MINISTERO DELL’INDUSTRIA E DEL COMMERCIO
DIREZIONE GENERALE DEL COMMERCIO DELLE ASSICURAZIONI E DEI SERVIZI DIVISIONE II
Decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114
CIRCOLARE N. 3467/C del 28 maggio 1999
AGLI UFFICI PROVINCIALI
INDUSTRIA,COMMERCIO ED ARTIGIANATO
LORO SEDI
ALLE REGIONI
– PRESIDENZA
-ASSESSORATO AL COMMERCIO
LORO SEDI
COORDINAMENTO INTERREGIONALE
c/o REGIONE LIGURIA
VIA D’ANNUNZIO 113
16121 GENOVA
AI COMMISSARI DI GOVERNO
PRESSO LE REGIONI
LORO SEDI
ALL’A N C I
VIA DEI PREFETTI 46
00186 R O M A
ALLE CAMERE DI COMMERCIO,
INDUSTRIA, ARTIGIANATO E
AGRICOLTURA
LORO SEDI
ALL’UNIONCAMERE
PIAZZA SALLUSTIO, 21
00187 R O M A
ALLA CONFCOMMERCIO
PIAZZA G.G. BELLI, 2
00153 R O M A
ALLA CONFESERCENTI
VIA NAZIONALE 60
00184 R O M A
ALL’ A N C D
VIA CHIANA 38
00198 R O M A
ALL’ A N C C
VIA PANARO 14
00199 R O M A
ALLA CONFCOOPERATIVE
BORGO S. SPIRITO 78
00193 R O M A
In riferimento al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, recante la riforma della disciplina relativa al settore del commercio, si fa presente quanto segue.
Dal 24 aprile 1999, visto il disposto di cui all’art. 26, comma 1, sono abrogate le normative in materia di esercizio dell’attività commerciale previste dalla disciplina previgente.
Ciò significa, come già precisato nella circolare 25 marzo 1999, n. 3463, che, a partire da detta data, l’esercizio dell’attività è disciplinato dal decreto legislativo n. 114 del 1998, il quale è operante ed applicabile alle modalità di esercizio da esso disciplinate, ad eccezione di alcuni aspetti direttamente conseguenti alla emanazione di disposizioni regionali.
Detto decreto legislativo, infatti, mediante un meccanismo di efficacia diversificata delle disposizioni, ha previsto alcuni adempimenti a carico degli enti territoriali da attuare prima del 24 aprile 1999, la cui mancata emanazione comporta una serie di conseguenze applicative già evidenziate nella citata circolare n. 3463/C ed alla quale si fa rinvio.
Ciò premesso, per quanto concerne le disposizioni che hanno piena efficacia a partire dal 24 aprile 1999, al fine di rendere il più possibile uniforme la loro applicazione sul territorio, si ritiene opportuno fornire alcune precisazioni.
- Definizioni e ambito dì applicazione del decreto (Art 4)
1.1 L’art. 4, comma 1, lettera a), definisce commercio all’ingrosso “l’attività svolta da chiunque professionalmente acquista merci in nome e per conto proprio e le rivende ad altri commercianti, all’ingrosso o al dettaglio, o ad utilizzatori professionali, o ad altri utilizzatori in grande. Tale attività può assumere la forma di commercio interno, di importazione o di esportazione.”
L’esercizio dell’attività di commercio all’ingrosso dei prodotti appartenenti al settore non alimentare è subordinata, ai sensi dell’art. 5, comma 11, del decreto, al possesso dei requisiti morali indicati nell’art. 5, comma 2. Qualora detta attività sia svolta nel settore merceologico alimentare l’esercizio della medesima è subordinato anche al possesso di uno del requisiti professionali esplicitati nell’art. 5, comma 5, del decreto.
Ai fini dell’avvio dell’attività non è prevista né comunicazione al comune, né autorizzazione da parte del medesimo: pertanto la verifica del possesso dei requisiti prescritti deve essere effettuata dalla camera di commercio competente per territorio visto che l’operatore è tenuto alla presentazione di apposita domanda di iscrizione al Registro imprese, da effettuarsi, ai sensi del DPR n. 581/95 entro un mese dall’inizio.
