Circolare n. 218/E del 30 novembre 2000 dell’Agenzia delle Entrate
Alle Direzioni regionali delle entrate
Agli Uffici delle entrate
Agli Uffici distrettuali delle Imposte Dirette
Agli Uffici provinciali IVA
Agli Uffici del Registro
Ai Centri di Servizio delle Imposte Dirette e Indirette
e, per conoscenza:
Alle Direzioni Centrali del Dipartimento delle Entrate
Al Segretariato generale
Al Servizio Consultivo e Ispettivo Tributario
Al Comando Generale della Guardia di Finanza
L’argomento oggetto della presente circolare è stato esaminato in occasione della riunione tenutasi il 28 giugno 2000 con i responsabili dei Servizi di Consulenza Giuridica delle Direzioni Regionali delle Entrate. Al riguardo, si partecipano le definitive determinazioni cui è pervenuta la scrivente sulla base anche delle osservazioni emerse nella predetta riunione o successivamente pervenute dalle Direzioni Regionali.
Come è noto il lease back è un’operazione con la quale un’impresa commerciale o industriale vende un bene, di solito un immobile, ad un’impresa finanziaria che contestualmente concede in locazione finanziaria il bene medesimo all’impresa venditrice; quest’ultima corrisponde i pattuiti canoni, con facoltà di riacquistare la proprietà del bene venduto, al termine della durata del contratto, mediante il pagamento del prezzo stabilito per il riscatto.
Gli Uffici finanziari, in linea con l’indirizzo interpretativo manifestato sulla questione dal Servizio Centrale degli Ispettori Tributari, con delibera n. 80 del 22 novembre 1988, hanno considerato il descritto rapporto economico come un negozio con cui una società finanziaria presta denaro al proprietario di un bene il quale le trasferisce il bene stesso, fiduciariamente e senza corrispettivo, al solo scopo di garanzia, mantenendone, peraltro, la disponibilità.
Tale tesi si fondava su un orientamento dottrinale che riteneva l’operazione in esame, nel suo complesso, fungibile con il mutuo assistito da garanzia reale sui beni del mutuatario, riscontrandovi un’ipotesi di alienazione a scopo di garanzia, volta ad eludere il divieto del patto commissorio.
Dal punto di vista fiscale, sul presupposto della nullità, per illiceità della causa, degli accordi contrattuali – per quanto qui interessa, del negozio di trasferimento – è stata generalmente contestata, alle società di leasing, la detraibilità dell’IVA sul prezzo di acquisto del bene e, ai fini dell’imposizione diretta, la deducibilità delle relative quote di ammortamento. Sempre ai fini delle imposte dirette, si è proceduto, altresì, al recupero a tassazione dei canoni di leasing dedotti da parte dell’utilizzatore, salvo che per la quota riferibile agli interessi maturati, con contestuale disconoscimento della detraibilità dell’IVA addebitata dal locatore sugli stessi.
Successivamente, la giurisprudenza prevalente, maturata in ambito civilistico, è pervenuta a diverse conclusioni.
La Corte di Cassazione con sentenza n. 10805 del 1995 (cui sono seguite le sentenze n. 11276 del 1995; n. 6663 del 1997; n. 4612 del 1998), ha ritenuto che lo schema negoziale del lease back presenti autonomia strutturale e funzionale, quale contratto d’impresa, e caratteri peculiari di natura oggettiva e soggettiva che non consentono di ritenere che esso integri, per sua natura e nel suo fisiologico operare, una fattispecie che – in quanto realizzi una alienazione a scopo di garanzia – si risolva in un negozio atipico, nullo per illiceità della causa concreta.
In particolare, la Suprema Corte sottolinea che “le assonanze tra lease back e alienazione in garanzia collegata ad un mutuo sono indubbiamente consistenti e potrebbero fondare un giudizio di piena assimilazione qualora l’interprete si limitasse a porre a raffronto i due schemi negoziali astrattamente considerati. La diversificazione appare tuttavia apprezzabile qualora si proceda a valutare il lease back come operazione economica tipizzata dal suo essere inserita in un contesto socio-economico ben definito e cioè nella realtà dell’economia delle imprese (e vale precisare: delle imprese sane)”.
Il lease back, infatti, “si configura come operazione economica complessa, rispondente…. all’esigenza del venditore utilizzatore… di ottenere con immediatezza liquidità mediante l’alienazione di un suo bene strumentale…. conservando di questo l’uso, e con facoltà di riacquistarne la proprietà al termine del rapporto.”.
Nell’ambito di tale schema, la vendita all’impresa di leasing non risulta quindi piegata a scopo di garanzia, quale accessorio di un preesistente o concomitante mutuo, ma costituisce necessario presupposto per la concessione del bene in leasing: non è quindi, come si è rilevato, una vendita a scopo di garanzia ma una vendita a scopo di leasing. In questo contesto, la funzione di scambio non è estranea al lease back.
Peraltro, come precisato dalla stessa Corte di Cassazione, anche il lease back, come qualsiasi altro contratto, può essere impiegato per scopi illeciti o fraudolenti ed in particolare ai fini di violazione o di elusione del divieto di patto commissorio ex art. 2744 c.c.. Va da sè che in tal caso le operazioni effettuate in esecuzione del medesimo contratto, qualificato da causa illecita, non potrebbero trovare riconoscimento ai fini fiscali.
