MINISTERO LAVORO E POLITICHE – Nota 04 marzo 2020, n. 2243

Codice del Terzo settore – Articolo 4, comma 2 – Direzione, coordinamento e controllo degli enti del Terzo settore – Prime indicazioni

L’art. 1, comma 1 della legge n. 106/2016, recante “Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale” definisce il Terzo settore “…il complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi…”. La disposizione prosegue, stabilendo che “non fanno parte del Terzo settore le formazioni e le associazioni politiche, i sindacati, le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche”.

Già la legge delega, pertanto, contiene una prima, chiara statuizione, allorquando fissa come uno degli elementi qualificanti l’ente del Terzo settore (ETS) la sua natura privatistica, con conseguente esclusione delle pubbliche amministrazioni dal perimetro del Terzo settore, nel quale non rientrano altresì le altre categorie di soggetti indicati nella medesima legge.

Tale principio viene ripreso dal d.lgs. n.117/2017 (Codice del Terzo settore), il quale, all’articolo 4, dopo aver fornito la definizione di ETS, secondo la quale “sono enti del Terzo settore le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore”, al successivo comma 2 individua i soggetti che non fanno parte del Terzo settore, stabilendo che “non sono enti del Terzo settore le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del D.lgs. n. 165/2001, le formazioni e le associazioni politiche, i sindacati, le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche, le associazioni di datori di lavoro” (ai quali per brevità si farà riferimento, nel prosieguo, anche come “soggetti esclusi”), “nonché gli enti sottoposti a direzione e coordinamento o controllati dai suddetti enti”.

Si deve evidenziare che l’esclusione dalla perimetrazione soggettiva del Terzo settore di tali categorie di enti, così come individuate nelle disposizioni sopra citate, non costituisce una novità per il nostro ordinamento giuridico. Il Codice, infatti, ripropone le analoghe previsioni rinvenibili, rispettivamente, nella disciplina in tema di ONLUS (articolo 10, comma 10 del d.lgs. n.460/1997) e in tema di APS (articolo 2, comma 2 della legge n. 383/2000). Inoltre, attraverso l’esclusione degli enti sottoposti a direzione, coordinamento o controllo, esso si preoccupa di evitare ogni possibile effetto di aggiramento indiretto della previsione normativa dell’esclusione dal Terzo settore delle categorie dianzi ricordate, che si potrebbe concretizzare attraverso l’individuazione di figure soggettive che, pur essendo formalmente distinte dai soggetti esclusi, sono comunque sottoposte ad un’influenza dominante da parte di questi ultimi, ravvisabile nella soggezione dell’ETS a direzione, coordinamento o controllo da parte di uno o più dei soggetti esclusi.

Giova rammentare che il medesimo articolo 4, comma 2 prevede con riferimento alle suddette situazioni di esclusione alcune eccezioni, aventi carattere tassativo:

– i soggetti operanti nel settore della protezione civile;

– i corpi volontari dei vigili del fuoco delle Province autonome di Trento e di Bolzano e della Regione autonoma della Valle d’Aosta;

– le associazioni o fondazioni di diritto privato ex IPAB derivanti dai processi di trasformazione delle istituzioni pubbliche di assistenza o beneficenza.