1.2 L’art. 4, comma 1, lettera g), definisce il centro commerciale quale “una media o una grande struttura di vendita nella quale più esercizi commerciali sono inseriti in una struttura a destinazione specifica e usufruiscono di infrastrutture comuni e spazi di servizio gestiti unitariamente.”
La definizione, pertanto, non prevede un numero minimo di esercizi al fini della individuazione di un centro commerciale.
1.3 Va osservato altresì che il centro commerciale non è di per sé identificabile con una media o grande struttura di vendita potendo essere caratterizzato dalla presenza di soli esercizi di vicinato, da esercizi di vicinato e una o più medie e grandi strutture nonché da sole medie o grandi strutture di vendita.
La connotazione che individua la specificità del centro commerciale è infatti dovuta alla presenza di più esercizi, i quali risultano inseriti in una struttura a destinazione specifica e usufruiscono di infrastrutture comuni e spazi di servizio gestiti unitariamente.
La somma delle superfici degli esercizi in esso esistenti, la quale può essere corrispondente, ai sensi dell’art. 4, comma 1, lettera g), a quella prevista per la media o per la grande struttura di vendita, comporta la diversa procedura da seguire al fini dell’attivazione.
1.4 In relazione alle fattispecie escluse dalla applicazione del decreto, la scrivente ha precisato con circolare n. 3459/C del 18.1.1999 che, nel caso , di vendita nel locali di produzione o nel locali a questi adiacenti, del beni di produzione propria da parte delle imprese industriali, non si concreta la fattispecie definita quale attività di commercio al dettaglio alla lettera b) del comma 1 dell’art.4, in quanto i soggetti titolari di attività industriali non vendono merci acquistate da altri soggetti, ma esclusivamente quelle da loro prodotte.
Al riguardo, va ulteriormente precisato che la non applicabilità delle disposizioni del decreto agli industriali, non può comportare, l’esercizio da parte dei medesimi di un’attività identificabile, per modalità e contenuto, con quella professionalmente svolta ai fini commerciali.
In altri termini, affinché non ci sia attività professionalmente definibile come commercio, è necessario che la vendita dei prodotti da parte degli industriali avvenga in locali adiacenti il complesso produttivo, come peraltro previsto in passato.
- Requisiti per l’esercizio dell’attività commerciale (Art. 5)
2.1 A partire dal 24 aprile 1999, l’esercizio in qualsiasi forma di un’attività di commercio relativa al settore merceologico alimentare e/o non alimentare, anche se effettuata nei confronti di una cerchia determinata di persone, è consentita a chi è in possesso dei requisiti di onorabilità di cui all’art, 5, comma 2, del decreto.
In caso di società o di organismo collettivo, i requisiti di onorabilità devono essere posseduti da tutti i soggetti per quali è previsto l’accertamento antimafia ai sensi dell’art. 2, comma 3, del D.P.R. 252/1998.
Ciò premesso, si richiama l’attenzione sul disposto di cui al comma 6 dell’art.5, ai sensi del quale, in caso di società “il possesso di uno dei requisiti di cui al comma 5 è richiesto con riferimento al legale rappresentante o ad altra persona specificamente preposta all’attività commerciale”.
Ciò significa che, in caso di società, solo in relazione al possesso dei requisiti professionali si può fare riferimento al legale rappresentante o alla persona preposta.
2.2 Per quanto concerne il possesso di uno dei requisiti professionali di cui all’art. 5, comma 5, si osserva che, qualora la società o l’organismo collettivo intenda indicarne il possesso in capo “ad altra persona specificamente preposta all’attività commerciale”, questa deve risultare designata con apposito atto.
Considerata la specificità richiesta dalla disposizione si ritiene altresì che non possa essere nominato un medesimo preposto per più società.
2.3 A partire dal 24 aprile 1999, l’esercizio in qualsiasi forma di un’attività di commercio relativa al settore merceologico alimentare, anche se effettuata nel confronti di una cerchia determinata di persone, è consentito a chi è in possesso di uno dei requisiti professionali di cui alle lettere a), b), c) del comma 5 dell’art. 5 del decreto.
