Corte di Cassazione sentenza n. 9648 del 13 giugno 2012
LAVORO – LAVORO SUBORDINATO – ESTINZIONE DEL RAPPORTO – LICENZIAMENTO INDIVIDUALE – PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO – ACCERTAMENTO RELATIVO – SINDACATO DEL GIUDICE – LIMITI – ONERE PROBATORIO DEL DATORE DI LAVORO E DEL LAVORATORE – CONTENUTI RISPETTIVI – INDIVIDUAZIONE
massima
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Il giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni tecniche, organizzative e produttive è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 della Costituzione. Pertanto, spetta al giudice il controllo in ordine all’effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro, e l’onere probatorio grava per intero sul datore di lavoro, che deve dare prova anche dell’impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte, onere che può essere assolto anche mediante il ricorso a risultanze di natura presuntiva ed indiziaria, mentre il lavoratore ha comunque un onere di deduzione o di allegazione di tale possibilità di reimpiego. Tale prova non deve essere intesa in modo rigido, dovendosi esigere dallo stesso lavoratore, che impugni il licenziamento, una collaborazione nell’accertamento di un possibile “repechage”, mediante allegazione dell’esistenza di altri posti di lavoro nei quali egli poteva essere utilmente ricollocato; a tale allegazione, poi, corrisponde l’onere del datore di lavoro di provare la non utilizzabilità nei posti predetti, da intendersi assolto anche mediante la dimostrazione di circostanze indiziarie, come l’assenza di altre assunzioni in relazione alle mansioni del dipendente da licenziare.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
M.T. ha chiesto che venisse accertata l’illegittimità del licenziamento intimatogli dal Banco S. s.a. per giustificato motivo oggettivo consistente nella chiusura dell’Ufficio Tesoreria presso la filiale di Milano – alla quale egli era adibito con mansioni di responsabile dello stesso Ufficio – a seguito della decisione della Banca di concentrare nella sede centrale alcune delle attività che venivano in precedenza svolte a livello locale.
Il Tribunale di Milano ha respinto la domanda con sentenza che è stata confermata su questo punto dalla Corte d’appello della stessa città, che ha ritenuto che il datore di lavoro avesse provato la cessazione dell’attività svolta dall’Ufficio Tesorena di Milano e che. anche a voler ritenere che tale attività fosse stata accentrata presso la sede della società a Madrid e che l’obbligo di repechage dovesse essere considerato anche in relazione alla sede di Madrid o ad altre sedi estere, non era stato provato che la società avesse provveduto ad effettuare altre assunzioni, né che l’accentramento delle attività presso la sede Madrid avesse comportato, di per sé, la necessità di un ampliamento dell’organico della sede centrale.
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione M.T. affidandosi a quattro motivi cui resiste con controricorso il Banco S. s.a. (già Banco S. s.a.).
Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo si denuncia violazione del principio di immodificabilità del motivo addotto a giustificazione del recesso (ricavabile dall’art. 1 della legge n. 604/66) e, conseguentemente, dei combinato disposto degli artt. 3 e 5 della stessa legge, chiedendo a questa Corte di stabilire se “in un caso in cui risulti che il motivo addotto a giustificazione di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, da parte di società multinazionale con migliaia di addetti, è stata l’esigenza di accentrare l’attività svolta dal dipendente dalla succursale di Milano alla sede centrale di Madrid, valutare, anche a line del rispetto degli oneri probatori, la legittimità o meno del recesso sulla base della sola cessazione di quella stessa attività nella succursale e della convenienza economica della chiusura di tale succursale, costituisca o meno violazione del principio di immodificabilità del motivo addotto derivante dall’art. 1 della legge 15 luglio 1966, n. 604 e, di conseguenza, del combinato disposto degli artt. 3 e 5 della stessa legge”.
2.- Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 5 della legge n. 604/66 con riferimento alla prova della effettiva attuazione da parte del datore di lavoro dell’onere di dimostrare ti nesso di causalità e l’impossibilità di una diversa collocazione del dipendente, chiedendo a questa Corte di stabilire se “in un caso in cui risulti che un dipendente di una società multinazionale, licenziato per giustificato motivo oggettivo, si era impegnato ad accettare qualsiasi trasferimento nel territorio europeo che fosse motivato da esigenze organizzative e risulti comunque oggetto di deduzione l’incremento di organico e la prosecuzione dell’attività presso la sede centrale di Madrid dove il lavoro era stato accentrato dalla succursale di Milano anche trasferendo dipendenti ivi addetti; considerato che il licenziamento costituisce l’estrema ratio, che è onere del datore di lavoro dimostrare il nesso causale tra le circostanze di fatto e il licenziamento di quel determinato dipendente, che la prova del repechage deve riguardare non la semplice difficoltà ma la vera e propria impossibilità; costituisca o meno violazione dell’art. 5 della legge 15 luglio 1966, n. 604 ritenere assolto l’onere probatorio esistente in capo al datore di lavoro in ordine al nesso di causalità e alla impossibilità di utilizzare il lavoratore altrove in mansioni compatibili con la qualifica rivestita, con la sola prova della successiva chiusura della succursale ove questi operava e su! presupposto astratto che l’accentramento di attività posto a base del provvedimento aziendale non postulava di per sé la necessità di nuovo organico presso la sede centrale”.
