COMMISSIONE TRIBUTARIA DI II GRADO DI TRENTO – Ordinanza 12 marzo 2019
IRES – Applicazione, per il periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2013, di un’addizionale di 8,5 punti percentuali per gli enti creditizi e finanziari, per la Banca d’Italia e per le società e gli enti che esercitano attività assicurativa – Art. 2, co. 2.Decreto-Legge 30 novembre 2013, n. 133, convertito, con modificazioni, nella Legge 29 gennaio 2014, n. 5
Con il ricorso introduttivo, lamentava l’illegittimità dell’art. 2, comma 2, del decreto-legge 30 novembre 2013, n. 133, conv. modif. dalla legge n. 5/2014, per avere istituito una tassazione aggiuntiva all’IRES, nella misura dell’8,5%, soltanto nei confronti degli enti creditizi e finanziari, della Banca d’Italia e delle società e degli enti assicurativi; quindi, chiedeva al giudice tributario di primo grado di sollevare questione di illegittimità costituzionale di detta norma, per violazione del principio della capacità contributiva, di cui all’art. 53 della Costituzione; per contrasto al principio di eguaglianza, di cui all’art. 3 della Costituzione; per violazione dell’art. 77 della Costituzione, non ricorrendo le condizioni ed i presupposti per la decretazione d’urgenza.
L’Agenzia delle entrate, direzione provinciale di Trento, si costituiva in giudizio, sostenendo la legittimità del silenzio-rifiuto opposto alla richiesta di rimborso dell’imposta versata. Sottolineava il carattere di transitorietà della disposizione, non strutturale e vigente per il solo anno d’imposta 2013. Escludeva che la contestata sostanziale disparità di trattamento, nella imposizione del tributo, fosse sufficiente per ritenere violati i principi costituzionali, di cui agli articoli 3 e 53 della Costituzione. L’Ufficio, considerata la dichiarata necessità di recuperare risorse nel breve tempo, di sostegno all’economia e per assicurare interventi di emergenza sociale, riteneva legittima l’adozione della decretazione d’urgenza.
Soddisfatta la riserva di legge, escludeva una lesione del principio di legittimo affidamento, in danno degli operatori del settore.
Escludeva, infine, che la disposizione potesse configurare l’ipotesi di violazione dei principi costituzionali di cui agli articoli 41, 42 e 97 della Costituzione, per l’invocata impossibilità di adottare interventi di riequilibrio di bilancio da parte degli enti creditizi ed assicurativi.
La CT di primo grado di Trento, con sentenza n. 80/2018 di data 15 dicembre 2017 – 15 maggio 2018, rigettava il ricorso e compensava le spese. Il giudice, preso atto che l’addizionale era stata istituita per il solo anno 2013 e, dunque, non innovava strutturalmente l’imposta relativa (IRES); che, con la parziale soppressione della seconda rata dell’IMU, sembrava non vi fossero alternative possibili, per il recupero di risorse sufficienti nel breve periodo; che al legislatore doveva riconoscersi il potere discrezionale nelle decisioni sulla fiscalità, riteneva che l’addizionale contestata, a cui andava riconosciuta anche finalità solidaristiche, fosse stata legittimamente adottata, ricorrendo le condizioni dell’urgenza, con lo strumento legislativo del decreto-legge. Respingeva, pertanto, i dubbi di legittimità costituzionale paventati dalla ricorrente.
La Società appellava la citata sentenza, con atto del 3 luglio 2018.
1) Ne eccepiva, con il primo motivo, l’illegittimità per omessa e/o contraddittoria motivazione in merito alla sollevata questione di illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, del decreto-legge n. 133/2013.
Ricordava, come precedente significativo, la sentenza della Corte costituzionale del 9 febbraio 2015, n. 10, pronunciata in merito alla c.d. Robin Hood Tax, secondo cui l’esercizio del potere discrezionale in materia tributaria da parte del legislatore incontra il suo limite nella ragionevolezza della scelta legislativa, che deve sapere raccordarsi con il principio di capacità contributiva. Sottolineava, quindi, che anche nel caso di specie si era trattato di una tassazione aggiuntiva avente i caratteri della sovraimposta, che andava a colpire senza adeguate giustificazioni solo alcuni settori economici, con chiara arbitraria discriminazione e conseguente violazione dei principi costituzionali di cui agli articoli 3 e 53 della Costituzione.