Al riguardo, si richiama l’attenzione sul requisito di cui alla lettera a) del comma 5, ossia la frequenza con esito positivo di un corso professionale per il commercio relativo al settore merceologico alimentare, istituito o riconosciuto dalla regione o dalle province autonome di Trento e Bolzano, nonché sul disposto di cui al comma 7, il quale prevede che le “regioni stabiliscono le modalità di organizzazione, la durata e le materie del corso professionale di cui al comma 5, lettera a) (…)” e del comma 8 che individua i temi e le materie oggetto del corsi.
In conseguenza, infatti, delle disposizioni richiamate, la mancata esecuzione da parte delle regioni degli adempimenti di cui ai citati commi 7 e 8 dell’art. 5, peraltro sollecitati dallo scrivente con nota n. 530105 dell’11.2.1999 inviata al Coordinamento interregionale degli Assessorati alla formazione, rende di fatto impraticabile per i soggetti interessati la possibilità di usufruire del requisito di cui all’art. 5, comma 5, lettera a).
Ciò premesso e ferma restando la competenza istituzionale in capo agli enti regionali in materia di formazione professionale, si sottolinea che gli adempimenti richiesti dalla normativa in esame – ove già ad essi non si sia provveduto – potrebbero consistere allo stato attuale, nell’integrazione dei programmi dei corsi abilitanti autorizzati in vigenza della legge 426 del ’71 con le materie idonee ad assicurare la conoscenza delle ulteriori discipline individuate dal vigente D. L.vo 114/98 (cfr. at. 5, c. 8).
2.4 Si richiama l’attenzione sul disposto di cui al comma 9 del citato art. 5, in base al quale le regioni sono chiamate anche a stabilire “le modalità di organizzazione, la durata e le materie, con particolare riferimento alle normative relative all’ambiente, alla sicurezza e alla tutela e informazione dei consumatori, oggetto di corsi di aggiornamento finalizzati ad elevare il livello professionale o riqualificare gli operatori in attività”. Visto il disposto di cui all’art. 10, comma 2, del decreto, infatti, la frequenza degli istituendi corsi di aggiornamento da parte degli operatori in attività, rende possibile il riconoscimento della priorità in caso di presentazione di istanze relative all’apertura di una media o di una grande struttura di vendita.
2.5 In conseguenza di quanto esplicitato al punto 2.3 e in considerazione delle oggettive difficoltà in capo agli aspiranti commercianti del settore alimentare, si fa presente di ritenere che possa essere considerato valido al fini del riconoscimento del possesso del requisito professionale di cui all’art. 5, comma 5, lettera a), del decreto anche l’attestato relativo alla frequenza con esito positivo di un corso abilitante per il settore merceologico alimentare istituito o riconosciuto dalla regione o dalle province autonome di Trento e Bolzano, in base alla normativa pregressa, concluso o iniziato entro il 24 aprile 1999.
2.6 L’art. 5, comma 5, lettera b), riconosce valido quale requisito professionale ai fini dell’esercizio di un’attività di commercio relativa al settore alimentare 1′”aver esercitato in proprio, per almeno due anni nell’ultimo quinquennio, l’attività di vendita all’ingrosso o al dettaglio di prodotti alimentari, o avere prestato la propria opera, per almeno due anni nell’ultimo quinquennio, presso imprese esercenti l’attività nel settore alimentare, in qualità di dipendente qualificato addetto alla vendita o all’amministrazione o, se trattasi di coniuge o parente o affine, entro il terzo grado dell’imprenditore, in qualità di coadiutore o familiare, comprovata dalla iscrizione all’INPS”.
Al riguardo si precisa, ai fini dell’individuazione del periodo, che l’esercizio dell’attività deve essere stato svolto per almeno due anni con riferimento al quinquennio anteriore alla presentazione della comunicazione o della richiesta di autorizzazione.
2.7 L’art. 5, comma 5, lettera c) riconosce valido quale requisito professionale ai fini dell’esercizio di un’attività di commercio relativa al settore alimentare l”‘essere stato iscritto nell’ultimo quinquennio al registro esercenti il commercio di cui alla legge 11 giugno 1971, n.426, per uno dei gruppi merceologici individuati dalle lettere a), b) e c) dell’articolo 12, comma 2, del decreto ministeriale 4 agosto 1988, n. 375″.