Preso atto del consolidato orientamento della giurisprudenza di merito e di legittimità che, in sintesi, riconosce in astratto, a tale operazione economico-finanziaria, scopi meritevoli di tutela e conformi all’ordinamento, si rende opportuno rivedere le posizioni interpretative finora seguite sull’argomento.
Quanto premesso, rilevate le diverse iniziative assunte in sede periferica in ordine alla problematica ricordata, si ritiene necessario, al fine di garantire l’uniformità dell’attività dell’Amministrazione Finanziaria, puntualizzare i comportamenti da seguire in materia, sia per quanto riguarda le iniziative da assumere in sede di controllo che con riferimento al contenzioso in atto.
In base alle conclusioni raggiunte dalla dottrina e dalla giurisprudenza, da ultimo ribadite dalla Suprema Corte con sentenza n. 9944 del 28 luglio 2000, in ordine alle quali non sono rilevabili validi motivi di contrasto, il trattamento da riservare, ai fini fiscali, ai rapporti che scaturiscono da un contratto di lease back, può essere così sintetizzato:
ai fini dell’imposta sul valore aggiunto:
a) cessione, nei confronti della società di leasing, del bene oggetto del contratto
L’operazione è soggetta a IVA, ricorrendo sia il presupposto oggettivo che quello soggettivo (l’utilizzatore del contratto di lease back è soggetto esercente attività commerciale);
b) concessione in leasing del bene
L’operazione rientra nel campo di applicazione dell’IVA in quanto ricorrono sia il presupposto soggettivo che quello oggettivo (prestazione di servizi resa dietro corrispettivo), con applicazione, ai sensi dell’art. 16, terzo comma, del richiamato D.P.R. n. 633 del 1972, dell’aliquota che sarebbe applicabile alla cessione del bene oggetto del contratto.
Trattandosi di prestazione di servizi, il momento di effettuazione dell’operazione coincide con il pagamento del corrispettivo, dal che consegue che il tributo va applicato sui canoni periodicamente addebitati all’utilizzatore;
c) riscatto del bene
Qualora l’utilizzatore si avvalga della facoltà di riscattare il bene al termine del contratto si concretizza, ai fini IVA, una operazione di cessione imponibile. La fattura emessa dalla società di leasing, relativa alla quota di riscatto, dovrà recare, quindi, l’indicazione dell’imposta applicata.
ai fini delle imposte sui redditi:
a) cessione del bene alla società finanziaria
Avendo ad oggetto un bene strumentale, la cessione dà luogo a una plusvalenza o a una minusvalenza, rispettivamente, imponibile ai sensi dell’art. 54 del TUIR, o deducibile, ai sensi dell’art. 66 del medesimo TUIR, in capo al cedente.
L’impresa di leasing cessionaria può dedurre, ai sensi dell’art. 67, comma 8, del TUIR, le quote di ammortamento del costo fiscalmente riconosciuto del bene oggetto del contratto.
b) concessione del bene in leasing
L’impresa concedente introita canoni di locazione finanziaria che costituiscono componenti positivi di reddito, ai sensi dell’art. 75 del TUIR e l’impresa utilizzatrice corrisponde canoni di locazione finanziaria che costituiscono componenti negativi di reddito deducibili, sussistendo le condizioni previste dal citato art. 67 del TUIR, comma 8, ai sensi dell’art. 75 del TUIR.
c) riscatto del bene al termine del contratto
Qualora l’utilizzatore si avvalga della facoltà di riscattare il bene, al termine del contratto, il prezzo del riscatto può essere ammortizzato ai sensi dell’art. 67 del TUIR.
Sulla base dell’esposta prospettazione gli uffici interessati sono invitati a riesaminare il contenzioso pendente, instauratosi sul presupposto dell’illiceità, in astratto, della causa del rapporto contrattuale, procedendo all’abbandono delle controversie con le modalità di rito (in via di autotutela, mediante il ritiro dell’atto impugnato, cui consegue la estinzione del giudizio per cessata materia del contendere ex articolo 46 del d.lgs 31 dicembre 1992, n. 546; ovvero, qualora sia già intervenuta sentenza sfavorevole, prestando acquiescenza o, se già proposta l’impugnazione, rinunciando all’appello ex art. 44 del citato decreto, avendo cura di pervenire ad un accordo con la controparte ai fini della compensazione delle spese).
È opportuno avanzare in giudizio, in ogni caso e in via subordinata, formale e motivata richiesta di compensazione delle spese, anche qualora ricorra l’ipotesi di cui al citato art. 46 del d.lgs. n. 546 del 1992.
Nel richiamare in proposito le disposizioni operative contenute nella circolare n. 138/E/97, in cui si auspica l’adozione di ogni accorgimento teso ad evitare le spese di lite, gli uffici avranno cura di assumere con immediatezza le opportune iniziative processuali, senza dover attendere la discussione della causa.
Sarà ugualmente necessario segnalare all’Avvocatura Generale dello Stato le posizioni pendenti avanti la Corte di Cassazione per le quali non si ritiene utile la discussione.
Le Direzioni Regionali vigileranno sulla corretta applicazione delle presenti istruzioni.
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