3.- Con il terzo motivo si deduce il vizio di motivazione m ordine alla esatta individuazione dei motivi posti a base del recesso ed alla loro effettiva sussistenza, con particolare riguardo agli effetti concretamente derivanti dalla chiusura della succursale di Milano ed alla possibilità o meno di una diversa utilizzazione del dipendente nell’ambito dell’organizzazione aziendale.
4.- Con il quarto motivo si denuncia la nullità della sentenza e del procedimento con riferimento a quanto previsto dagli artt. 112, 115 e 116 c.p.c, nonché dall’art. 5 della legge n. 604/66, in relazione agli stessi elementi presi in considerazione nel motivo che precede, e cosi alla esatta individuazione del motivo posto a base del recesso, alla sua idoneità a giustificare il licenziamento ed alla verifica del aspetto degli oneri probatori incombenti sul datore di lavoro “in un caso in cui sia stato posto a base della domanda di declaratoria di illegittimità del licenziamento che il motivo addotto a giustificazione del recesso per giustificato motivo oggettivo da parte di società multinazionale con migliaia di addetti è stato quello di accentrare l’attività presso la sede centrale, che il dipendente si era impegnato ad accettare qualsiasi trasferimento nel territorio europeo e che vi erano stati la prosecuzione dell’attività nonché l’incremento di organico presso la sede dove il lavoro era stato accentrato anche trasferendo dipendenti della succursale milanese” (cfr. prima parte del quesito di diritto formulato in chiusura del quarto motivo).
5.- Il primo motivo è infondato il M.T. e stato licenziato sul presupposto dell’esistenza di “una difficilissima congiuntura economica che ha pesantemente inciso sull’attività della Banca” e che richiedeva, secondo la lettera di comunicazione del licenziamento, un “profondo intervento strutturale al fine di assicurare la maggiore efficienza della struttura e recuperare un accettabile rapporto fra costi e ricavi”, anche “attraverso la centralizzazione di molte attività prima svolte localmente” e, in particolare, “la chiusura del l’Ufficio di Tesoreria presso la sede italiana con conseguente definitiva soppressione della funzione” ricoperta dal M.T. (cfr. il testo della lettera di licenziamento riprodotta dal ricorrente e, in parte, anche dalla società resistente). La Corte territoriale ha accertato, anzitutto, che “era effettivamente cessata la vendita di titoli azionari, che veniva effettuata per l’Italia attraverso la filiale di Milano, restando solamente per l’Italia qualche precedente grosso cliente, che comunque già in precedenza era seguito direttamente dalla sede di Madrid e che continuava così anche successivamente alla chiusura della liliale di Milano ad essere seguito da Madrid”, sicché doveva ritenersi provato, in sostanza, che l’attività di vendita di titoli in Italia era cessata e che la sede centrale avrebbe continuato a curare i rapporti con alcuni clienti che già facevano capo in precedenza a tale struttura.
Non vi è stata, quindi, alcuna violazione del principio di immodificabilità del motivo posto alla base del recesso, nel senso indicato dal ricorrente con il primo motivo,
6.- Anche gli altri motivi, da esaminare congiuntamente per riguardare problematiche tra loro strettamente connesse, sono infondati. E’ giurisprudenza costante – cfr. ex plurimis, Cass, n 14815/2005 – che, ai fini della legittimità del licenziamento per ragioni inerenti all’attività produttiva, sul datore di lavoro incombe l’onere di provare la concreta riferibilità del licenziamento a iniziative collegate ad effettive ragioni di carattere produttivo – organizzativo sussistenti all’epoca della comunicazione del licenziamento, nonché l’impossibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni compatibili con la qualifica rivestita, in relazione al concreto contenuto professionale dell’attività cui il lavoratore stesso era precedentemente adibito (cfr. anche Cass. n. 21282/2006. Cass. n. 12514/2004).
Il giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni tecniche, organizzative o produttive è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost. Pertanto, spetta al giudice il controllo in ordine all’effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro, e l’onere probatorio grava per intero sul datore di lavoro, che deve dare prova anche dell’impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte, onere che può essere assolto anche mediante il ricorso a risultanze di natura presuntiva ed indiziaria, mentre il lavoratore ha comunque un onere di deduzione e di allegazione di tale possibilità di reimpiego (Cass. n. 3040/2011; Cass. n. 6559/2010; Cass. n. 4068/2008).
Si è, infatti, specificato nella giurisprudenza di legittimità – cfr. Cass. n. 13134/2000; Cass. n. 9369/96 – che la prova suindicata non deve essere intesa in modo rigido, dovendosi esigere dallo stesso lavoratore, che impugni il licenziamento, mia collaborazione nell’accertamento di un possibile repechage, mediante l’allegazione dell’esistenza di altri posti di lavoro nei quali egli poteva essere utilmente ricollocato; a tale allegazione, poi, corrisponde l’onere del datore di lavoro di provare la non utilizzabilità nei posti predetti, da intendersi assolto anche mediante la dimostrazione di circostanze indiziarie, come l’assenza di altre assunzioni in relazione alle mansioni del dipendente da licenziare.