Al riguardo, si precisa che il possesso del requisito professionale di cui alla lettera c) del comma 5 dell’art. 5 non presuppone l’iscrizione al REC per tutto il quinquennio antecedente al 24 aprile 1999.
Ciò significa che a tutti coloro che hanno ottenuto l’iscrizione al REC per uno dei gruppi merceologici individuati dalle lettere a), b) e c) dell’art. 12, comma 2, del decreto ministeriale 4 agosto 1988, n. 375, può essere riconosciuto il possesso del requisito professionale, a prescindere dal periodo di iscrizione e per tutto il quinquennio successivo al 24 aprile 1999.
Si osserva, altresì, che può ritenersi in possesso della qualificazione richiesta nei limiti suddetti, anche il soggetto che risulti iscritto al REC per l’attività di commercio all’ingrosso dei prodotti alimentari.
- Esercizi di vicinato (Art. 7)
3.1 Ai sensi dell’art. 7, comma 1, l’apertura, il trasferimento di sede e l’ampliamento della superficie di vendita fino al limiti di cui all’art. 4, comma 1, lettera d), del decreto sono soggetti a previa comunicazione al comune competente per territorio e non possono essere effettuati prima del decorso di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione da parte del comune stesso. Pertanto l’attivazione può avvenire anche in data successiva al trentesimo giorno.
3.2 La dichiarazione sull’esito della “valutazione in caso di applicazione della disposizione di cui all’art. 10, comma 1, lett. c)” prevista alla lettera d) del comma 2 dell’art. 7 va ovviamente indicata solo nel caso in cui il comune, con apposito provvedimento, abbia individuato il periodo (comunque non superiore a due anni) nel quale applicare l’inibizione o la sospensione degli effetti della comunicazione dell’apertura degli esercizi di vicinato, sulla base del criteri indicati dalla regione ai sensi del predetto art. 10, comma 1, lettera c) previa specifica valutazione della singola comunicazione stessa.
Detto Provvedimento, peraltro, non può in ogni caso essere assunto dai comuni nei cui ambiti territoriali non sia dato riscontrare la sussistenza delle caratteristiche di cui alle lettere a), b) e c) dell’at. 6, comma 3.
4 Medie e grandi strutture di vendita (Artt. 8 e 9)
4.1 Per quanto concerne le medie e le grandi strutture di vendita, si richiama l’attenzione sul contenuto della già citata circolare n. 3463/C.
Nella predetta, infatti, si è fatto richiamo agli adempimenti previsti negli articoli 6 e 10 del decreto, i quali consistono nella emanazione rispettivamente della normativa inerente la programmazione della rete distributiva al dettaglio sulle aree private in sede fissa e delle disposizioni atte a garantire lo sviluppo della rete commerciale-
Alle suddette disposizioni i comuni devono adeguare gli strumenti urbanistici generali e attuativi e i regolamenti di polizia locale (art. 6, comma 5), i criteri e le norme procedimentali per il rilascio delle autorizzazioni relative alle medie strutture di vendita (art. 8, commi 3 e 4).
L’eventuale mancata emanazione dei provvedimenti nei termini assegnati per l’emanazione dei provvedimenti da parte degli enti territoriali determina, nella sostanza, l’impossibilità di avvio dell’attività sia nelle tipologie di esercizio individuate dal decreto con la denominazione di medie strutture di vendita, per le quali il rilascio dell’autorizzazione è subordinato al criteri adottati dal comune “sulla base delle disposizioni regionali”, oltre che degli obiettivi indicati all’art. 6 (cfr.art.8, comma 3); sia nelle tipologie di esercizio denominate grandi strutture di vendita, considerato che la domanda di rilascio della autorizzazione “è esaminata da una conferenza di servizi (..) in base alla conformità dell’insediamento ai criteri di programmazione di cui all’art. 6” (art.9, comma 3) e che è la regione ad adottare “le norme sul procedimento concernente le domande relative alle grandi strutture di vendita” (art. 9, comma 5).