L’appellante non riteneva rilevante, sotto il profilo della ragionevolezza, né il carattere transitorio (perché limitata al solo anno 2013), né quello straordinario (perché riferita alla soppressione della seconda rata dell’IMU e condizionata dalla necessità di recuperare risorse certe e sufficienti nel breve periodo – v.pg28) della norma, perché non ancorata ad una manifestazione di maggiore capacità contributiva.
2) Con il secondo motivo, censurava la sentenza per non avere motivato sulla questione di illegittimità della citata norma, perché adottata con decreto-legge, in difetto dei requisiti di necessità e urgenza, ex art. 77 della Costituzione.
L’appellante contestava le argomentazioni del primo giudice, circa le finalità solidaristiche del provvedimento deliberato a fine anno, che avrebbero giustificato il ricorso al decreto-legge, poi convertito con legge.
La parte si soffermava, quindi, sulla rubrica della norma, che non lasciava emergere evidenti ragioni di urgenza, che potessero giustificare il ricorso al decreto-legge.
Sul punto, insisteva l’appellante, il primo giudice «non motiva nulla».
3) Con il terzo motivo, contestava la sentenza impugnata, per non aver motivato in merito alla questione di illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, del decreto-legge n. 133/2013, perché, in contrasto con gli articoli 41, comma 1, 42, comma 3, e 97, comma 1, della Costituzione, realizzava un intervento ablatorio della proprietà, quando discriminava in danno di alcuni soggetti ed enti nella istituzione dell’addizionale IRES; e non rispettava il principio costituzionale di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione.
4) Infine, parte appellante eccepiva la violazione dell’art. 19, comma 1, del decreto legislativo n. 546/92, per non avere, ai fini del rimborso dell’addizionale pagata, accolto la questione pregiudiziale dell’incostituzionalità della norma, con rinvio della questione all’esame del giudice delle leggi.
L’appellante, nelle sue conclusioni, chiedeva, in via pregiudiziale, di sollevare le questioni di illegittimità costituzionale prospettate in riferimento alla norma citata; in via principale, di riformare la sentenza impugnata, dichiarando quanto pagato non dovuto e soggetto a rimborso; con condanna dell’A.F. alle spese del giudizio.
L’Agenzia delle entrate si costituiva con controdeduzioni del 27 settembre 2018. Rappresentava, in via preliminare, che la CTR del Piemonte, su stessa fattispecie fiscale, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale relativamente all’art. 2, comma 2, del decreto-legge n. 133/2013, per contrasto con gli articoli 3, 53 e 77 della Costituzione. L’ufficio rappresentava la necessità di attendere l’esito del giudizio della Corte costituzionale. Tanto premesso, insisteva sulla legittimità del diniego tacito all’istanza di rimborso della Società e riproponeva le difese già svolte nel giudizio di primo grado.
L’ufficio, nelle sue conclusioni, chiedeva la conferma della decisione dei giudici di primo grado, anche laddove la Corte costituzionale avesse ritenuto la norma conforme ai principi costituzionali richiamati.
La Società, da ultimo, con memorie aggiuntive del 31 gennaio 2019, riprendeva le questioni di costituzionalità sollevate dalla CTR del Piemonte. Evidenziava, tuttavia, che la CTR del Piemonte non aveva preso in considerazione la doglianza di incostituzionalità rappresentata in questo giudizio, con riferimento agli articoli 41 comma 1, 42 comma 3 e 97 comma 1, della Costituzione. Per cui, sollecitava la CT di secondo grado di Trento a rimettere tutte le questioni sollevate all’esame della Corte costituzionale.
La causa era chiamata all’udienza pubblica dell’11 febbraio 2019.
Udito il giudice relatore sulle questioni in diritto sollevate;
Sentite le conclusioni delle parti ammesse alla discussione;
La Commissione si riservava la decisione.