Le prime due categorie fanno riferimento a strutture, a forte base volontaristica, organizzate e stabilmente costituite, operanti con continuità, incardinate nei rispettivi sistemi territoriali di protezione civile e di sicurezza antincendio e collegate alle amministrazioni pubbliche da relazioni disciplinate dalla normativa particolare. Con riguardo all’eccezione prevista per le associazioni e fondazioni ex IPAB, la medesima norma specifica che l’esclusione dall’ambito applicativo del citato art. 4, comma 2 è determinata dal fatto che “la nomina da parte della pubblica amministrazione degli amministratori di tali enti si configura come mera designazione, intesa come espressione della rappresentanza della cittadinanza, e non si configura quindi mandato fiduciario con rappresentanza, sicché è sempre esclusa qualsiasi forma di controllo da parte di quest’ultima”. Di per sé sola, la nomina di uno o più componenti degli organi di amministrazione nelle associazioni e nelle fondazioni ex IPAB, effettuata dall’ente locale non configura necessariamente un’ipotesi di controllo esercitato sull’ associazione o sulla fondazione medesima, tale per cui la stessa debba essere annoverata nel “gruppo amministrazione pubblica”, come definito nell’allegato n.4/4 del d.lgs. 23 giugno 2011, n.118, recante disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi. In tal senso si è recentemente espressa la Commissione per l’armonizzazione degli enti territoriali (Commissione Arconet), istituita presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze ai sensi dell’articolo 3- bis del menzionato d.lgs. n.118/2011, specificando che è necessario, al fine di stabilire se una ex IPAB deve essere inclusa o meno nel “gruppo amministrazione pubblica”, l’attento esame dell’atto costitutivo e dello statuto al fine di verificare se sussista almeno una delle altre condizioni previste dalla disciplina di cui al d.lgs. n. 118/2011 (ad esempio l’obbligo di ripianare i disavanzi).

Fatta questa precisazione, si deve evidenziare che se da un lato nel Codice non è rinvenibile un’espressa definizione della nozione di direzione, coordinamento e controllo, dall’altro il medesimo d.lgs. n.117/2017 fornisce una chiave interpretativa di tali concetti, per effetto della previsione contenuta nell’articolo 3, il quale nel disegnare il sistema delle fonti del diritto applicabili agli ETS, al comma 2 prevede che in mancanza di un’espressa disciplina contenuta nel d.lgs. n. 117/2017, trovano applicazione, in quanto compatibili, le norme del codice civile. In virtù di tale disposizione, si deve in primo luogo prendere in considerazione l’articolo 2359 del codice civile, secondo il quale la situazione di controllo può ricorrere nelle seguenti situazioni:

– può derivare da una partecipazione maggioritaria al capitale di una società, tale da determinare la disponibilità della maggioranza di voti esercitabili nell’assemblea ordinaria (c.d. “controllo interno di diritto” – art. 2359, comma 1, n. 1, c.c.);

– può derivare da una partecipazione minoritaria, la quale tuttavia per la presenza di azioni senza diritto di voto o per l’assenteismo diffuso degli altri azionisti, consenta di far prevalere la propria volontà nell’assemblea ordinaria e quindi imprimere, attraverso la nomina degli amministratori e dei sindaci, l’indirizzo amministrativo della società: ciò determinerebbe una disponibilità di voti comunque sufficienti per esercitare un’influenza dominante nella medesima assemblea ordinaria (c.d. “controllo interno di fatto” – art. 2359, comma 1, n. 2, c.c.);

– può derivare, inoltre, da particolari vincoli contrattuali che consentono ad un soggetto di esercitare un’influenza dominante sulla società (c.d. “controllo esterno di fatto” – art. 2359, comma 1, n. 3, c.c.).

Si ritiene che tale nozione possa essere presa in considerazione, con i dovuti adattamenti, anche al fine di identificare la situazione di “controllo” rilevante ai fini dell’art. 4, comma 2 del d.lgs. n. 117 del 2017. In particolare, occorre rilevare che gli enti del Terzo settore non possono essere costituiti in forma societaria (a differenza della particolare categoria delle imprese sociali, per la quale il D.Lgs. n. 112 del 2017 detta una disciplina specifica). È evidente, pertanto, che la situazione di controllo non potrà essere indagata negli enti del Terzo settore con riferimento alla misura della partecipazione al capitale. La sussistenza del controllo, tuttavia, potrebbe essere verificata con riferimento all’effetto che la partecipazione maggioritaria determina negli enti (ad es. la disponibilità della maggioranza di voti esercitabili negli organi decisionali dell’ente).