La mancata emanazione dei provvedimenti di cui all’art. 10 del decreto, poi, impedisce: l’attuazione di interventi per favorire lo sviluppo della rete commerciale nelle aree montane, rurali e insulari (cfr. comma 1, lett. a) l’attribuzione di maggiori poteri ai comuni relativamente alla localizzazione e all apertura degli esercizi di vendita nei centri storici e nelle aree o edifici aventi valore storico, archeologico, artistico e ambientale (cfr. comma 1, lett b); nonché l’esercizio del potere di sospendere o inibire per un periodo non superiore a due anni, gli effetti della comunicazione di apertura degli esercizi di vicinato nelle aree metropolitane, nelle aree sovracomunali configurabili come unico bacino di utenza e nei centri storici.
Non sarebbero indicati, inoltre, né i criteri e le modalità ai fini del riconoscimento della priorità alle domande di rilascio dell’autorizzazione all’apertura di una media o grande struttura di vendita risultante dalla concentrazione di preesistenti medie e grandi strutture (cfr. art. 10, comma 2); nè i casi in cui l’autorizzazione all’apertura di una media struttura di vendita e all’ampliamento della superficie di una media o di una grande struttura di vendita è dovuta a seguito di concentrazione o accorpamento di esercizi autorizzati, ai sensi dell’art- 24 della legge 11.6.1971, n. 426, per i generi di largo e generale consumo (cfi-. art. 10, comma 3).
4.2 Il 3° comma dell’art. 8 non prevede un termine entro cui i comuni devono adottare i criteri per il rilascio delle autorizzazioni all’apertura delle medie strutture di vendita. Detta previsione non può non essere correlata al comma 5 dell’art. 6, che fissa il termine di 180 giorni dall’emanazione degli indirizzi regionali per l’adeguamento degli strumenti urbanistici comunali.
Tale interpretazione, sebbene in assenza della norma legislativa, risulta in linea con la stretta connessione, operata dal decreto 114/98, tra pianificazione urbanistica e programmazione commerciale.
- Orari di apertura e di chiusura (Art. 11 e 13)
5.1 Sono operanti dal 24 aprile 1999 le disposizioni in materia di orari contenute negli articoli 11 e 13 del decreto. Pertanto gli orari di apertura e di chiusura al pubblico degli esercizi di vendita al dettaglio sono rimessi alla libera determinazione degli esercenti nel rispetto delle disposizioni dell’art. 11 e dei criteri emanati dai comuni ai sensi dell’art.11, comma 1.
Il limite del rispetto delle disposizioni dell’art. 11 si traduce nei seguenti obblighi:
- divieto di apertura prima delle ore 7.00 e di chiusura dopo le ore 22.00 (salvo la deroga di cui all’art. 13, comma 3) e divieto di superare il numero delle 13 ore di apertura giornaliera (art. 11, comma 2);
- divieto di apertura domenicale e festiva (salvo la deroga contenuta nell’art. 11, comma 5) e divieto di apertura durante la mezza giornata di chiusura infrasettimanale nei casi in cui ciò sia stabilito dai comuni.
5.2 Al divieto di apertura degli esercizi commerciali dopo le ore 22.00 si può derogare nel caso previsto dall’art. 13, comma 3, il quale dispone che: “I comuni possono autorizzare, in base alle esigenze dell’utenza e alle peculiari caratteristiche del territorio, l’esercizio dell’attività di vendita in orario notturno esclusivamente per un limitato numero di esercizi di vicinato”.
Trattandosi di norma esplicitamente qualificata come speciale, essa va intesa come deroga ad entrambe le prescrizioni contenute nell’art. 11, comma 2 (limite delle ore 22.00 e limite delle 13 ore di apertura giornaliera).
5.3 Ad avviso della scrivente la disposizione di cui all’art. 13, comma 3, consente di autorizzare anche l’apertura in orario anteriore alle ore 7.00, ove ciò risulti rispondente alle esigenze dell’utenza e alle peculiari caratteristiche del territorio. Quanto sopra considerato che la fascia di apertura diurna è stabilita dall’art. 11, comma 2, dalle ore 7 alle ore 22.
5.4 Ai sensi dell’art. 11, comma 5, i comuni devono individuare otto domeniche o festività nei mesi da gennaio a novembre nelle quali consentire l’apertura in aggiunta a quelle del mese di dicembre direttamente previste dalla norma.
