., commesso il Omissis, poiché, in qualità, rispettivamente, di responsabile tecnico aziendale della O. s.r.l. e di rappresentante della ditta Go.Ge.Frin., per colpa consistente in negligenza, imprudenza imperizia e violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, cagionavano lesioni personali gravi (frattura femorale pertocanterica chiusa del femore), dalle quali derivava una malattia con durata superiore ai quaranta giorni, al lavoratore N.M.B.N., nonché l’indebolimento permanente dell’organo della deambulazione. In particolare, perché omettevano di dotare il predetto di alcun sistema di ritenuta o protezione contro le cadute al suolo, mentre era intento ad effettuare la riparazione di un buco presente in un muro e si trovava sopra un ponteggio mobile con ruote all’altezza di quattro o cinque metri, omettendo, altresì, di vigilare sulla esecuzione dei lavori in regime di sicurezza. I predetti, con la concessione delle attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, erano condannati alla pena di mesi due di reclusione ciascuno, oltre al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile, in favore della quale veniva liquidata una provvisionale di Euro 15.000,00.
In fatto era accaduto che il lavoratore, il quale operava presso lo stabilimento Co.Ge.Frin. S.p.a. nel cantiere della ditta O. s.r.l., alle dipendenze di quest’ultima, scivolava mentre tentava di salire sul ponteggio, in ragione dell’assenza di appigli (parapetti) all’ultimo piano (piano di lavoro), in tal modo rovinando al suolo e riportando in seguito alla caduta le sopradescritte lesioni, essendo, altresì, il ponte mobile privo di scale interne ovvero di altri sistemi di ritenuta contro le cadute al suolo.
Avverso la sentenza proponevano ricorso per cassazione entrambi gli imputati. M.A. deduceva, con unico motivo, erronea applicazione di legge (art. 606 c.p.p., lett. b) in relazione al D.Lgs. n. 626/1994, artt. 21 e 22. Osservava che non le poteva essere imputato alcun rimprovero fondato sulla posizione da lei rivestita di direttore del servizio di prevenzione e protezione e di direttore tecnico riguardo all’omessa cura di adeguata informazione e formazione del lavoratore in merito agli apprestamenti di difesa da utilizzarsi per accedere al ponteggio e all’omessa vigilanza sull’uso delle attrezzature. Sotto il primo profilo, pur muovendo dal presupposto normativo che il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione ha il compito ex lege di valutare i rischi connessi alle attività lavorative e le misure di sicurezza necessarie a fronteggiarli, nonché, ai sensi del D.Lgs. n. 494/1996, art. 9, di fornire ai lavoratori le informazioni ex art. 21 del medesimo decreto, rilevava che, in ogni caso, gli obblighi in questione concernevano esclusivamente i lavoratori che necessitavano di formazione rispetto all’attività ed alle lavorazioni agli stessi affidate dal datori di lavoro, senza che tale compito potesse ritenersi esteso alle diverse operazioni in concreto eseguite, come pacificamente avvenuto nel caso di specie. Osservava, altresì, che l’infortunio era occorso ad un soggetto non del tutto privo di esperienze professionali specifiche pregresse. Rilevava che l’addebito di responsabilità nei suoi confronti non poteva neppure essere riferito alla qualità di direttore tecnico di cantiere. Pur condividendo l’assunto in forza del quale “il direttore tecnico di cantiere rientra tra le figure tipiche titolari di autonoma posizione di garanzia in quanto destinatario dell’obbligo di dare attuazione alla normativa in tema di sicurezza sul lavoro”, osservava che l’Infortunio era avvenuto quando le lavorazioni di competenza di O. s.p.a. si erano già esaurite e in esecuzione di un compito affidato alla persona offesa non già dal datore di lavoro, ma da soggetto (il G.) che aveva violato le disposizioni del piano di coordinamento per la sicurezza, le quali prevedono che il direttore dei lavori si rapporti non al singolo lavoratore ma al direttore di cantiere della ditta alle cui dipendenze lavora il soggetto. Il G., a sua volta, deduceva la violazione dell’art. 41 cpv. artt. 42, 43, 590 c.p. in relazione all’art. 606 c.p.p. lett. B) e la carenza di motivazione della sentenza in relazione all’art. 606 c.p.p., lett. e). Osservava che non era configurabile un suo obbligo giuridico di impedire l’evento rilevante ex art. 40 c.p., dato che egli non era ne imprenditore, né direttore dei lavori, né responsabile tecnico e che il suo ruolo di coordinatore delle imprese operanti sul cantiere escludeva una qualsiasi sua situazione giuridicamente rilevante come posizione di garanzia, tanto più che il cantiere aveva una struttura giuridico-organizzativa congrua per quanto attiene alla sicurezza, sulla quale vi era fondata ragione di fare affidamento, né la disposizione alla parte offesa di effettuare il banale lavoro di cui era stata incaricata era tale da determinare in lui il ruolo di garante della sicurezza del lavoratore.
Osservava, inoltre, che non gli era attribuibile alcuna violazione di norme cautelari, talché era da escludere l’elemento obbiettivo della colpa: essendo quella compiuta dal lavoratore operazione estremamente semplice da eseguirsi con utilizzazione di un usuale strumento, non era configurabile una regola cautelare che imponesse a chi ha disposto il lavoro di seguirne de visu l’esecuzione.