In altri termini, si ritiene che la situazione di controllo “di diritto” possa verificarsi laddove l’atto costitutivo e lo statuto riservino ad un determinato soggetto escluso (oppure ad un insieme di soggetti esclusi, anche appartenenti a diverse tipologie di essi) la maggioranza dei voti esercitabili nell’organo assembleare, di indirizzo o nell’organo amministrativo, a prescindere dai diversi schemi di governance che gli ETS possono adottare. Giova evidenziare al riguardo, che la descritta situazione di controllo ricorre altresì nella circostanza nella quale, in presenza di una pluralità di soggetti esclusi facenti parte dell’ente, che singolarmente considerati non dispongano della maggioranza dei voti nell’organo assembleare o nell’organo di amministrazione, la sommatoria degli stessi produce parimenti la disponibilità della maggioranza dei voti. Con le debite differenze sopra evidenziate rispetto alle previsioni del codice in materia societaria, un’ ipotesi di controllo può determinarsi anche in via “di fatto”; tuttavia in questo caso esso non emerge necessariamente dall’esame dell’atto costitutivo o dello statuto; può invece risultare da situazioni di fatto, oggettivamente riscontrabili alla luce delle circostanze del caso concreto, ad esempio, dall’esame delle deliberazioni degli organi in grado di indirizzare l’attività dell’ente, con particolare riferimento a quelli amministrativi.

Un eventuale “controllo esterno” potrebbe parimenti risultare nel caso in cui emerga all’evidenza l’esistenza di appositi accordi di natura contrattuale tra due o più enti, dei quali quello (o quelli) appartenente alle categorie escluse, sia posto in condizione, in virtù di tali accordi, di esercitare un’influenza dominante sull’altro, determinandone gli indirizzi gestionali.

Considerazioni simili a quelle ora esposte in relazione al controllo possono peraltro essere effettuate con riferimento all’eventuale sussistenza di una situazione di “direzione e coordinamento” da parte di soggetti appartenenti alle categorie “escluse” dal Terzo settore, ai fini dell’art. 4, comma 2 del Codice. Anche in questo caso, appare opportuno prendere a riferimento, in primo luogo, le definizioni elaborate in relazione all’attività di direzione e coordinamento nell’ambito dei gruppi societari, disciplinata dagli articoli 2497 e seguenti del codice civile. Sul punto, occorre considerare che le disposizioni del codice civile non contengono una specifica nozione di attività di direzione e coordinamento, che può essere identificata come l’esercizio di una pluralità sistematica e costante di atti di indirizzo idonei ad incidere sulle decisioni gestorie dell’ente, cioè sulle scelte strategiche ed operative. In termini generali, può quindi affermarsi che la formula “direzione e coordinamento” equivalga ad un’attività di “gestione unitaria” o “direzione unitaria”, intesa come elemento qualificante un gruppo di enti.

Con specifico riferimento agli enti del Terzo settore, si ritiene che la sussistenza di un’attività di direzione e coordinamento da parte dei soggetti esclusi in base all’art. 4, comma 2 del CTS debba essere valutata in concreto, sulla base di elementi suscettibili di indicare un’effettiva influenza sulla gestione dell’ente da parte del soggetto “escluso”.

Alcuni potenziali indici di una simile attività di “etero-direzione” potrebbero essere astrattamente desunti dalla sussistenza di una delle situazioni alle quali l’ordinamento ricollega una presunzione in tema di attività di direzione e coordinamento. Sul punto è opportuno ricordare, in particolare, che ai sensi dell’art. 2497-sexies del codice civile, si presume, salvo prova contraria, che l’attività di direzione e coordinamento di società sia esercitata dalla società o ente tenuto al consolidamento dei loro bilanci, o che comunque le controlla ai sensi del già richiamato articolo 2359 del codice civile.