Si precisa che, ai sensi dell’art. 11, comma 5, i comuni individuano, ove le circostanze lo consentano, anche le zone del territorio nelle quali gli esercenti possono derogare all’obbligo di chiusura domenicale e festiva: le otto giornate di deroga, pertanto, possono anche essere differenziate secondo le zone del territorio comunale.
5.5 il numero di otto domeniche o festività, oltre quelle del mese di dicembre, è fissato dall’art. 11, comma 5. Non è pertanto riducibile o ampliabile con provvedimenti comunali o regionali, per quanto di carattere legislativo.
5.6 l’art. 11, comma 4, prevede che “gli esercizi di vendita al dettaglio osservano (…) nei casi stabiliti dai comuni, sensite le organizzazioni di cui al comma 1″ (organizzazioni locali dei consumatori, delle imprese del commercio e dei lavoratori dipendenti), la mezza giornata di chiusura infrasettimanale”.
Ciò significa che è facoltà del comune stabilire la mezza giornata di chiusura infrasettimanale, la quale può essere differenziata per settore merceologico e per zona. Qualora venga istituita è obbligo dell’esercente il rispetto della medesima.
- Pubblicità dei prezzi (Art. 14)
6.1 L’art 14, comma 1, dispone che “i prodotti esposti per la vendita al dettaglio nelle vetrine esterne o all’ingresso del locale e nelle immediate adiacenze dell’esercizio o su aree pubbliche o sui banchi di vendita al pubblico, mediante l’uso di un cartello o con altre modalità idonee allo scopo”.
Al riguardo, si precisa di ritenere che, ai fini della corretta informazione del consumatore, finalità primaria della disposizione in discorso, e considerate le esigenze di prevenzione della criminalità, particolarmente necessarie in relazione a determinate ripologie di esercizi, nel caso di prodotti d’arte e di antiquariato nonché di oreficeria, possa ritenersi rispettato l’obbligo di pubblicità del prezzo mediante modalità idonee allo scopo, anche tramite l’utilizzo sul singolo prodotto di un cartellino visibile dall’interno dell’esercizio e non dall’esterno.
- Vendite strordinarie (Art. 15)
7.1. L’art. 15 del decreto definisce le vendite straordinarie e ne individua le tipologie distinguendole in vendite di liquidazione, vendite di fine stagione e vendite promozionali.
Si evidenzia che l’art. 15, comma 6, dispone che le “ragioni, sentiti i rappresentanti degli enti locali, le organizzazioni dei consumatori e delle imprese del commercio, disciplinano le modalità di svolgimento, la pubblicità anche ai fini di una corretta informazione del consumatore, i periodi e la durata delle vendite di liquidazione e delle vendite di fine stagione.
La mancata emanazione di una regolamentazione regionale comporta che tali forme di vendita possono essere effettuate liberamente, purchè siano rispettate le disposizioni dell’art. 15 del decreto.
Resta ferma, ad avviso dello scrivente, la possibilità di assunzione da parte del comuni – unitamente alle associazioni di categoria – di eventuali iniziative volte a garantire in un’ottica di autodisciplina la trasparenza delle modalità di effettuazione, anche a tutela dei consumatori.
A questo proposito, si auspica che in merito ai saldi per la determinazione dei periodi di effettuazione, si faccia ove possibile riferimento ai limiti temporali ai quali la precedente disciplina aveva abituato i consumatori.
7.2 Nel caso di vendite straordinarie lo sconto o il ribasso deve essere espresso in percentuale sul prezzo normale di vendita che deve essere comunque esposto (cfr. comma 5). Stante la lettera della norma si ritiene che tale obbligo non riguardi il relativo materiale pubblicitario.
- Forme speciali di vendita (Artt 16, 17, 18, 19 e 20)
8.1 Alla comunicazione al comune competente per territorio prevista dagli artt. 16, 17, 18, 19 e 20 del decreto, al fini dell’avvio di una forma speciale di vendita, è soggetto, ovviamente, colui che intende avviare l’attività
Ad essa non sono tenuti pertanto gli esercenti che già svolgono legittimamente dette attività.
Resta fermo il rispetto di tutti gli adempimenti al fini dell’esercizio previsti dalle disposizioni contenute nei su citati articoli in materia di forme speciali di vendita. Pertanto risulta necessario che gli esercenti interessati nel caso in cui non operino in conformità alla nuova normativa si adeguino alla stessa al fine di evitare l’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 22.