Rilevava, infine, la carenza dell’elemento subiettivo della colpa, stante la sua legittima aspettativa di rivolgersi ad un muratore mediamente capace, adeguatamente addestrato e dotato di strumenti antinfortunistici, elementi tutti sui quali egli aveva ragione di fare affidamento, trattandosi, tra l’altro, di operazione compatibile con la qualifica dell’operaio.
Con il secondo motivo rilevava la violazione dell’art. 69 c.p., nonché la carenza e contraddittorietà di motivazione in ordine al giudizio di prevalenza delle concesse attenuanti generiche rispetto alla contestata aggravante (art. 606 c.p.p., lett. e)). Osservava che la corte di merito a tal riguardo non aveva tenuto conto del comportamento tenuto dall’imputato, che non si era sottratto al dovere di offrire un contributo per l’esauriente ricostruzione del fatto, si era adoperato per coordinare l’Intervento di soccorso dell’infortunato, aveva risarcito il danno.
Con il terzo motivo deduceva nullità della sentenza per mancanza e contraddittorietà di motivazione in punto di mancata conversione della pena detentiva infinta.
DIRITTO
Va preliminarmente rilevato che il reato è estinto per prescrizione.
Trattasi, infatti, di delitto commesso il 13/4/2004, per il quale il termine prescrizionale si è compiuto il 13/2/2012, avuto riguardo alla previsione di cui all’art. 157 c.p., all’aumento dovuto a interruzione nella misura di 1^ previsto dall’art. 161 c.p.p., comma 2 (per un complessivo periodo di sei anni e mezzo), nonché alla intervenuta sospensione del termine per la durata di 60 giorni a seguito di legittimo impedimento.
Non ricorrendo, pertanto, per un verso elementi attestanti con evidenza la mancata colpevolezza degli imputati, e, per altro verso, la radicale inammissibilità dell’impugnazione, deve disporsi l’annullamento senza rinvio della sentenza relativamente alle statuizioni penali, con dichiarazione della predetta causa di estinzione del reato, restando assorbiti nella pronuncia i motivi di ricorso formulati dal G. in via subordinata, pure attinenti a dette statuizioni. Tanto premesso, ai fini della decisione in ordine alle statuizioni civili correlate alla sentenza devono in ogni caso essere valutate le doglianze di cui ai motivi d’impugnazione.
Rileva la Corte che i ricorsi proposti dagli imputati risultano infondati. Specificamente, per quanto riguarda la doglianza avanzata dalla M., non è ravvisabile la dedotta violazione di legge.
Va premesso che, secondo l’assunto contenuto in sentenza, rimasto incontroverso, “era provato che il lavoratore aveva utilizzato un ponte mobile non conforme ai requisiti di sicurezza previsti dalla legge (mancava un sistema di blocco delle ruote) e lo aveva utilizzato in modo improprio (salendo dall’esterno anziché dall’interno), senza essere stato informato dei rischi specifici connessi né sulle corrette modalità di utilizzo”. Ciò posto, correttamente la responsabilità della M. viene ravvisata, stante la duplice qualità della predetta e l’accertata proprietà in capo alla O. s.r.l. del trabattello privo dei necessari requisiti di sicurezza e necessitante per l’uso d’imbragatura e ancoraggio ogni due piani, nella omissione da parte sua, nella veste di direttore tecnico della predetta società, di adeguata informazione e formazione riguardo all’uso dei mezzi di salvaguardia da utilizzare da parte dei lavoratori propri dipendenti per accedere al ponteggio, oltre che nell’omessa vigilanza sull’uso di attrezzature richiedenti particolari modalità di accesso dall’interno.
Non può, infatti, disconoscersi la fondatezza del rilievo in forza del quale, secondo quanto affermato dai giudici di merito, erano esigibili nei confronti della ricorrente gli obblighi di prevenzione di legge, giacché, unendo ella la funzione di direttore tecnico e di responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, non era realistica l’ipotesi che lo stato del trabattello non le fosse noto, e, al contempo, per aver appaltato tutte le opere murarie, rientrava nei compiti della D. s.r.l. la stuccatura dei muri nel soffitto (attività in esecuzione della quale il lavoratore era incorso nell’infortunio), anche se i lavori erano terminati e il lavoratore era li presente per sgomberare il cantiere.
Quanto alla posizione del G., non può disconoscersi la sua responsabilità, posto che la sentenza di merito, con argomentazione logica e congrua, ha posto in luce la posizione di garanzia che deriva dall’aver dato al lavoratore un ordine diretto, anomalo e non consentito (come accertato nella sentenza di primo grado), pur possedendo in ragione del ruolo svolto le competenze, tecniche e di esperienza, per rendersi conto della pericolosità del trabattello, senza peraltro fornire istruzioni adeguate e sorvegliare il lavoro in quota (circostanza di cui si da atto a pg 19 della sentenza d’appello).
Nessuna violazione di legge o vizio motivazionale sono, pertanto, riscontrabili in punto di affermazione della responsabilità dell’imputato.
Tutte le ragioni esposte inducono alla conferma le statuizioni della sentenza concernenti gli interessi civili.
P.Q.M.
La Corte:
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione; conferma le disposizioni della sentenza che concernono gli interessi civili.
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