In merito ai dubbi di legittimità costituzionale sollevati da parte appellante, questa Commissione, sciogliendo la riserva,
Osserva
1) La Commissione condivide i dubbi di costituzionalità sollevati dalla parte ricorrente in causa, secondo la quale la norma contestata andava a colpire in modo ingiustificato discriminando solo alcuni settori economici, con violazione dei principi costituzionali di cui agli articoli 3 e 53 della Costituzione.
1.1) La norma emanata trae origine dalla volontà politica di attuare importanti riforme sulla fiscalità. Il Governo, nel corso del 2013, ha adottato più disposizioni finalizzate ad una riforma complessiva della tassazione del patrimonio immobiliare. Al decreto-legge n. 102/2013, con cui era stata abolita la prima rata dell’IMU 2013, per tutti gli immobili per i quali essa era stata già temporaneamente sospesa con il precedente decreto-legge n. 54/2013, è seguito il decreto-legge 30 novembre 2013, n. 133, con cui è stata disposta l’abolizione anche della seconda rata dell’IMU per lo stesso anno 2013, per:
«a) gli immobili di cui all’art. 1, comma 1, lettere a) e b), del decreto-legge 21 maggio 2013, n. 54, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 luglio 2013, n. 85;
b) gli immobili di cui all’art. 4, comma 12-quinquies del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44;
c) gli immobili di cui all’art. 2, comma 5, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124;
d) i terreni agricoli, nonché quelli non coltivati, di cui all’art. 13, comma 5, del decreto-legge n. 201 del 2011, posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola;
e) i fabbricati rurali ad uso strumentale di cui all’art. 13, comma 8, del decreto-legge n. 201 del 2011» (art. 1, comma 1, decreto-legge n. 133/2013).
1.2) Appare evidente dal testo normativo riportato che è abolita l’IMU sull’abitazione principale e relative pertinenze, e su altre specifiche fattispecie, con esclusione dei fabbricati di pregio, dei fabbricati rurali non destinati ad uso strumentale e dei terreni agricoli diversi da quelli posseduti e condotti da coltivatori diretti e da imprenditori agricoli.
Al netto di interventi correttivi rivolti a quei contribuenti che, nel 2014, sono chiamati a pagare il 40% della differenza tra l’importo determinato dall’aliquota decisa dal comune e quello dell’aliquota di base (mini-IMU), il decreto-legge n. 133/2013 è ritenuto dal Ministro dell’economia e delle finanze dell’epoca, in audizione presso il Senato della Repubblica il 13 dicembre 2013: «uno strumento per sostenere le famiglie in questa difficile fase congiunturale».
Emerge, a seguito della decisione adottata, una importante esigenza finanziaria corrispondente al mancato gettito della seconda rata dell’IMU 2013. L’onere che ne è derivato, oggetto di stima da parte del Dipartimento delle finanze, ha comportato la necessità di finanziare il completo sgravio dell’imposta e, per l’effetto, reperire le necessarie risorse finanziarie aggiuntive da contabilizzare nel 2013.
1.3) Con il medesimo decreto-legge n. 133/2013, pertanto, all’art. 2 – Disposizioni in materia di acconti -, comma 2, si dispone: «In deroga all’art. 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212, per il periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2013, per gli enti creditizi e finanziari di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 87, per la Banca d’Italia e per le società e gli enti che esercitano attività assicurativa, l’aliquota di cui all’art. 77 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, è applicata con una addizionale di 8,5 punti percentuali. L’addizionale non è dovuta sulle variazioni in aumento derivanti dall’applicazione dell’art. 106, comma 3, del suddetto testo unico».
In deroga, cioè, al principio di irretroattività delle disposizioni tributarie fissato dall’art. 3 della legge n. 212/2000, la citata norma di cui all’art. 2, comma 2, decreto-legge n. 133/2013, ha introdotto una addizionale di 8,5 punti percentuali a carico solo di alcuni soggetti fiscali: enti creditizi e finanziari, la Banca d’Italia, le società e gli enti che esercitano attività assicurativa.