- Sanzioni (Art- 22)
9.1 In relazione al termine “oblazione” di cui all’art. 22, comma 2, e 29, comma 3, del decreto, si precisa che il medesimo deve essere inteso in relazione all’istituto giuridico cui si riferisce.
Detto termine, pertanto, deve intendersi quale “pagamento in misura ridotta”, coerentemente con le disposizioni della legge 689 del 1981 che disciplinano la materia delle sanzioni amministrative.
9.2 L’art. 22, comma 4, che introduce l’istituto della revoca, si applica a tutte le autorizzazioni, precedenti e successive all’entrata in vigore del decreto legislativo. Ne discende che l’applicazione di tale istituto riguarda ciascuno dei fatti contemplati dalle singole disposizioni previste dal predetto comma 4, tra cui la sospensione dell’attività per un anno o il mancato inizio di essa per uno o due anni a seconda delle dimensioni dell’esercizio e salva la possibilità di proroga prevista dalla lettera a) dello stesso comma.
Quanto sopra, considerato che quello di “esercizio autorizzato” è uno “status”, e, come tale ricadente sotto la nuova disciplina a prescindere dal momento e dai presupposti che lo hanno generato.
Resta inteso che dal punto di vista del soggetto direttamente interessato l’istituto in argomento assume la connotazione della “decadenza” sicché lo stesso sarà sanzionabile indipendentemente dal fatto che non sia ancora intervenuto un provvedimento di revoca, ove, nonostante venga a trovarsi in una delle situazioni previste dal comma 4, avvii ovvero riprenda l’esercizio dell’attività.
- Disposizioni transitorie- Concentrazione di esercizi di vendita (Art. 25, comma 3)
10.1 L’art. 25, comma 3, del decreto ha previsto che fino al 24 aprile 1999 “non può essere negata l’autorizzazione all’apertura di un esercizio avente una superficie di vendita non superiore a 1.500 mq in caso di concentrazione di esercizi di vendita di cui all’art- 4, comma 1, lett. d), operanti nello stesso comune e autorizzati ai sensi dell’art. 24 della legge 11.6.1971, n. 426, alla data di pubblicazione del presente decreto, per la vendita di generi di largo e generale consumo”.
Il comma 4 del medesimo articolo ha sospeso dal 24 aprile 1998 al 24 aprile 1999 la presentazione delle domande di apertura “tranne nel caso di cui al comma 3”.
In conseguenza del combinato disposto dei su citati commi dell’art. 25, devono ritenersi legittimamente presentate le domande di apertura ai sensi dell’art. 25,
comma 3, per tutto il periodo transitorio (24.4.1998-24.4.1999).
Di conseguenza, le autorizzazioni relative devono essere rilasciate purché l’interessato dimostri di essere in regola alla data di cessazione de1 periodo transitorio, con quanto richiesto dall’art. 25, comma 3 (gli atti di trasferimento in proprietà relativi agli esercizi da concentrare, l’appartenenza dei medesimi alla tipologia dimensionale degli esercizi di vicinato e autorizzati ex lege n. 426 per la vendita dei generi di largo e generale consumo, nonché, ovviamente, il possesso da parte del richiedente dei requisiti prescritti).
- Disposizioni finali. Subingresso (Art. 26, comma 5)
11.1 L’art. 26 del decreto, al comma 5, prevede l’obbligo di comunicare al comune, territorialmente competente, i casi di trasferimento della gestione o proprietà dell’esercizio commerciale, per atto tra vivi o mortis causa, nonché la cessazione dell’attività relativa agli esercizi di cui agli articoli 7, 8 e 9.
Per le modalità di adempimento di tale obbligo, la norma fa riferimento all’articolo 7, commi 1 e 2 del d. lgs, n. 114/98.
Il primo comma dell’art. 7 riguarda l’apertura, trasferimento di sede ed ampliamento degli esercizi di vicinato, e prevede un termine di 30 giorni, dal momento del ricevimento della comunicazione, prima che l’istante possa procedere all’apertura, trasferimento o ampliamento dell’esercizio.
Il secondo comma individua il contenuto della comunicazione.