7- Non si è discostata da tali principi la Corte territoriale con l’affermazione che. nella specie, il lavoratore si era limitato ad allegare “quale indice di disponibilità di altre sistemazioni lavorative presso il Banco S., l’effettuazione di due successivi annunci di ricerca di due persone tra l’aprile ed il maggio 2003” e che, tuttavia, all’esito della prova testimoniale, era risultato trattarsi di “sondaggi” ai quali non era stato dato alcun seguito, sicché, in definitiva, doveva ritenersi carente l’allegazione, da parte del lavoratore, dell’esistenza di altri posti di lavoro nei quali egli avrebbe potuto essere utilmente ricollocato. Le contrarie affermazioni del ricorrente, secondo cui la Corte territoriale non avrebbe considerato che la società avrebbe dovuto dimostrare che non era possibile utilizzare diversamente l’opera del lavoratore “né a Madrid né altrove”, ovvero che. in occasione della concentrazione delle attività presso la sede centrale, non era stato assunto alcun altro dipendente per svolgere le stesse mansioni del M.T. a Madrid, non tengono conto del rilievo che assume – in corrispondenza degli oneri probatori che gravano sul datore di lavoro – l’onere, a carico del lavoratore, di deduzione e di allegazione dell’esistenza di altri posti dì lavoro nei quali egli possa essere utilmente reimpiegato e si risolvono, sostanzialmente, nella contestazione diretta (inammissibile in questa sede) del giudizio di mento, giudizio che risulta motivato in modo sufficiente e logico con riferimento, come sopra accennalo, alla effettiva cessazione dell’attività commerciale svolta presso la filiale di Milano ed alla carenza di concrete allegazioni, da parte dei lavoratore, in ordine alla effettiva esistenza di altre possibilità di reimpiego nell’ambito dell’organizzazione aziendale.
8.- A fronte di una sentenza così motivata, il ricorrente non ha offerto, invero, sufficienti elementi di riscontro in ordine all’esistenza di elementi di natura materiale, logica o processuale che, rimasti estranei al ragionamento svolto dal giudice del mento, sarebbero stati idonei a determinare una decisione diversa da quella adottata, ovvero in ordine all’esistenza di risultanze processuali, non esaminate, tali da far ritenere, attraverso un giudizio di certezza e non di mera probabilità, che le stesse, ove fossero state considerate, avrebbero portato ad una diversa soluzione della controversia (tale non è certamente la sola indicazione del nominativo di una dipendente alla quale avrebbero potuto rivolgersi i clienti italiani del Banco dopo la chiusura dell’Ufficio leso rena, contenuta in una comunicazione alla clientela, dalla quale risulta, peraltro, che i clienti avrebbero potuto contattare anche “ogni membro del team delle vendite di Madrid”); dovendo rimarcarsi, peraltro. che, come questa Corte ha costantemente ribadito, il controllo sulla motivazione non può risolversi in una duplicazione del giudizio di mento e che alla cassazione della sentenza impugnata può intingersi non per un semplice dissenso dalle conclusioni del giudice di mento – poiché in questo caso il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento dello stesso giudice di merito, che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità de) giudizio di cassazione – ma solo in caso di motivazione contraddittoria o talmente lacunosa da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto alla base della decisione (cfr. ex plurimis Cass. n. 10657/2010, Cass. n. 9908/2010. Cass. n. 27162/2009, Cass. n. 13157/2009, Cass. n. 6694/2009, Cass. n. 18885/2008, Cass. n. 6064/2008), E tutto ciò a prescindere dalla pur di per sé assorbente considerazione che il ricorrente avrebbe dovuto allegare l’esistenza di altri posti di lavoro nei quali egli poteva essere utilmente ricollocato già con il ricorso introduttivo, e non solo con l’atto di appello, e che. comunque, anche nell’atto di appello, per quanto riportato nel ricorso per cassazione, non vi è una precisa deduzione nel senso della concreta possibilità di una diversa utilizzazione del lavoratore, ma si insiste piuttosto sul concetto che l’attività di vendita sul mercato italiano sarebbe rimasta invariata, con l’unica differenza che sarebbe stata gestita da Madrid e non più da Milano, laddove, secondo quanto accertato dalla Corte tenitori a le, tale attività era “effettivamente cessata” restando solo qualche “grosso” cliente, che già in precedenza era seguito direttamente dalla sede di Madrid.
9.- Il ricorso va dunque rigettato con la conferma della sentenza impugnata, dovendosi ritenere assorbite in quanto sinora detto tutte le censure non espressamente esaminate.
10.- Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio liquidate in € 40.00 oltre € 3.000,00 per onorari, oltre i.v.a., c.p.a. e spese generali.
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