A fronte di questa contribuzione straordinaria connessa alla addizionale all’IRES dell’ 8,5%, viene, da un lato, assicurato il beneficio dell’abolizione della seconda rata dell’IMU 2013 a tutti i proprietari di abitazione principale e di altre specifiche fattispecie prima delineate; dall’altro, sono individuati alcuni soggetti che dovranno sopportare l’onere finanziario, nel periodo d’imposta 2013, senza che siano espresse le ragioni di tale scelta elitaria. Dalla relazione del Ministro dell’economia, prima richiamata, si ricava che gli interventi deliberati per l’abolizione dell’IMU ha comportato «un impatto rilevante sui comparti bancario, finanziario e assicurativo, ma che riflettono la necessità di reperire risorse la cui entità non fosse soggetta a incertezza in un lasso di tempo estremamente breve.» Una scelta politica di realizzare risorse finanziarie sull’unico apparente presupposto che i soggetti contribuenti individuati avrebbero corrisposto con sicuro margine di certezza il tributo richiesto, in quanto soggetti economici «forti».
La questione che viene posta, dunque, è se, per reperire risorse finanziarie necessarie per realizzare l’obiettivo di abolizione della seconda rata dell’IMU nell’anno 2013, in favore dei soggetti prima definiti, sia legittimo attribuire il corrispondente onere finanziario alla contribuzione solo di alcune imprese appartenenti ad uno specifico comparto economico.
1.4) Il legislatore fiscale può indubbiamente attuare politiche solidaristiche e redistributive della ricchezza, purché ciò avvenga nel rispetto dei principi costituzionali di uguaglianza, ragionevolezza e capacità contributiva e cioè chiamando a contribuire «alle spese pubbliche», in egual misura, «tutti» i contribuenti.
Il comma 2 dell’art. 2 del decreto-legge n. 133 istituisce, per il solo periodo d’imposta 2013, l’addizionale IRES dell’8,5 per cento a carico delle imprese creditizie, finanziarie e assicurative; tali imprese, a parità di reddito complessivo con le altre imprese, pertanto, sono sottoposte ad un prelievo impositivo più elevato, essendo obbligate a versare l’IRES con la maggiore aliquota del 36 per cento (aliquota ordinaria del 27,5% + addizionate dell’8,5%), mentre tutte le altre imprese, a parità di reddito camplessivo, sono tenute a versare l’IRES con la «normale» aliquota del 27,5 per cento.
1.5) Occorre considerare che le norme di cui al titolo II del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 individuano il presupposto dell’imposta ed i soggetti passivi, senza che la base imponibile (art. 75) e l’aliquota dell’imposta (art. 77) siano differenziati in dipendenza del settore in cui il reddito è prodotto, considerando il solo aspetto quantitativo: il comma 1 dell’art. 75 stabilisce infatti: «l’imposta si applica sul reddito complessivo netto, determinato secondo le disposizioni della sezione I del capo II, per le società e gli enti di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell’art. 73»; ma non pone distinzioni per settore produttivo di appartenenza dell’impresa, come soggetto passivo IRES.
La Corte costituzionale ha sempre ritenuto che l’importo del prelievo tributario debba essere lo stesso a parità di presupposto impositivo, laddove ha espressamente statuito che a situazioni uguali devono corrispondere uguali regimi impositivi.
Il fatto che le imprese bancarie, assicurative e finanziarie operino in settori sottoposti a stretta vigilanza pubblica, non è di per sé elemento distintivo rispetto alle altre imprese; non è indice di maggiore ricchezza, né può giustificare una disparità di trattamento, non concretizzandosi tale condizione necessariamente in una maggior capacità contributiva.
1.6) Pur considerando che il carattere temporaneo dell’addizionale, in quanto limitata al solo anno 2013, è stato considerato in altre decisioni della Corte costituzionale come dirimente e sufficiente ad escludere dubbi di incostituzionalità della norma impositiva, si ritiene che nel caso di specie gli articoli 3 e 53 della Costituzione sarebbero stati comunque violati, perché l’addizionale non risulta ancorata ad un indice di capacità contributiva e, dunque, determina una ingiustificata disparità di trattamento tra le imprese operanti nei settori soggetti all’addizionale e le altre.