A ben vedere nel caso dei subingressi sia inter vivos che mortis causa ci si trova di fronte ad una modificazione meramente soggettiva del titolare, mentre nessuna modificazione interviene con riguardo all’azienda commerciale. Quindi in tali casi non vi è alcuna nuova apertura. Ciò comporta che il riferimento all’art. 7, commi 1 e 2 vada fatto per le disposizioni applicabili alla fattispecie in esame: in particolare l’art- 7, comma 1, si ritiene applicabile unicamente alla comunicazione al comune senza necessità dell’attesa dei trenta giorni in quanto trattandosi di subingresso nella medesima attività commerciale l’attesa del suddetto termine confliggerebbe con evidenti ragioni di continuità economica. Coerentemente con quanto sopra esposto l’art. 7, comma 2, si ritiene applicabile solo con riferimento alla lettera a).
Per le motivazioni su esposte i1 riferimento al decorso dei 30 giorni nel modello COM 1 e COM 3 della modulistica approvata con deliberazione del 13.04.99 della Conferenza unificata (ex art. 8 del D.L.vo n.281/1997) non deve intendersi applicabile in caso di prosecuzione per subingresso; la stessa dizione di “apertura” riferita al subingressi nel modello va pertanto analogamente intesa nello stesso senso.
11.2 In caso di subingresso mortis causa in un’attività avente ad oggetto la commercializzazione di prodotti alimentari, se il subentrante non è in possesso del requisito professionale richiesto dall’attuale disciplina, egli è tenuto ad acquisirlo. Si ritiene che l’acquisizione possa avvenire entro sei mesi dall’apertura della successione in analogia con i termini concessi dall’amministrazione finanziaria ai fini della denuncia di successione. Ciò peraltro non significa che gli eredi in questione non siano tenuti all’immediata comunicazione o domanda di autorizzazione riservandosi di comunicare i dati relativi al requisito professionale in un momento successivo.
11.3 All’interpretazione adottata nel punto 11.1 è ancor più necessario ricorrere per l’applicazione delle norme sul subingresso nel settore della somministrazione di alimenti e bevande. Tale materia è oggi regolata dalla legge 25.8.1991, n. 287 e, in mancanza del regolamento di attuazione, si è applicato finora, per analogia, l’art. 49 del D.M. 4.8.1988, n. 375 (concernente il subingresso nel commercio in sede fissa) abrogato dall’art. 26, comma 1, del decreto 114/98.
L’art. 7 della citata legge n. 287 dispone che “il trasferimento della gestione o della titolarità di un esercizio di somministrazione al pubblico di alimenti e di bevande per atto tra vivi o a causa di morte comporta la cessione all’avente causa dell’autorizzazione di cui all’art. 3, sempre che sia provato l’effettivo trasferimento dell’attività e il subentrante sia regolarmente iscritto nel registro di cui all’art. 2.”
Pertanto, essendo l’atto di trasferimento e della gestione o della titolarità a comportare la cessione dell’autorizzazione al dante causa, si ritiene che anche in caso di subingresso nell’attività di somministrazione di alimenti e bevande sia applicabile esclusivamente la modalità della previa comunicazione al comune competente per territorio e che non trovi applicazione, l’ulteriore necessità del decorso del trenta giorni dal ricevimento della comunicazione.
11.4 Considerata l’imprevedibilità dell’evento è implicita la impossibilità di preventiva comunicazione di cessazione dell’attività in caso di decesso del titolare.
- Affido in gestione di reparto
12.1 Il decreto n. 114 non menziona la fattispecie dell’affidamento in gestione di uno o più reparti di un esercizio commerciale organizzato in relazione alla gamma di prodotti trattati ed alle tecniche di prestazione del servizio. Ciò non significa che abbia inteso vietarla ritenendosi che la fattispecie sia rimessa all’autonomia negoziale delle parti-
Di conseguenza, il titolare dell’esercizio può affidare uno o più reparti ad un soggetto in possesso del requisiti prescritti, affinché li gestisca in proprio previa comunicazione al comune competente per territorio.
Gli UU.PP.I.C-A. sono pregati di trasmettere la presente circolare a tutti i comuni delle rispettive circoscrizioni e di darne la massima diffusione possibile.
Il Ministro
Pierluigi Bersani
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