Corte di Cassazione sentenza n. 9491 del 27 febbraio 2013
SICUREZZA SUL LAVORO – INFORTUNIO SUL LAVORO – DIRIGENTE E PREPOSTO – RIBALTAMENTO DI UN ESCAVATORE INIDONEO – RESPONSABILITA’ DI UN PREPOSTO
massima
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Vi è la responsabilità del preposto, in quanto sovraintende alle attività, attua le direttive ricevute controllandone l’esecuzione, sulla base e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico. Nel caso di specie, le condotte attribuite all’imputato-preposto si attagliano, appunto, a tale ruolo. Dunque, correttamente si è ritenuto che sull’imputato incombesse l’obbligo di cautelare il rischio di ribaltamento, inibendo l’uso di un veicolo del tutto inadatto allo stato dei luoghi.
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FATTO – DIRITTO
1. Il Tribunale di Cosenza ha affermato la responsabilità dell’imputato in epigrafe in ordine al reato di omicidio colposo con violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro in danno di C.F.; e lo ha altresì condannato al risarcimento del danno nei confronti della parte civile. La sentenza è stata confermata dalla Corte d’appello di Catanzaro.
Secondo quanto ritenuto dei giudici di merito, il lavoratore stava eseguendo lo sradicamento di canne presenti in una scarpata utilizzando un escavatore che si ribaltava, cagionandogli lesioni letali. La macchina era del tutto inidonea a lavorare in un sito con elevatissima pendenza e ciò ha determinato il ribaltamento. Di qui l’addebito colposo nei confronti dell’imputato che rivestiva il ruolo di preposto della ditta E. che eseguiva il lavoro in un terreno attiguo alla sede dell’azienda.
2. Ricorre per cassazione l’imputato deducendo due motivi.
2.1 Con il primo motivo si argomenta che in modo indimostrato si è ritenuto che l’imputato abbia telefonicamente commissionato alla vittima l’esecuzione dei lavori. Da nessun atto del procedimento emergono indizi in tal senso.
2.2 Con il secondo motivo si prospetta che altrettanto erroneamente si è ritenuto che l’imputato, sebbene rivestisse la qualifica di lavoratore dipendente della ditta E., fosse in realtà preposto ed addirittura datore di lavoro di fatto. La Corte ha travisato le deposizioni testimoniali. Da esse emerge che l’imputato, nel dare indicazioni sulle lavorazioni da eseguire, trasmetteva istruzioni ricevute dal padre S., effettivo datore di lavoro. Nonostante il rapporto familiare, il ricorrente non disponeva in realtà di alcuna sfera di autonomia.
3. Il ricorso è infondato.
3.1 La sentenza impugnata analizza diffusamente ed analiticamente il materiale probatorio. Si rileva che indubbiamente vi fu una telefonata partita dall’utenza fissa dell’azienda al cui interno, altrettanto certamente, si trovava il ricorrente. Il C. si trovava a bordo di un’auto insieme ad altri due lavoratori al termine dell’esecuzione di un intervento. In tale occasione l’imputato chiese conto dell’esito della lavorazione; ma impartì anche alla vittima l’ordine di procedere all’estirpazione delle canne nate nella scarpata prossima alla sede dell’azienda, facendo uso di un escavatore che a tal fine era stato collocato nel sito qualche giorno prima. Il C. non riferì l’ordine agli altri lavoratori poiché non vi erano coinvolti. Non vi è dubbio, tuttavia, che l’ordine sia stato impartito in tale contingenza, posto che la vittima, giunta a casa, se ne allontanò riferendo ai familiari di dover eseguire un lavoro aggiuntivo cui non aveva mai fatto cenno in precedenza. D’altra parte, come riferito da altri dipendenti, il C. era stato da tempo individuato come l’esecutore dell’operazione in questione.
Tale apprezzamento in fatto è argomentato alla stregua di una puntuale analisi delle prove ed appare immune da vizi logici.
Esso, pertanto, non può essere posto in discussione nella presente sede di legittimità. D’altra parte, le censure difensive difettano di specificità, posto che si limitano ad evocare genericamente il travisamento della prova.
3.2 Quanto alla questione posta con il secondo motivo, la Corte d’appello analizza le deposizioni testimoniali di cui trascrive anche brani, pervenendo alla argomentata conclusione che l’imputato si recava spesso sui luoghi delle lavorazioni, impartendo istruzioni sulla loro esecuzione. Egli era una sorta di capo cantiere, dirigeva gli operai. La circostanza che il ricorrente, figlio del proprietario, rivestisse la qualifica di lavoratore dipendente e partecipasse ai lavori non è incompatibile con il ruolo di preposto che traspare dalle dette deposizioni. Incombeva, dunque, nella qualità di garante, l’obbligo di assicurare la sicurezza del lavoro.
Per contro, è emerso che l’escavatore utilizzato era strutturalmente inidoneo a lavorare con la pendenza presente nella scarpata. Vi era quindi pericolo di ribaltamento che non è stato governato e si è realizzato. Tale apprezzamento in fatto è immune da censure logiche.
La sentenza dimostra l’esistenza di condotte che del tutto correttamente vengono collocate nel ruolo del preposto. Tale figura del sistema prevenzionistico, come ripetutamente enunciato da questa Corte (da ultimo Cass. 4, 23 novembre 2012, Lovison), sovraintende alle attività, attua le direttive ricevute controllandone l’esecuzione, sulla base e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico. E le condotte attribuite all’imputato si attagliano, appunto, a tale ruolo. Dunque, correttamente si è ritenuto che sull’imputato incombesse l’obbligo di cautelare il rischio di ribaltamento, inibendo l’uso di un veicolo del tutto inadatto allo stato dei luoghi.
Il ricorso deve essere conseguentemente rigettato. Segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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