CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 luglio 2013, n. 17680
Tributi – IVA – Fatture soggettivamente false – Vendita a catena – Rilevanza – Sussiste
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza n. 60/2/09, depositata il 2.7.09, la Commissione Tributaria Regionale dell’ Emilia Romagna accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Modena avverso la decisione di primo grado con la quale era stato accolto il ricorso proposto dalla deo E. s.r.l. nei confronti dell’avviso di accertamento, emesso dall’Amministrazione finanziaria, ai fini IVA, per l’anno di imposta 2000.
2. La CTR – in riforma della decisione di prime cure – riteneva, invero, che l’atto impositivo fossero congruamente e sufficientemente motivato, in relazione alle operazioni soggettivamente inesistenti che l’Amministrazione aveva contestato alla contribuente, la cui buona fede, al contrario di quanto ritenuto dal giudice di prime cure, andava certamente esclusa.
3. Per la cassazione della sentenza n. 60/2/09 ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate, articolando un unico motivo, al quale la contribuente ha replicato con controricorso.
Considerato in diritto.
1. A seguito di verifica della Guardia di Finanza di Lodi, sfociata in un processo verbale di constatazione, veniva rilevata, a carico della società Video E. s.r.l. (esercente l’attività di commercio all’ingrosso ed al dettaglio di materiale radioelettrico, in particolare telefonini cellulari), l’indebita detrazione, per l’anno 2000, dell’IVA assolta su fatture relative ad operazioni ritenute dall’Ufficio soggettivamente inesistenti.
1.1. In particolare, la contribuente risultava avere acquistato dalla P. s.a.s. merce da quest’ultima acquistata presso altre ditte ed immediatamente rifatturata alla video E., con addebito dell’IVA in rivalsa. L’assenza di una qualsiasi struttura commerciale in capo alla P. s.a.s. induceva, peraltro, l’Ufficio a ritenere che la medesima svolgesse, in sostanza, il ruolo di una cd. “cartiera”, ovverosia di società che si limitava ad emettere fatture nei confronti di altro operatore commerciale del settore, al fine di consentirgli l’imputazione di un’IVA a credito da portare, poi, in detrazione nella dichiarazione annuale.
1.2. A tali fatti seguiva, quindi, l’emissione di un avviso di accertamento, con il quale l’Agenzia delle Entrate contestava alla Video E. s.r.l., in relazione all’anno di imposta 2000, l’indebita detrazione dell’IVA su fatture emesse per operazioni soggettivamente inesistenti.
1.3. L’atto impositivo veniva, quindi impugnato in sede giurisdizionale dalla Video E. s.r.l., con esito favorevole in prime cure e negativo in appello. Avverso la sentenza n. 60/2/09, emessa dalla CTR dell’Emilia Romagna, ha, pertanto, proposto ricorso per cassazione la contribuendo articolando due censure.
2. Con i due motivi di ricorso – che, per la loro intima connessione, vanno esaminati congiuntamente – la Video E. s.r.l. denuncia l’insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 19 d.P.R. 633/72 e 17 della VI Direttiva CEE n. 388/77, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
2.1. Avrebbe, invero, errato la CTR nel ritenere – peraltro, omettendo l’esame delle prove documentali offerte dalla Video E. (pagamento delle fatture con assegni e bonifici bancari, applicazione dei prezzi correnti di mercato, esiguità degli acquisti effettuati dalla presunta “cartiera”) – che la P. s.a.s. non fosse l’effettiva fornitrice dei beni in discussione.
Ad ogni buon conto, l’emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, pur a voler ritenere tali quelle poste in essere nella specie, in presenza di precisi riscontri sulla buona fede dell’ acquirente (ricezione effettiva della merce e pagamento del corrispettivo), non avrebbe dovuto escludere – a parere del ricorrente – il diritto del medesimo alla detrazione di imposta.
3. Il ricorso è infondato.
3.1. Va osservato, infatti, che, in tema di IVA, la nozione di “fattura inesistente” va riferita non soltanto all’ ipotesi di mancanza assoluta dell’operazione fatturata sul piano fattuale, ma anche ad ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale, ivi compresa l’ipotesi di “inesistenza soggettiva”, che ricorre quando, pur risultando i beni o il servizio reso entrati nella disponibilità patrimoniale dell’ impresa cui le fatture sono rilasciate, venga accertato che uno o entrambi i soggetti del rapporto siano falsi (Cass. 23074/12, 8132/11).
