Corte di Cassazione sentenza n. 9509 del 12 giugno 2012
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – RETRIBUZIONE – PAGAMENTO – OBBLIGO DEL DATORE DI LAVORO DI RILASCIO DI BUSTA PAGA – INCIDENZA SULL’APPLICABILITA’ DELLA DISCIPLINA DELLA PRESCRIZIONE PRESUNTIVA – ESCLUSIONE – FONDAMENTO – CONSEGUENZE
massima
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L’obbligo, imposto al datore di lavoro dalla legge 5 gennaio 1953, n. 4, di effettuare i pagamenti delle retribuzioni tramite cedolini paga, non interferisce in alcun modo con la disposizione di cui all’art. 2955, comma primo, n. 2, c.c., né con quella di cui all’art. 2956, comma primo, n. 1, c.c., in tema di prescrizioni presuntive, attenendo detto obbligo all’aspetto pubblicistico del rapporto di lavoro, in funzione di controllo della regolarità degli adempimenti fiscali e contributivi connessi con il rapporto medesimo, mentre la disciplina delle prescrizioni presuntive riguarda i profili privatistici del rapporto. Ne consegue che la prescrizione presuntiva si applica anche ai rapporti di lavoro formalizzati per i quali il pagamento della retribuzione è accompagnato da consegna di busta paga, senza che da ciò possa derivare un pregiudizio per il lavoratore, la cui posizione resta garantita dalla declaratoria di incostituzionalità della norma (operata con la sentenza n. 63 del 1966 della Corte Costituzionale) nella parte in cui consentiva che la prescrizione del diritto alla retribuzione decorresse durante il rapporto di lavoro.
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RITENUTO IN FATTO
1.- Il Tribunale di Varese, con sentenza del 4 agosto 2004, revocava il decreto ingiuntivo emesso ad istanza di R.M. nei confronti della ditta S. di P.S. a titolo di retribuzioni di lavoro, ritenendo il credito estinto per prescrizione presuntiva. La decisione veniva confermata dalla Corte d’appello di Milano, che, con la sentenza qui impugnata, respingeva il gravame proposto dal lavoratore. In particolare, la Corte di merito, premesso che potevano essere esaminate solo le specifiche censure mosse dall’appellante nell’ambito della questione di applicabilità della prescrizione presuntiva, rilevava che quest’ultima trovava applicazione, in generale, anche nei rapporti lavoro, ivi compresi quelli che – come nella specie – prevedevano il rilascio di buste- paga mensili; d’altra parte, non poteva assumere rilievo il riconoscimento del debito operato al di fuori del giudizio, stante il preciso tenore dell’art. 2959 c.c., sì che, in conclusione, si era compiuta la prescrizione essendo decorso più di un anno fra la dichiarazione ricognitiva invocata dal lavoratore e il deposito del ricorso per decreto ingiuntivo.
2.- Ricorre per cassazione il R.M. con tre motivi, cui l’intimata ditta S. resiste con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.- Con il primo motivo, denunciandosi violazione di legge, si lamenta che la presunzione di adempimento di cui all’art. 2955 c.c., n. 2, sia stata applicata anche ai crediti di lavoro dovuti a titolo di tredicesima, t.f.r. e altri elementi contrattuali calcolati su un periodo superiore al mese; si aggiunge che, comunque, tale disposizione non poteva trovare applicazione nell’ipotesi di specie, in cui il contratto di lavoro era stato stipulato per iscritto e la retribuzione era corrisposta secondo il criterio della “postnumerazione”.
2.- Il secondo motivo denuncia violazione degli art. 2959, 2960 e 2735 c.c. Si deduce che le disposizioni contenute nei primi due articoli dovevano essere applicate nella specie, poiché l’esistenza del debito e il mancato adempimento erano stati oggetto di confessione stragiudiziale e su tali circostanze si era formata prova legale, ai sensi dell’art. 2735 cit., ritualmente acquisita al processo.
3.- Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 2959 c.c. Si sostiene che il mancato disconoscimento della dichiarazione scritta di ricognizione del debito, ovvero la mancata contestazione della relativa circostanza, aveva comportato ammissione giudiziale implicita in ordine alla mancata estinzione dell’obbligazione, sì che l’eccezione di prescrizione andava conseguentemente rigettata.
