La Cassazione con la sentenza n. 12930 del 24 maggio 2013 è intervenuta in materia della determinazione della base imponibile IMU statuendo che il contribuente non può impugnare il rifiuto dell’Agenzia del territorio di modificare in autotutela la rendita catastale. In particolare la sezione tributaria ha accolto il ricorso dell’Agenzia del territorio che aveva rifiutato la richiesta di un contribuente, una cooperativa edilizia, volta a ottenere un nuovo classamento di immobili di sua proprietà, in via di autotutela.
Contro il silenzio rifiuto dell’Agenzia del territorio la cooperativa aveva presentato ricorso per impugnare il silenzio-rifiuto inanzi alla Commissione Tributaria Provinciale che accoglieva il ricorso sostenendo che l’Agenzia del territorio fosse tenuta ad attribuire la nuova rendita. La Commissione Tributaria Regionale del Lazio, sezione distaccata di Latina, aveva confermato il primo verdetto e, dopo aver affermato la propria giurisdizione, aveva anche escluso la sussistenza della preclusione da giudicato, in riferimento a decisioni pregresse relative al riclassamento degli stessi immobili, osservando che rendita e il classamento costituiscono valori che dipendono da fatti contingenti, variabili nel tempo.
L’Agenzia del territorio avverso la sentenza dei giudici di merito ha presentato ricorso in Cassazione. Gli Ermellini della sezione tributaria ribaltano il verdetto di merito attingendo ai principi generali sull’impugnazione del diniego da parte dell’amministrazione della richiesta di autotutela. L’esercizio del potere, spiegano infatti i Supremi giudici, non costituisce un mezzo di difesa del contribuente e inoltre nel giudizio instaurato contro il rifiuto espresso di esercizio dell’autotutela può esercitarsi un sindacato soltanto sulla legittimità del rifiuto, e non sulla fondatezza della pretesa tributaria.
I Giudici di legittimità ricordano che in caso contrario si verificherebbe o un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa, o si darebbe inammissibilmente ingresso a una controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo. Le stesse Sezioni unite con la n. 16097 del 2009, avevano chiarito che il concreto ed effettivo esercizio, da parte dell’amministrazione, del potere di annullamento d’ufficio e di revoca dell’atto contestato non costituisce un mezzo di tutela del contribuente sostitutivo dei rimedi giurisdizionali che non siano stati esperiti.
Inoltre i giudici precisano che il contribuente che richieda all’Amministrazione di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo non può limitarsi a indicare gli eventuali vizi dell’atto medesimo, la cui deduzione deve ritenersi definitivamente preclusa, ma deve prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto.
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