AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 07 agosto 2019, n. 331
Interpello articolo 11, comma 1, lett. a), legge 27 luglio 2000, n. 212 – Cessione di beni oggetto di truffa – Rettifiche IVA – Trattamento IRES e IRAP dei relativi componenti negativi
Quesito
Alfa S.r.l. (in seguito, “Istante” o “Società”) riferisce di essere stata vittima di una truffa, operata dal Sig. Tizio (in breve, “Tizio” o “Agente”) approfittando del suo ruolo di dipendente di Beta S.r.l., a cui l’Istante era legato da un rapporto di agenzia.
In sostanza, Tizio predisponeva ordini di acquisto (per merce mai richiesta) dai clienti della Società, contattava i trasportatori e dirottava la merce in luoghi a sua disposizione per poi venderla in nero a terzi.
Tale merce veniva nel frattempo regolarmente fatturata dall’Istante, che solo in seguito si rendeva conto dell’inesistenza dei relativi crediti perché disconosciuti dagli ignari clienti.
Dopo aver risolto il contratto di agenzia con Beta S.r.l., la Società ha presentato, nel 2015, atto di denuncia-querela nei confronti di Tizio alla Procura della Repubblica.
Il Tribunale ha emesso una sentenza di applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale nei confronti dell’Agente, divenuta irrevocabile in data 5 settembre 2017, dalla quale peraltro risulta che il danno patito dalla Società ammontava a Euro 767.037,85 (IVA compresa).
L’Istante ha promosso, inoltre, nel 2016, un’azione nei confronti di Tizio per merce da lui ordinata a uso personale e non pagata, a seguito della quale il Tribunale ha emesso decreto ingiuntivo, divenuto esecutivo nel 2017, per il pagamento di Euro 14.784,76.
Nell’ambito delle indagini svolte circa la situazione patrimoniale dell’Agente, il legale della Società ha appreso che l’unico bene immobile di proprietà di Tizio (avente un valore di perizia di euro 224.000) era sottoposto dal 2013 a procedura esecutiva radicata dalla Banca X nonché gravato da ipoteche giudiziali a favore di altri istituti bancari (per un totale di euro 810.000). Dato che sussistevano anche numerosi protesti, il legale ha sconsigliato all’Istante di esperire azioni esecutive nei confronti di Tizio, considerata l’evidente antieconomicità delle stesse.
Successivamente la Società, valutata l’assoluta incapienza della procedura immobiliare, ha ritenuto di esperire un’azione esecutiva mobiliare presso la residenza del debitore, che si è tuttavia conclusa con esito negativo, attesa l’assenza di beni mobili pignorabili. Tale situazione è riscontrata nel verbale di pignoramento emesso dall’Ufficiale Giudiziario il 15 maggio 2019 dal quale risulta l’assenza di ulteriori beni e crediti pignorabili. In senso conforme è anche la successiva dichiarazione patrimoniale effettuata il 1° giugno 2019 presso la Corte di Appello dal debitore. Entrambi gli atti sono stati trasmessi in sede di documentazione integrativa.
Nell’ambito della documentazione integrativa, l’Istante precisa inoltre:
– che non ha mai preteso fideiussioni, garanzie reali o personali dai clienti e non gode di alcun patto di riservato dominio sulla merce fornita;
– che non ha intrapreso azioni risarcitorie nei confronti di Beta S.r.l., anche ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, non sussistendone i presupposti giuridici, in ragione della confessione resa implicitamente dal dipendente. L’Agente ha, infatti, agito privatamente con dolo a meri fini personali e per scopo di illecito lucro, in danno anche del suo datore di lavoro, che ne ha successivamente disconosciuto le mansioni e l’azione, interrompendo quindi il nesso di “causalità necessaria” che avrebbe potuto coinvolgere quest’ultimo ai sensi dell’articolo 2049 c.c.;
– che nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2014 ha operato conformemente al principio OIC 31 accantonamenti al fondo rischi per Euro 665.000,00 (ripresi integralmente a tassazione nel modello Unico SC 2015/14, rigo RF25) in ragione della (allora) sospetta truffa ordita da Tizio. Tale fondo rischi dedicato ha raggiunto l’importo di Euro 861.499,00 nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2015 – ritenuto congruo dall’Istante in quanto su parte delle forniture il collegamento con l’evento delittuoso non era ancora certo – ed è rimasto invariato negli esercizi successivi;
– che l’anzidetto fondo “(…) – nel caso fosse confermato il riconoscimento della definitività della perdita e la sua effettiva manifestazione – verrà utilizzato ai sensi del principio contabile citato”.