4.- Il primo motivo non è fondato.
4.1.- La censura relativa alla inapplicabilità della prescrizione presuntiva ai crediti nascenti dal contratto qui dedotto in giudizio va esaminata per prima, rivestendo carattere assorbente, ma va disattesa alla stregua della giurisprudenza di questa Corte. E infatti è stato affermato, con principio ormai consolidato cui occorre dare continuità, che l’obbligo, imposto al datore di lavoro dalla L. 5 gennaio 1953, n. 4, di effettuare i pagamenti delle retribuzioni tramite cedolini paga, non interferisce in alcun modo con la disposizione di cui all’art. 2955 c.c., comma 1, n. 2, ne’ con quella di cui all’art. 2956 c.c., comma 1, n. 1, in tema di prescrizioni presuntive, attenendo detto obbligo all’aspetto pubblicistico del rapporto di lavoro, in funzione di controllo della regolarità degli adempimenti fiscali e contributivi connessi con il rapporto medesimo, mentre la disciplina delle prescrizioni presuntive riguarda i profili privatistici del rapporto. Ne consegue che la prescrizione presuntiva si applica anche ai rapporti di lavoro formalizzati per i quali il pagamento della retribuzione è accompagnato da consegna di busta paga, senza che da ciò possa derivare un pregiudizio per il lavoratore, la cui posizione resta garantita dalla declaratoria di incostituzionalità della norma (operata con la sentenza n. 63 del 1966 della Corte Costituzionale) nella parte in cui consentiva che la prescrizione del diritto alla retribuzione decorresse durante il rapporto di lavoro (cfr. Cass. n. 19864 del 2004; n. 5563 del 2004). Questo principio trova applicazione nel caso di specie, avendo la Corte d’appello accertato che nel contratto di lavoro intercorso fra le parti, non stipulato per iscritto, era formalizzato il solo rilascio delle buste paga.
4.2.- Si rivela inammissibile la censura relativa al mancato compimento della prescrizione per le voci retributive a scadenza superiore all’anno, poiché in relazione a tutti i crediti diversi da quelli esaminati (cioè, quelli colpiti dalla prescrizione presuntiva annuale) la sentenza impugnata ha premesso il difetto di specifiche censure, idonee a configurare l’effetto devolutivo dell’appello. La affermazione si risolve in una statuizione di giudicato interno, che è rimasta priva di una specifica censura in questa sede di legittimità, rendendosi così ininfluenti i rilievi relativi al merito della questione (ed essendosi formato, sul punto, il c.d. giudicato sul giudicato).
5.- Non fondate sono anche le censure contenute nel secondo e nel terzo motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente in quanto connesse.
È consolidato, infatti, il principio secondo cui non costituisce motivo di rigetto dell’eccezione, ai sensi dell’art. 2959 c.c., l’ammissione da parte del debitore che l’obbligazione non è stata estinta, qualora la stessa sia stata fatta fuori del giudizio, valendo essa, in questo caso, solo ad interrompere il corso della prescrizione ai sensi dell’art. 2944 c.c. (cfr. Cass. n. 14943 del 2008; n. 6514 del 2003). Nella specie, è pacifico che l’ammissione sia stata fatta al di fuori del giudizio, anteriormente alla sua instaurazione. Nè assume rilievo che la relativa dichiarazione scritta non sia stata disconosciuta, o comunque contestata, dal debitore nel corso del giudizio, poiché la proposizione dell’eccezione di prescrizione presuntiva, risolvendosi in una deduzione di estinzione dell’obbligazione, può essere resa inefficace soltanto da una successiva, o contestuale, deduzione, che comunque sia incompatibile con quella originaria e si traduca nell’affermazione, contraria, che l’obbligazione non sia stata estinta, in tutto o in parte.
6.- In conclusione, il ricorso è respinto. Il ricorrente è condannato, secondo il criterio della soccombenza, al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in euro quaranta per esborsi e in euro duemila per onorari di avvocato, oltre a spese generali, IVA e CPA come per legge.
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