Il legislatore non rende manifesta l’intenzione di colpire un maggior reddito o un volume di affari superiore ad un dato valore. L’art. 2, comma 2, del decreto-legge n. 133/2013, infatti, applica l’aliquota dell’imposta stabilita dall’art. 77, aumentata dell’addizionale di 8,5 punti percentuali, al reddito complessivo netto. Non individua alcun elemento che possa in qualche modo giustificare quella discriminata platea di soggetti rientranti nel campo di applicazione della maggiore imposta, sicché il sacrificio patrimoniale a cui è sottoposta una determinata categoria di imprese, lasciando indenne altre a parità di capacità contributiva, risulta arbitrario ed irragionevole e, pertanto, in contrasto con gli articoli 53 e 3 della Costituzione.
L’unica apparente ragione sembra possa desumersi dalle dichiarazioni rese dal Ministro dell’economia e finanze in sede di audizione: «la necessità di reperire risorse la cui entità non fosse soggetta a incertezza». Ma questo elemento di valutazione, decisamente pragmatico e volto all’evidente realizzo di saldi di finanza pubblica, non risulta trasfuso nella norma in esame con parametri oggettivi, che diano ragione dell’individuazione dei soggetti tenuti al versamento dell’addizionale IRES. La norma non pone una questione distintiva di capacità contributiva; né appare essere di qualche giustificazione la non applicazione dell’addizionale alle variazioni in aumento dovute all’applicazione del limite di deducibilità annua delle perdite su crediti stabilita dall’art. 106, comma 3, del TUIR (comma 2, u.p., art. 2, del decreto-legge n. 133/2013).
1.7) La Commissione tributaria, all’esito delle argomentazioni sin qui svolte, ritenendo di concordare con le considerazioni che sono state sviluppate dalla Società ricorrente, condividendo in parte i dubbi di legittimità della norma in esame espressi con ordinanza di rimessione del 5 luglio 2018 dalla CTR del Piemonte (sub num.reg.ord 7/2019-G.U. n. 6 del 6 febbraio 2019), considera che la questione sollevata con riferimento all’art. 2, comma 2, del decreto-legge n. 133/2013, con riferimento all’art. 77 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, presenti profili di illegittimità costituzionale come prospettati in riferimento agli articoli 3 e 53 della Costituzione; ritiene, inoltre, che la questione sia rilevante nel presente giudizio, in quanto la norma impugnata osta all’accoglimento del richiesto rimborso.
2.0) La Società, con il secondo motivo d’appello, censura la sentenza di primo grado per non avere motivato sull’illegittimo ricorso alla decretazione d’urgenza, con cui il Governo ha adottato la norma in contestazione, in difetto dei presupposti di necessità e d’urgenza richiesti dall’art. 77 della Costituzione.
2.1) La Commissione ritiene infondati i dubbi di illegittimità sollevati dalla parte appellante. Occorre da subito porre in evidenza che il decreto-legge n. 133/2013, convertito in legge con modificazioni, reca «disposizioni urgenti» concernenti l’IMU. Pur considerando che il Governo perseguiva da qualche tempo politiche per una revisione complessiva della tassazione degli immobili e che da queste non può ritenersi disgiunta l’abrogazione dell’IMU; che il decreto-legge n. 54/2013 e il decreto-legge n. 102/2013 avevano già disposto prima la sospensione e poi l’abrogazione della prima rata IMU 2013; l’obiettivo politico dell’abolizione definitiva dell’IMU sulla abitazione principale e alcune fattispecie assimilate si realizza solo con il decreto-legge del 30 novembre 2013, n. 133.
Quest’ultimo provvedimento, tuttavia, ha posto la necessità di finanziare Io sgravio della seconda rata IMU, con «risorse aggiuntive da contabilizzare nel 2013 al fine di mantenere il disavanzo entro la soglia del 3 per cento del PIL» (da: Audizione del Ministro … prima citato); e, dunque, la finalità immediata della norma in esame è stata quella di determinare un incremento eccezionale e limitato nel tempo dell’aliquota dell’imposta di cui all’art. 77 TUIR, appunto per il solo periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2013. L’intervento normativo adottando doveva di necessità soddisfare evidenti ragioni di equilibrio, di bilancio, da realizzarsi nel brevissimo periodo e fortemente legato alla formazione della relativa legge finanziaria 2014, ormai in fase di definizione e quindi prossima alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale di uno degli ultimi giorni del mese di dicembre 2013.