Tanto rappresentato, la Società chiede di conoscere:
1. la condotta da adottare, ai fini dell’IVA, per rettificare l’imposta a suo tempo corrisposta all’Erario senza potere realizzare la rivalsa, per evitare di restare inciso dal tributo e rispettare il principio di neutralità dell’imposta;
2. la corretta qualificazione, ai fini dell’IRES e dell’IRAP, dei componenti negativi di reddito di cui trattasi, dando per assodato che sono di competenza temporale del periodo d’imposta 2017, in quanto è in tale esercizio che la citata sentenza è divenuta irrevocabile e, quindi, l’Istante ha avuto la certezza giuridica della truffa subita e del conseguente danno patrimoniale.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
Ai fini IVA, l’Istante ritiene legittimo operare una rettifica ai sensi dell’articolo 26, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, in quanto la perdita dei beni (conseguente alla truffa subita) e il suo ammontare risultano accertati dal Tribunale con la citata sentenza (cfr. risoluzione 22 luglio 1978, n. 410713 e sentenze della Corte di Giustizia UE 14 luglio 2005, C-435/03, e 4 ottobre 2012, C-550/11).
Ai fini delle imposte dirette, la Società riferisce che, non avendo motivi per ritenere non veritieri gli ordini che le pervenivano nel corso del 2014 e del 2015 attraverso il suo Agente (ordini successivamente acclarati come falsi), ha contabilizzato i relativi ricavi negli anni di competenza, facendoli concorrere alla determinazione del reddito d’impresa.
Poiché nel corso del 2017 è intervenuta (e divenuta definitiva) la sentenza che ha accertato tali ordini come falsi, l’Istante ritiene che “quei ricavi devono essere stornati, ad ogni effetto – contabile, civilistico e tributario – attraverso una registrazione contabile successiva (…) che esprima la sopravvenienza dell’evento”.
Parere dell’agenzia delle entrate
Esula dall’analisi del presente interpello la corretta determinazione e quantificazione delle poste contabili, dei valori fiscali indicati in istanza e nei vari allegati prodotti, anche in relazione alle modalità di rilevazione degli ordini di acquisto ricevuti per il tramite dell’Agente, restando impregiudicato qualsiasi potere di controllo da parte dell’amministrazione finanziaria volto alla corretta determinazione, qualificazione e quantificazione fiscale degli stessi.
Il parere è, inoltre, reso in forza del presupposto che il danno accertato non è stato in alcun modo rimborsato dal reo, dalla società di cui era dipendente ovvero da qualunque altro soggetto.
Ai fini della soluzione del quesito n. 1), riguardante i profili IVA, si osserva che la possibilità di effettuare la rettifica dell’imposta, dopo l’emissione e la registrazione di una fattura attiva, è disciplinata dall’articolo 26 del d.P.R. n. 633 del 1972 (in seguito, “articolo 26”), che recepisce l’articolo 90 della Direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006.
In particolare, il comma 2 del citato articolo 26 riconosce al cedente il diritto di portare in detrazione l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’articolo 25 del medesimo d.P.R., quando l’operazione viene meno in tutto o in parte “in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili” nonché “per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose”.
La prima parte dell’anzidetta disposizione prevede la possibilità di effettuare la variazione in diminuzione dell’IVA a fronte di vari eventi, tra cui i vizi genetici del rapporto (quali la nullità, l’annullabilità e “simili”), giudizialmente accertati, tra i quali è possibile annoverare la fattispecie in esame.
Quando infatti il passaggio dei beni avviene indipendentemente dalla volontà del cedente – del tutto assente (come nell’ipotesi di furto) ovvero artatamente manipolata (come nell’ipotesi di truffa) – mancano i presupposti per sottoporre la “cessione” all’IVA, circostanza che sulla base di quanto affermato dall’Istante sembra essersi verificata nel caso in esame.
In particolare, nella fattispecie in commento, pur mancando i requisiti per l’assoggettamento ad IVA dell’operazione, quest’ultima è stata fatturata dalla Società in regime di imponibilità e l’imposta è stata versata dall’Istante senza esercitare in concreto la rivalsa.
Per recuperare detta imposta, nelle ipotesi di furto o truffa sussiste la possibilità di emettere note di variazione ai sensi dell’articolo 26, ovviamente nel presupposto che alla luce di elementi oggettivi, al momento dell’emissione delle fatture attive, il contribuente non sapeva e non poteva ragionevolmente sapere che si trattasse di un furto o di una truffa.
Con riferimento a una fattispecie analoga, infatti, concernente il riconoscimento del diritto a detrazione dell’IVA a fronte di un acconto pagato per una cessione di beni mai avvenuta a causa di una truffa, la Corte di Giustizia ha affermato che il diritto alla rettifica sopra richiamato “potrà tuttavia essere negato al suddetto acquirente qualora si accerti, alla luce di elementi oggettivi, che (…) egli sapeva o non poteva ragionevolmente ignorare che la realizzazione di tale cessione era incerta” (cfr. sentenza del 31 maggio 2018, cause riunite C-660/16 e C-661/16, punti 49, 51 e dispositivo).
Ne consegue che la possibilità da parte dell’Istante di recuperare l’IVA mediante l’emissione delle note di variazione è subordinata al presupposto che la Società, al momento dell’emissione delle fatture attive, non sapeva o non poteva ragionevolmente sapere che tale cessione era da considerare nulla perché oggetto di frode da parte del suo Agente. Tale condizione va accertata sulla base di elementi oggettivi, la cui verifica esula dalla competenze esercitabili dalla scrivente in sede di interpello e su cui rimane fermo ogni potere di controllo dell’amministrazione finanziaria.