In siffatta ipotesi, pertanto, ai sensi del combinato disposto degli artt. 19, 21, co. 7, e 26, co. 3, del d.P.R. n. 633/72, è – in linea di principio – precluso al cessionario dei beni, così come al committente del servizio, il diritto alla detrazione o alla variazione dell’imposta nel caso di emissione di fatture per operazioni inesistenti anche solo sotto il profilo soggettivo. Ed infatti, pur essendo i beni o il servizio effettivamente entrati nella disponibilità dell’impresa utilizzatrice, la falsa indicazione di uno dei soggetti del rapporto determina l’evasione del tributo relativo alla diversa operazione, effettivamente realizzata tra altri soggetti (Cass. 6378/06, 18907/11, 23074/12).
3.2. Ne discende che il committente-cessionario, al quale sia contestata, sulla base di elementi presuntivi forniti dall’amministrazione (gravata del relativo onere della prova), la detrazione dell’IVA versata in rivalsa al soggetto diverso dal cedente-prestatore che ha emesso la fattura, ha il diritto di detrarre l’imposta nella sola ipotesi in cui possa provare, ai sensi dell’art. 2697, co. 2, c.c., che non sapeva o non poteva sapere di partecipare ad un’operazione fraudolenta. Il cessionario, in particolare, ha l’onere di dimostrare almeno, anche in via alternativa, di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni pregresse intercorse tra il cedente ed il fatturante in ordine al bene ceduto, oppure, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all’attività professionale svolta in occasione dell’operazione contestata, di non essere stato in grado di abbandonare lo stato di ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti collegati all’operazione (Cass. 8132/11, 23074/12).
3.3. A tal fine, per le ragioni suesposte, circa l’effetto di evasione di imposta che comunque si produce in conseguenza di tale operazione, non è – tuttavia – sufficiente dedurre, da parte del contribuente, che la merce sia stata consegnata e la fattura, IVA compresa, sia stata effettivamente pagata. E ciò anche in considerazione del fatto che la provenienza della merce stessa da soggetto diverso da quello figurante sulle fatture, non è una circostanza indifferente ai fini dell’IVA.
Per un verso, infatti, la qualità del venditore può incidere sulla misura dell’aliquota e, per conseguenza, sull’entità dell’imposta legittimamente detraibile dall’acquirente; per altro verso, il diritto alla detrazione non sorge comunque per il solo fatto dell’avvenuta corresponsione dell’imposta formalmente indicata in fattura, richiedendosi, altresì, l’inerenza dell’ operazione all’ impresa. Ma è evidente che tale requisito viene a mancare in relazione all’IVA corrisposta al soggetto interposto, trattandosi di costo certamente non inerente all’attività istituzionale dell’impresa, in quanto potenziale espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse, e tali da rompere il suddetto nesso di necessaria inerenza (Cass. 29467/08, 735/10).
3.4. Nel caso di specie, pertanto, non giova in alcun modo alla Video E. s.r.l. dedurre – e comprovare – l’avvenuto pagamento delle fatture e l’effettivo ricevimento della merce, a fronte di elementi di forte spessore indiziario e presuntivo, forniti in giudizio dall’ Amministrazione finanziaria.
Va considerato, infatti, che nell’ipotesi – ricorrente nella specie – di fatturazione per operazione soggettivamente inesistente, risolventesi – come dianzi detto – nella diretta acquisizione della prestazione da soggetto diverso da quello che ha emesso fattura e percepito l’IVA in rivalsa, la prova che la prestazione non è stata effettivamente resa dal fatturante, perché sfornito di dotazione personale e strumentale adeguata alla sua esecuzione, costituisce, di per sé, idoneo elemento sintomatico dell’assenza di “buona fede” del contribuente. Ed invero, l’immediatezza dei rapporti (cedente o prestatore – fatturante – cessionario o committente) induce ragionevolmente ad escludere l’ignoranza incolpevole di quest’ultimo circa l’avvenuto versamento dell’IVA a soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta. Con la conseguenza che, in siffatta ipotesi, sarà il contribuente a dover provare di non essere a conoscenza della circostanza che il fornitore effettivo del bene o della prestazione era, non il fatturante, ma altri, dovendosi altrimenti negare il diritto alla detrazione dell’IVA versata (cfr. Cass. 6229/13).
3.5. Non risultando, per contro, acquisita agli atti tale dimostrazione da parte della contribuente, al di là delle circostanze – di per sé non significative, in quanto rientranti nel modello stesso dell’operazione in esame – della ricezione della merce e del pagamento del relativo prezzo, il diritto alla detrazione di imposta non può, pertanto, considerarsi sussistente.
4. Ne discende che il ricorso proposto dalla contribuente, per tutti i motivi suesposti, deve essere rigettato, con conseguente condanna della medesima al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, nella misura di cui in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in € 5.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.
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