AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 24 maggio 2021, n. 368
Articolo 1, comma 57 della legge 23 dicembre 2014, n. 190. Cause ostative all’applicazione del regime c.d. forfetario
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
Il contribuente istante rappresenta di aver rassegnato le dimissioni volontarie da … in data … 2020, con presa d’atto del … datata … 2020, e di aver proseguito il rapporto di lavoro sino al … 2021 (periodo di preavviso).
L’istante – il quale presume di aver percepito nell’anno di imposta 2020 un reddito di lavoro dipendente superiore a 30.000 euro – intende richiedere l’attribuzione della partita IVA per esercitare un’attività di lavoro autonomo con codice ATECO … e chiede chiarimenti in merito all’ambito applicativo della causa ostativa all’accesso al regime forfetario prevista dall’articolo 1, comma 57, lettera d-ter), della legge n. 190 del 2014, in base alla quale non possono avvalersi del regime forfetario i soggetti che nell’anno precedente hanno percepito redditi di lavoro dipendente e assimilati superiori a 30.000 euro.
In particolare l’istante, considerando che la verifica di tale soglia è irrilevante se il rapporto di lavoro è cessato, chiede di sapere se può accedere al regime forfetario nel 2021.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
L’articolo 1, comma 692, della legge n. 160 del 27 dicembre 2019, ha introdotto all’art. 1 della Legge n. 190 del 23 dicembre 2014, il comma 57, lettera d-ter), in base al quale non possono avvalersi del regime forfetario: “i soggetti che nell’anno precedente hanno percepito redditi di lavoro dipendente e redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, di cui rispettivamente agli articoli 49 e 50 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre1986, n. 917, eccedenti l’importo di 30.000 euro; la verifica di tale soglia è irrilevante se il rapporto di lavoro è cessato”.
L’istante evidenzia che tale causa ostativa è identica a quella in vigore dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2018, oggetto di commento da parte dell’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 10/E del 04 aprile 2016.
Nella citata circolare, l’Agenzia si esprimeva chiarendo che il limite di 30.000 euro previsto dalla norma non opera se il rapporto di lavoro dipendente è cessato nel corso dell’anno precedente, in coerenza con la ratio della disposizione, che ha il fine di incoraggiare il lavoratore rimasto senza impiego e senza trattamento pensionistico mediante la concessione di agevolazioni fiscali. Evidenziava, inoltre, che ai fini della non applicabilità della causa di esclusione in commento rilevano solo le cessazioni del rapporto di lavoro intervenute nell’anno precedente a quello di applicazione del regime.
Considerata la ratio della norma, che non distingue tra licenziamento o dimissioni volontarie, l’istante ritiene di poter applicare il regime forfetario già nel 2021, in ragione del fatto che le dimissioni sono state presentate nel 2020, anno precedente a quello di apertura della partita IVA.
Tale conclusione, argomenta l’istante, è suffragata dal fatto che le dimissioni rappresentano un atto unilaterale recettizio per la cui efficacia non è richiesta alcuna accettazione del … e sono, pertanto, considerate efficaci dal momento in cui … ne viene a conoscenza, divenendo, con ciò, irrevocabili.
Per l’accesso al regime è, quindi, rilevante il momento in cui le dimissioni vengono consegnate, a prescindere dal periodo di preavviso; di conseguenza, ritiene di poter accedere al regime forfetario a partire dall’anno di imposta 2021.
Ove l’Amministrazione non accogliesse la soluzione prospettata e considerasse applicabile la causa di esclusione di cui alla lettera d-ter) in parola per il 2021, l’istante ritiene di poter applicare il regime forfetario a partire dal 2022, dopo aver aperto la partita IVA nel 2021, poiché sarà venuta meno la causa di esclusione e, naturalmente, a condizione di rispettare anche tutti gli altri requisiti di accesso.
Parere dell’Agenzia delle entrate
La legge n. 190 del 2014, all’articolo 1, commi da 54 a 89, ha introdotto un regime fiscale agevolato, c.d. regime forfetario, rivolto ai contribuenti persone fisiche esercenti attività d’impresa, arti o professioni in possesso di determinati requisiti. Successivamente, l’articolo 1, commi da 9 a 11, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (legge di bilancio 2019) ha modificato, con portata estensiva, l’ambito di applicazione del regime forfetario (rif. Circolare n. 9/E del 10 aprile 2019).
Da ultimo, l’articolo 1, comma 692, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (legge di bilancio 2020) ha modificato ulteriormente l’ambito di applicazione del regime forfetario.
Con riferimento a quanto descritto dall’istante, in particolare, assume rilievo quanto disposto dalla lettera d-ter) del comma 57 dell’articolo 1 della legge n. 190 del 2014, ai sensi della quale non possono avvalersi del regime forfettario «i soggetti che nell’anno precedente hanno percepito redditi di lavoro dipendente e redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, di cui rispettivamente agli articoli 49 e 50 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, eccedenti l’importo di 30.000 euro; la verifica di tale soglia è irrilevante se il rapporto di lavoro è cessato».
Tale causa di esclusione, come chiarito con la risoluzione n. 7/E del 2020, non si discosta da quella, sostanzialmente identica sul punto, prevista in sede di prima applicazione del regime forfetario. Valgono, pertanto, i chiarimenti resi dalla circolare n. 10/E del 4 aprile 2016 con riferimento all’allora vigente lettera d-bis) del comma 57, di cui l’odierna lettera d-ter) costituisce una riproposizione.
In proposito, la citata circolare n. 10/E del 2016, al paragrafo 2.3, ha specificato che «ai fini della non applicabilità della causa di esclusione in commento rilevano solo le cessazioni del rapporto di lavoro intervenute nell’anno precedente a quello di applicazione del regime forfetario».
Nel caso in esame, l’istante riferisce di aver rassegnato le dimissioni da dipendente a tempo indeterminato … in data … 2020 e di aver ricevuto la relativa presa d’atto in data … 2020, proseguendo il rapporto di lavoro fino al … 2021 (periodo di preavviso).
Al riguardo, la scrivente osserva che – nonostante, come sostenuto dall’istante, le dimissioni costituiscano un atto unilaterale recettizio, che acquisisce efficacia nel momento in cui viene a conoscenza del datore di lavoro, senza necessità di accettazione da parte di quest’ultimo – la cessazione dal servizio, con il conseguente venir meno della retribuzione e degli altri diritti connessi al rapporto di lavoro, avviene solo al termine del periodo di preavviso.
Infatti, come chiarito dall’ARAN (Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni) con l’orientamento applicativo n. AGF073, «sulla base di un consolidato orientamento interpretativo della normativa civilistica, il rapporto di lavoro è in atto anche durante il periodo di preavviso, nell’ambito del quale, quindi, trovano applicazione tutti gli istituti connessi al rapporto di lavoro».
Alla luce di quanto sopra, la scrivente ritiene che all’istante sia precluso l’accesso al regime forfetario nel 2021, in applicazione della citata lettera d-ter), in quanto trattasi del medesimo anno di cessazione del rapporto di lavoro dipendente, nell’ambito del quale afferma di aver percepito redditi superiori a 30.000 euro nell’anno precedente (2020).
Pertanto l’istante, il quale intende aprire la partita IVA ed esercitare attività professionale dal 2021, potrà applicare il regime forfetario solo a partire dal 2022, nel presupposto del rispetto di tutti gli altri requisiti di legge.
Il presente parere viene reso sulla base degli elementi e dei documenti presentati, assunti acriticamente così come illustrati nell’istanza di interpello, nel presupposto della loro veridicità e concreta attuazione del contenuto.
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