Corte di Cassazione a sezioni Unite sentenza n. 22882 del 04 novembre 2011
LAVORO AUTONOMO – AVVOCATO – CONFLITTO DI INTERESSE – CODICE DEONTOLOGICO
massima della sentenza
E’ conflitto di interessi l’ipotesi in cui l’avvocato presti la sua opera di assistenza professionale ad un cliente avendo quale controparte una società che fa capo a un proprio famigliare.
L’art. 37 del CDF mira ad evitare situazioni che possano far dubitare della correttezza dell’operato dell’avvocato e, quindi, perché si verifichi l’illecito, è sufficiente che potenzialmente l’opera del professionista possa essere condizionata da rapporti di interesse con la controparte.
sentenza
Fatto
L’avv. M. R. ricorre per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con la quale il Consiglio Nazionale Forense (CNF) gli ha inflitto la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione forense per cinque mesi, ritenendolo colpevole di due dei tre originari capi di incolpazione formulati a suo carico dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Novara. In sintesi l’avv. R., secondo il CNF si sarebbe reso responsabile della violazione degli artt. 16 e 37 del Codice Deontologico Forense (CDF), per avere svolto attività di mediazione ed avere prestato assistenza professionale in situazione di conflitto di interessi.
A sostegno dell’odierno ricorso, l’avv. R. prospetta quattro motivi di cassazione della sentenza impugnata.
Diritto
Il ricorso non può trovare accoglimento.
1. Con il primo motivo viene denunciata la violazione dell’art. 56 RDL 1578/1933, in combinato disposto con l’art. 295 c.p.c., per la mancata sospensione del procedimento disciplinare in pendenza di un processo penale. Il ricorrente denuncia anche la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata che, pur dando atto della pendenza del processo penale, assume poi che non v’è prova della stessa.
Il motivo è inammissibile per carenza di autosufficienza perché non riferisce come e quando l’istanza di sospensione è stata presentata e quale fosse l’oggetto dell’azione penale. Peraltro, la censura è anche infondata nel merito perché il giudice disciplinare ha rilevato che le indicazioni dell’incolpato “relative alle vicende in sede penale si sono limitate alla mera enunciazione di essere state presentate denunce all’autorità di polizia giudiziaria, senza ulteriori accenni al successivo corso ed esito di tali iniziative” (p. 8 della motivazione ). Comunque, il CNF ha correttamente concluso che pur se fosse stato iniziato un procedimento penale, manca la prova che riguardasse gli stessi fatti oggetto del procedimento disciplinale, prova che avrebbe legittimato la sospensione di quest’ultimo. Quindi, non c’è violazione di legge e non c’è motivazione contraddittoria. Non c’è violazione di legge perché in mancanza della prova della identità dei fatti oggetto dei due processi non vi era obbligo di sospensione e non c’è contradditorietà della motivazione perché l’affermata carenza probatoria riguarda il contenuto del processo penale e non la sua pendenza.
2. Il secondo motivo è inammissibile perché nuovo.
2.1. Il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli art. 16 e 37 del CDF eccependo, per la prima volta che l’art. 16 citato vieta la mediazione soltanto a partire dalle modifiche apportate al CDF nel 2006, mentre i fatti in contestazione sarebbero del 2005.
Dalla sentenza impugnata non risulta che la questione sia stata già prospettata ed il ricorrente non denuncia una omessa pronuncia. Il ricorso non riferisce come e quando la questione sarebbe stata sollevata nel giudizio di merito e, quindi, il motivo è carente di autosufficienza. Né si può ipotizzare che la questione sia di mero diritto, dal momento che per aderire alla tesi del ricorrente occorre una indagine di fatto che accerti che l’episodio si sia verificato prima del 2006. Il motivo tende a dimostrare, ma tardivamente ed inammissibilmente, che i fatti sarebbero anteriori alla riforma. Anche I’eccezione che l’attività svolta non sarebbe stata di mediazione ma di mera consulenza giuridica, tende ad una rivalutazione di merito inammissibile in questa sede.
2.2. Il ricorrente eccepisce inoltre che non sarebbe incorso in alcun conflitto di interessi, nella trattativa che vedeva interessati, da una parte, la persona (sua cliente) che poi lo ha denunciato (tale sig.ra D. B.) e, dall’altra parte, una società che faceva capo alla moglie ed alla suocera (capo 3 della incolpazione). La tesi difensiva è che la sig.ra B. non aveva ricevuto alcun danno dalla situazione di conflitto potenziale. L’eccezione è nuova e comunque irrilevante perché, come ha correttamente rilevato il giudice disciplinare, l’illecito si consuma con il verificarsi della situazione che mette a rischio il rapporto fiduciario tra avvocato e cliente. L’art. 37 CDF mira ad evitare situazioni che possano far dubitare della correttezza dell’operato dell’avvocato e, quindi, perché si verifichi l’illecito, è sufficiente che potenzialmente l’opera del professionista possa essere condizionata da rapporti di interesse con la controparte. Facendo riferimento alle categorie del diritto penale, l’illecito contestato all’avv. R. è un illecito di pericolo e non di danno. Quindi l’asserita mancanza di danno è irrilevante perché il danno effettivo non è elemento costitutivo dell’illecito contestato.
3. Con il terzo motivo, denunciando vizi di motivazione, il ricorrente assume che sarebbe mancata una adeguata valutazione degli elementi costitutivi delle fattispecie di illecito (sussistenza dell’elemento psicologico, volontarietà della condotta, ecc.), anche in relazione alla insussistenza di alcun pregiudizio alla dignità ed al prestigio della classe forense; lamenta l’ambiguità di fatti contestati e la mancata valutazione della richiesta di riduzione della sanzione in considerazione della giovane età dell’incolpato.
Si tratta di censure evidentemente di merito e carenti sotto il profilo dell’autosufficienza.
4. Con il quarto ed ultimo motivo, il ricorrente eccepisce la maturazione del termine di prescrizione, perché i fatti risalirebbero al luglio 2005. La questione della collocazione temporale dei fatti attiene al merito e viene qui sollevata per la prima volta. Quindi si tratta di censura inammissibile e comunque infondata. Infatti, la censura non tiene conto dell’effetto interruttivo degli atti del procedimento disciplinare (Cass 26182/2006).
5. Conseguentemente, il ricorso va rigettato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
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