Ciò posto va anche considerato che l’emissione della nota di variazione consente l’esercizio del diritto alla detrazione dell’imposta solo nei termini individuati dall’articolo 19 del d.P.R. n. 633 del 1972, ossia “al più tardi con la dichiarazione relativa all’anno in cui il diritto alla detrazione è sorto ed alle condizioni esistenti al momento della nascita del diritto medesimo”.
Nel caso di specie, il dies a quo coincide con l’irrevocabilità della sentenza che ha accertato la truffa (5 settembre 2017, secondo quanto rappresentato dalla parte). Risulta dunque spirato il termine previsto dal citato articolo 19.
Tuttavia, ferma l’impossibilità di presentare una dichiarazione integrativa IVA a favore ai sensi dell’articolo 8, comma 6-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322 (si veda, sul punto, la risposta ad interpello n. 55 del 2019 pubblicata lo scorso febbraio sul sito istituzionale dell’Agenzia), per recuperare l’imposta a suo tempo versata, l’Istante può avvalersi dell’articolo 30-ter del decreto IVA.
La Società, entro il 5 settembre 2019, è legittimata a chiedere, nel rispetto della norma richiamata, la restituzione dell’imposta versata. Ipotesi nella quale, con accertamento di fatto che esula dalla presente sede, l’Ufficio competente verificherà la presenza dei necessari presupposti, tra cui, in primis, la mancata detrazione dell’IVA in capo agli apparenti cessionari inconsapevolmente coinvolti nella truffa (almeno secondo la rappresentazione fornita).
In merito alla merce ordinata dall’Agente per uso personale e non pagata per euro 14.784,76, si rileva che secondo il combinato disposto dei commi 2 e 12 dell’articolo 26, il termine per emettere le note di variazione in diminuzione decorre “b) nell’ipotesi di pignoramento di beni mobili, quando dal verbale di pignoramento redatto dall’ufficiale giudiziario risulti la mancanza di beni da pignorare ovvero l’impossibilità di accesso al domicilio del debitore ovvero la sua irreperibilità” (si veda, in particolare, il comma 12).
La documentazione integrativa prodotta dall’Istante indica che il pignoramento in questione, con relativo verbale negativo, ha avuto luogo in data 15 maggio 2019. Da tale data, dunque, è possibile per la Società procedere all’emissione delle note di variazione con successiva conseguente detrazione dell’imposta.
Con riferimento al quesito n. 2), per quanto concerne i profili IRES, sul presupposto qui assunto acriticamente della corretta applicazione dei principi contabili e sempre che, come sopra detto, l’Istante non sapeva o poteva ragionevolmente ignorare la truffa, si ritiene che l’utilizzo del fondo (il cui accantonamento come già rappresentato era stato ripreso a tassazione, ai sensi del comma 4 dell’articolo 107 del TUIR approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917) determina la possibilità di operare una variazione in diminuzione nel periodo d’imposta in cui avviene, nei limiti della quota precedentemente accantonata.
A tal fine, sarà onere del contribuente predisporre e conservare la documentazione idonea a consentire all’amministrazione finanziaria di riscontrare la puntuale riconduzione della menzionata variazione in diminuzione all’ammontare originario dei ricavi, divenuti insussistenti a seguito della truffa oggetto della presente istanza.
Ai fini IRAP, si rammenta che il principio generale che sorregge il relativo sistema impositivo, così come ridisegnato dalla legge finanziaria 2008 (riforma IRAP), è quello della “presa diretta da bilancio” delle voci espressamente individuate e considerate rilevanti ai fini impositivi.
In particolare, l’abrogazione dell’articolo 11-bis del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (di seguito, decreto IRAP) – che riconosceva la rilevanza nell’IRAP delle variazioni fiscali effettuate ai fini delle imposte sul reddito – ha determinato lo “sganciamento” del tributo regionale dall’imposta sul reddito stesso rendendo, in tal modo, le modalità di calcolo del tributo più aderenti ai criteri adottati in sede di redazione del bilancio di esercizio.
Al riguardo, fermo restando che gli accantonamenti per rischi ed oneri in quanto rappresentano poste di natura estimativa non devono assumere rilevanza nella determinazione dell’IRAP, come chiarito con la circolare del 19 febbraio 2008, n. 12/E, i corrispondenti costi risultano deducibili dalla base imponibile IRAP solo al momento dell’effettivo sostenimento e sempre che siano riconducibili a voci rilevanti nella determinazione della base imponibile IRAP.
Ne consegue che l’insussistenza dei ricavi originari – che hanno concorso alla formazione del valore della produzione netta IRAP – assume rilievo ai fini del tributo regionale, nel periodo d’imposta in cui avviene l’utilizzo del fondo, in considerazione del principio di correlazione di cui all’articolo 5, comma 4, del decreto IRAP.
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