In definitiva, se la ratio della disposizione di cui all’art. 4, comma 2, del CTS, è quella di precludere l’adozione della qualifica di ETS ad enti equiparabili ai c.d. soggetti “esclusi”, in ragione di una effettiva commistione nella governance o nei processi gestori e decisionali, per altro verso deve considerarsi ammissibile la possibilità per le amministrazioni pubbliche e per gli altri enti esclusi dalla qualifica di ETS di partecipare alle organizzazioni del Terzo settore, purché tale partecipazione non si traduca nell’esercizio da parte dei soggetti “esclusi” di un’influenza dominante sull’ETS, né nella disponibilità da parte degli stessi della maggioranza dei voti nelle sedi deputate ad adottare decisioni determinanti ai fini dell’amministrazione e della gestione dell’ente.

Da ultimo, per completezza di trattazione, giova rammentare che la tematica è regolata anche con riguardo all’impresa sociale, nel d.lgs. n.112/2017, di cui devono essere prese in considerazione le norme contenute negli articoli 1 e 4. In particolare, l’articolo 1, dopo aver fornito al comma 1 la nozione di impresa sociale, al successivo comma 2 prescrive che “non possono acquisire la qualifica di impresa sociale le società costituite da un unico socio persona fisica, le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, e gli enti i cui atti costitutivi limitino, anche indirettamente, l’erogazione dei beni e dei servizi in favore dei soli soci o associati”.

Inoltre, ai sensi dell’art. 4, comma 3, “le società costituite da un unico socio persona fisica, gli enti con scopo di lucro e le amministrazioni pubbliche… non possono esercitare attività di direzione e coordinamento o detenere, in qualsiasi forma, anche analoga, congiunta o indiretta, il controllo di un’impresa sociale ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile”.

Alla medesima esigenza di prevenire l’esercizio di una ingerenza o influenza indebita che possa sviare l’ente dalle sue finalità o dal suo carattere privatistico, deve essere ricondotto l’art. 7 del medesimo decreto 112/2017 che, dopo aver ribadito al comma 1 che “L’atto costitutivo o lo statuto possono riservare a soggetti esterni all’impresa sociale la nomina di componenti degli organi sociali”,ma “in ogni caso, la nomina della maggioranza dei componenti dell’organo di amministrazione è riservata all’assemblea degli associati o dei soci dell’impresa sociale”, sancisce, al comma 2, che “Non possono assumere la presidenza dell’impresa sociale rappresentanti degli enti di cui all’articolo 4, comma 3”.

Un’interpretazione autentica del comma 2 e in particolare del termine “rappresentanti” è rinvenibile nella relazione illustrativa al decreto legislativo n. 112/2017, dove essi sono definiti “soggetti nominati da pubbliche amministrazioni e da enti con scopo di lucro”. Quindi la norma in questione, di per sé, non vieta che un soggetto che assume la presidenza dell’impresa sociale ricopra, contestualmente, un incarico implicante poteri specifici nell’ambito di un soggetto escluso, se quest’ultimo non ha alcun rapporto con l’impresa sociale; ma piuttosto che il soggetto escluso lo individui e lo ponga, all’interno dell’organo di amministrazione come proprio rappresentante, qualora, anche con atto successivo, l’individuo in questione assuma all’interno di tale organo di amministrazione la qualifica di presidente.

Pertanto, per le imprese sociali troverà applicazione la disciplina ad esse propria, di cui al citato d.lgs. n.112/2017, in ragione del rinvio che lo stesso codice del Terzo settore fa a quest’ultima fonte nell’articolo 40, comma 1, anche con riferimento alla disciplina delle forme di direzione coordinamento e controllo, previste direttamente dal medesimo decreto legislativo n. 112/2017 e come tali applicabili in luogo delle disposizioni rinvenibili nella parte generale del Codice del terzo settore in virtù del principio secondo il quale le norme del Codice stesso si applicano agli enti aventi disciplina particolare solo “ove non derogate”, ovvero nel caso in cui non vi siano tra le disposizioni speciali norme regolanti in maniera differente le medesime fattispecie.