Da quanto precede, appare evidente come la necessità di contenere il disavanzo e assicurare la stabilizzazione della finanza pubblica rappresentino ragioni sufficienti per escludere che il decreto-legge n. 133/2013 sia stato adottato in evidente mancanza dei requisiti di necessità e urgenza; né emergono, dalle relazioni che accompagnano il provvedimento governativo, elementi che contraddicano le conclusioni a cui qui si è giunti.
3.0) Infine, con il terzo motivo, la società ITAS VITA S.p.a. censura la sentenza di primo grado, perché nulla motiva in merito alla questione di illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, del decreto-legge n. 133/2013, perché in contrasto con gli articoli 41, comma 1, 42, comma 3, e 97, comma 1, della Costituzione, violazioni che parte appellante segnala in questo grado di giudizio.
3.1) La Commissione ritiene infondati i dubbi di illegittimità da ultimo sollevati dalla Società.
3.2) Non può condividersi il dubbio di costituzionalità dell’art. 2, comma 2, del decreto-legge n. 133/2013 per contrasto con gli articoli 21, comma 1, e 24, comma 3, della Costituzione. La disposizione contestata si inserisce in uno dei tanti casi di temporaneo inasprimento dell’imposizione fiscale, che hanno interessato a volte determinati settori produttivi e che non sono stati ritenuti illegittimi dalla Corte costituzionale; tanto è sufficiente per escludere che la norma in commento sia stata emanata con lo scopo o abbia soltanto voluto creare le condizioni per contrastare la libera iniziativa economica e compromettere la capacità reddituale delle imprese, cioè di una platea importante di contribuenti. La maggiorazione d’aliquota dell’IRES, decisa con l’art. 2, comma 2, del decreto-legge n. 133/2013, senza apportare modifiche strutturali all’imposta, ma limitandosi a determinarne una aliquota più onerosa con efficacia temporale limitata all’anno 2013, ha avuto lo scopo dichiarato solo di recuperare risorse finanziarie sufficienti per compensare il mancato gettito IMU 2013 e realizzare politiche di sostegno alle famiglie in una difficile fase congiunturale, abolendo definitivamente la seconda rata IMU. Tanto si deduce dall’esame preliminare del decreto-legge in parola e dalla verifica delle quantificazioni in sede di sua conversione (A.C. 1941 Camera dei deputati). Si respinge la questione, perché manifestamente infondata.
3.3) E’, peraltro, di tutta evidenza che non si verte in un caso di espropriazione della proprietà privata, non solo perché l’imposta determinata con l’addizionale è comunque commisurata al reddito complessivo, che per ovvie ragioni differisce per società contribuente, ma anche perché non è previsto alcun indennizzo, quale corrispettivo per l’ipotizzata espropriazione subita. L’avere il legislatore discriminato, riservando la maggiorazione d’aliquota IRES alle sole imprese bancarie, assicurative e finanziarie è motivo assorbito dalla questione descritta al punto 1) e che questa Commissione ritiene di rimettere al giudizio della Corte costituzionale.
3.4) Quanto infine all’art. 97, comma 1, della Costituzione (rectius: comma 2, oggi in vigore), la questione posta appare del tutto infondata, poiché l’Amministrazione pubblica è chiamata ad operare osservando quanto disposto dal legislatore. Il rispetto della norma realizza il principio di legalità, che nel caso di specie non è denunciato come compromesso; per effetto conseguente, non possono ritenersi violati neppure i principi di imparzialità e di buon andamento.
P.Q.M.
Ritenuta la rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, del decreto-legge 30 novembre 2013, n. 133, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 29 gennaio 2014, n. 5, per violazione degli articoli 3 e 53 della Costituzione, nella parte in cui l’aliquota di cui all’art. 77 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, è applicata con una addizionale di 8,5 punti percentuali soltanto agli enti creditizi e finanziari di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 87, alla Banca d’Italia e alle società e gli enti che esercitano attività assicurativa;
Visto l’art. 23 della legge n. 87/1953;
Dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, sospendendo, pertanto, la presente causa RGA n. 54/2018.
Respinge le altre questioni di legittimità costituzionale sollevate.
Manda alla cancelleria:
per la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
per la notificazione della presente ordinanza alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri;
per la comunicazione della presente ordinanza ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
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