La Corte di Cassazione con la sentenza n. 23233 depositata il 14 ottobre 2013 intervenendo in tema di risarcimento danno al fallimento ha statuito che il danno cagionato dalla condotta omissiva dei sindaci va individuato non nel dissesto della società, ma nel suo aggravamento per non essersi adoperati per contenere l’esposizione debitoria conseguito, per effetto dell’aumentato del debito a causa della maggiorazione degli interessi e il ritardo della procedura concorsuale.
La vicenda ha avuto origine con la sentenza di fallimento della società XX Spa e con l’azione di risarcimento intentata dall’organo fallimentare nei confronti del collegio sindacale e dell’amministratore a fondamento della responsabilità dei sindaci, il fallimento deduceva che essi avevano omesso di vigilare sull’osservanza degli obblighi legali e statutari da parte dell’amministratore. Il Tribunale adito “condannava i sindaci, insieme all’ amministratore, al risarcimento dei danni nella misura di lire 15.000.000.000, osservando che ai convenuti non si poteva ascrivere la responsabilità dell’intero dissesto ma soltanto quella per l’aggravamento delle esposizioni debitorie, conseguito al ritardo nella dichiarazione di fallimento ed individuato negli interessi per un biennio sulle esposizioni bancarie e sulle altre esposizioni, quasi tutte verso imprenditori commerciali.”
Nel caso di specie l’attenzione è stata rivolta alla problematica concernente la responsabilità del collegio sindacale di una società assoggettata a procedura fallimentare. Secondo costante giurisprudenza la responsabilità dei sindaci, in solido con quella degli amministratori, ai sensi dell’art. 2407, comma 2, c.c. presuppone non solo che essi non abbiano ottemperato ai doveri di vigilanza inerenti alla loro carica, ma anche l’esistenza di un nesso di causalità tra le violazioni addebitate e il danno accertato, onde i sindaci possono essere chiamati a rispondere delle perdite patrimoniali della società solo nel caso e nella misura in cui queste ultime siano ad essi direttamente imputabili.
I sindaci avverso la decisione del giudice di prime cure proponevano ricorso alla Corte di Appello. I giudici distrettuali accolsero parzialmente le doglianze dei ricorrenti e nelle motivazioni evidenziarono per quanto concerne la “posizione dei sindaci, odierni ricorrenti, che: a) i sindaci rispondono dei pregiudizi arrecati al patrimonio della società che siano conseguenza diretta ed immediata delle condotte illecite degli amministratori, quando essi non abbiano ottemperato ai doveri di vigilanza inerenti alla loro carica e ricorra un nesso di causalità tra tali inosservanze ed il danno; b) dalla consulenza tecnica d’ufficio, espletata nel giudizio di primo grado, erarisultato che: in sede di bilancio erano mancati i necessari chiarimenti sui rapporti tra la C. e le società collegate; non erano state indicate le ragioni della valutazione al costo di acquisto delle partecipazioni in alcune società, malgrado il loro patrimonio netto avesse subito significative variazioni; non erano state indicate le ragioni della indicazione dei valori nominali di numerosi crediti; la perdita dell’esercizio 1986 doveva ritenersi ben maggiore di quella di lire 1.888.131.937 evidenziata nel bilancio e doveva ascriversi a condotte di cattiva gestione coperte con non veritiere risultanze dei precedenti bilanci; c) l’assemblea per l’approvazione del bilancio al 31 dicembre 1986 si era tenuta solo nel mese di giugno 1987 e non erano stati adottati né allora né successivamente i provvedimenti previsti nel caso di riduzione del capitale sociale al disotto del limite di legge; d) i sindaci, in grado di percepire il dissesto già alla chiusura dell’esercizio 1986 anche in considerazione dell’analogo ruolo da essi svolto nelle società collegate, avevano mancato ai loro doveri di vigilanza e non avevano azionato i poteri sostitutivi con ricorso al tribunale, ai sensi degli artt. 2446 – 2450 c.c.» e con esposto al p.m. per sollecitare una richiesta di provvedimenti ex art. 2409 c.c.;”
I componenti del collegio sindacale avverso la sentenza dei giudici di appello propongono ricorso, basato su quattro motivi di censura, alla Corte Suprema per la cassazione della sentenza della Corte Territoriale.
Gli Ermellini ritengono infondate le motivazioni del ricorso e rigettano lo stesso.
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